Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/212

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200 annie vivanti


— Sì, sì, altro che conte! — disse Aldo con un intimo sorriso, ricordando il nome del nonno «Esposito», e il «della rocca», aggiunto perchè s’era trovato il piccolo fagotto abbandonato su una rocca vicino a Posillipo.

— Dunque, vediamo, — disse Mrs Doyle aggrottando le ciglia. — Per voi ci vorrebbe una specie di «atelier». Già gli «ateliers» sono la gran moda a New York.

— Non vedo cosa farebbe mio marito in un atelier, — disse Nancy.

Ma Aldo le pestò il piede per farla tacere.

— Non puoi lasciarla dire? — le sussurrò in italiano.

— Dunque, — continuò Mrs Doyle, — voi avreste l’atelier. Va bene. È un’elegante idea quella dell’atelier. Ma vostra moglie...

— Mia moglie è una grande poetessa, — disse Aldo.

— Ah sì? — disse Mrs Doyle inarcando le sopracciglia color seppia, e pizzicandosi pensosamente il grosso mento. — Allora, vediamo... Se è una poetessa, deve mostrarsi un po’ strana... un po’ diversa... deve vestire, sapete bene, in sciarpe rosse e simili cose... deve coltivare una linea originale, pittoresca. E poi potrebbe leggere i suoi poemi nei salons di New York. Già la poesia è la gran moda a New York. Tanto più, — soggiunse con incoraggiante benevolenza a Nancy, — tanto più se i poemi sono in italiano. Nessuno capirà niente. Lasciate fare! lasciate fare! Vi «rivelerò» io. Darò un grandioso ricevimento. Sui biglietti d’invito farò stampare nell’angolo sinistro: «poetessa italiana». Elegante idea!

Ma Nancy era refrattaria. Disse che non avrebbe portato delle sciarpe rosse, nè recitato i suoi poemi. E poi, cosa avrebbe fatto Aldo in un atelier?

Questa reiterata domanda parve ad Aldo urtante e puerile.

Mrs Doyle ragionò: