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i divoratori 137

E Carlo era un uomo che aveva un ridicolo rispetto della propria parola. Dunque Carlo era una fonte esaurita. Valeria, suocera affettuosa ma inetta, aveva mostrato ad Aldo i suoi conti e i suoi libretti, facendogli toccare con mano che Nancy non avrebbe potuto aver nulla, oltre le sue meschine quaranta mila lire di dote. Restava lady Sainsborough, quella vecchia originale d’inglese, che a Napoli si era presa di tanta simpatia per Aldo. Ma anche lei non aveva risposto alle ultime due lettere che Aldo le aveva scritte. Probabilmente aveva anche modificato il suo testamento. Dunque nulla da fare.

Bisognava dunque scuotersi, agitare. Bisognava «sgobbare».

Aldo si scosse... e sgobbò. Scrisse una terza lettera a lady Sainsborough.

Poi si decise a chiedere a Carlo che gli desse un impiego nella direzione delle sue filature di seta. Carlo blandamente rifiutò. Allora andò dagli editori del primo libro di versi di Nancy, e propose a loro che gli facessero un adeguato anticipo sul libro non ancora scritto di sua moglie. Anch’essi blandamente rifiutarono.

Allora, colla coscienza di aver fatto tutto il suo possibile, Aldo decise che era inutile agitarsi e sgobbare di più, e lasciò che gli eventi seguissero il loro corso.

Nancy non gli era di nessun aiuto, di nessuna utilità. Egoisticamente ingolfata nel suo Libro, stava tutto il giorno in camera sua, seduta al suo tavolo, coi capelli tirati dietro alle orecchie, con gli occhi strani e lucenti. Se egli entrava nella stanza, ella, senza smettere di scrivere, alzava la mano sinistra imponendo il silenzio — gesto che egli trovava insopportabile. Se egli non obbediva a quel gesto e s’inoltrava, ella levava su di lui quegli occhi chiari, smarriti, interroganti — allora lui si sentiva nervoso, costretto ad affrettarsi, e dimenticava quello che aveva avuto l’intenzione di dirle.