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CXXVI

AL CAVALIERE FRANCESCO ALBERTI

mentre Tautore dimorava in Venezia.

Alberti, i’ son fra due. Quinci m’invita
con bella insieme e con piacevol gara
la patria, il ciel ridente ed una cara
parte del sangue che mi die’ la vita.

Te quindi io scemo, e pien di luce avita
il buon Dandolo tuo, che si prepara
a iterarmi gli amplessi e d’un’amara
lagrima a funestar la mia partita.

Perché tutte le vie Galen mi tronca,
con que’ suoi nitri e col noioso sorso l 1 ),
di navigare a la cumea spelonca?

Ah ! de le mie fortune inteso il corso,
saprei non dubbio ove drizzar la conca,
e ignoti mi sarian fallo e rimorso.

CXXVII

PER NOZZE

Dolce, gentile, avventuroso strale,
che nel piagar soavemente i petti
a questi due che fur d’Amore eletti
per far un’opra a gran consiglio eguale,
non vi lasciasti il rio venen mortale
onde pur sono i duri strali infetti,
ma quei puri, celesti, almi diletti
che a far palesi umano stil non vale.

Per te vedremo in due congiunte salme
unito il fior de l’uno e l’altro sesso
col piú bel nodo mai che ordisse Amore.

E quelle due felici e ben nate alme,
ch’han d’ogni bel costume il seme impresso,
l’una da l’altra acquisterai! piú onore.

(i) L’autore prendeva in quei giorni le acque di Recoaro.