Pagina:Vittorio Adami, Varenna e Monte di Varenna (1927).djvu/147

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secolo xvi 139


Per introdurre i grani in Varenna, ogni anno il console, il comune coi suoi rappresentanti, e gli abitanti del paese, si riunivano nel luogo stabilito per i convocati ed eleggevano un certo numero di mandatari e procuratori, ai quali veniva affidato l’incarico di condurre, ogni qualvolta ve n’era bisogno, da Como a Varenna, con oportune bollette e licenze, il grano spettante al comune. Questi procuratori dovevano promettere, sotto ipoteca dei beni presenti e futuri degli uomini di Varenna, ai commissari regi e ducali deputati ai grani, di non usare alcuna frode nelle note di consegna e nella distribuzione dei grani, i quali dovevano essere esclusivamente consumati nel comune. Questa delegazione veniva sancita in un atto steso dal notaio1.

Varenna pagava quale censo al feudatario la somma di lire 106 e soldi 3. Ogni anno un delegato del comune si recava con regolare mandato dal feudatario per fare consegna del denaro.

Pagava inoltre lire 252 per il sale nella misura di staia 126.

Fra le altre tasse pagava una certa somma per i molini, dei quali, allora, ne esisteva un numero considerevole. E poichè questa era una tassa che i Varennati non trovavano giusta avevano essi fatto una rimostranza unitamente a quelli di Mandello per essere esonerati, allora il Duca di Milano in data 26 agosto 1561 scrisse al referendario di Como in questi termini «Sospenderete di dar molestia alle comunità di Mandello et Varena per l’annata dimandata dei suoi molini per giorni 15 perchè tra tanto se ne vedano le loro ragioni producte che viste se vi darà ordine di quanto haverete a fare». Ma poichè i proprietari dei mulini intendevano di essere esonerati definitivamente dalle tasse, dettero mandato a Gerolamo Airoldi di fare le pratiche del caso.

Il 4 settembre 1561 in Milano Girolamo Airoldi in nome proprio e degli altri perfidenti mulini, folle e reseghe ed altri edifici siti nei territori di Mandello, Varena e Dervio, riviera di Lecco, ai quali dalla R. Camera, a mezzo del referendario di Como don Bernardo Cappello, era stato intimato di pagare l’annata dovutale pei detti mulini, folle ecc. Comparso innanzi al magistrato delle entrate straordinarie oppone a siffatta intimazione: 1° che gli edifici di cui si tratta non usufruiscono di acque di fiumi della R. Camera ma di acque di privati, scaturenti e nascenti in fondi e monti privati.

2° che essi per la maggior parte dell’anno non hanno acqua e quando l’acqua c’è dobbono condurla mediante acquedotti fabricati con grandi spese dei possidenti.

3° che dei detti edifici poco o nulla si giovano i predetti territori poichè non raccolgono grano se non per due mesi dell’anno, sicchè il beneficio che se ne ricava non vale le spese per le riparazioni.

  1. Atto 5 gennaio 1574 del notaio Giorgio Serponti q.m Pietro, e atto 10 gennaio 1528 del notaio Giacomo Antonio Serponte del q.m Giorgio.