Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/15

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i divoratori 3


— Sissignora, — rispose la nurse. — E quando ve ne andrete, abbiate la cortesia di chiudere la porta dietro di voi.

Edith mortificata e attonita obbedì.

Udendo delle voci nella camera di sua madre, guardò dentro, e vide una giovinetta vestita di nero, con capelli neri come quelli del béby, seduta sul sofà, accanto a sua madre. L’estranea piangeva, tutta scossa da singhiozzi, colla faccia nascosta in un piccolo fazzoletto ad orli neri.

— Vieni, vieni, Edith, — disse la madre. — Vieni, guarda! Questa è tua cognata Valeria. Dàlle tanti baci e dille di non piangere.

— Ma dov’è la mamma del bambino? — disse Edith, per guadagnar tempo prima di baciare quel lacrimoso viso sconosciuto.

La giovinetta in lutto alzò gli occhi dal fazzoletto — occhi oscuri inondati di lacrime.

— Son io, — disse, con un rapido sorriso luminoso, ed una lacrima, cadendo, le si fermò in una fossetta della guancia. — Ma non è un bambino, sai; è una bambina. Che cara! — soggiunse, baciando Edith, — che cara ragazzina che potrà giocare col mio angioletto!

— Oh, ma è troppo piccola quella lì, per giocare, — disse Edith con disprezzo. — E poi, — soggiunse, — ho visto quella donna che la batteva.

— La batteva! — esclamò la ragazza in lutto, balzando in piedi.

— La batteva! — gridò la madre di Edith.

Ed entrambe uscirono precipitosamente.

Edith, rimasta sola, volse lo sguardo per la camera familiare. Sul letto di sua madre giaceva una piccola coperta di flanella ricamata, uguale a quella che avvolgeva il béby; ed una cuffietta minuscola; e degli scalfarotti; e un sonaglino di gomma. Sopra una seggiola vide una