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i divoratori | 231 |
— QUINDICI! — gridò Valeria urlandolo forte più che poteva traverso la lontananza.
Poi un’onda immensa l’innalzò, la sospinse.... la lanciò fuori della vita.
Era finito.
Valeria era piombata nell’eternità.
— Sapevo bene che era inutile, — disse il chirurgo scotendo irosamente il capo.
Il viso fu coperto, e la barella portata via.
Un’ora dopo, lo zio Giacomo, Nino, e la zia Carlotta arrivarono pallidi ed esterrefatti.
Era finito. Sì. Pur troppo.
La zia Carlotta piangeva torcendosi le mani. La suora la confortò accertandole che non vi era stata sofferenza alcuna.
— Voglio vederla, voglio vederla, — singhiozzò la zia Carlotta.
— No, no! — disse la suora. — Meglio no.
E lo zio Giacomo, col viso rigato di lagrime, le disse:
— No, cara, no!
Nino senza dir parola uscì con uno dei giovani dottori, che lo condusse in una sala fredda e vasta, che pareva vuota. In fondo, vicino al muro, Nino vide due barelle portante ciascuna un lungo fardello velato, ricoperto e immobile.
— È questo, — disse il dottore (colui che aveva tenuto la maschera).
Nino guardò, e gli si fermò il respiro.
— Dio! Dio! — disse, e volse via lo sguardo.
La zia Carlotta entrava sorretta dalla suora. Nino con le labbra livide le disse:
— Vieni via. Non guardare.
E le afferrò la mano.