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i divoratori 263


— Anne-Marie! è la musica che ti fa piangere? — chiese.

La piccina la tenne stretta, e non rispose. Nancy la indusse con mille carezze a tornare nel letto; e la ricoprì e la baciò e la lasciò nel buio.

La porta tra di loro rimase aperta. Nancy al suo tavolino udiva la melodia tenera della «Berceuse» di Grieg e il gaio staccato del «Minuetto» di Händel. E quella dolce musica la aiutò ad aggiungere dei fantastici dettagli nella sua lettera allo Sconosciuto.


La mattina seguente dovevano traslocare all’alloggio signorile di Lexington Avenue. Non poterono salutare George che era andato di buon’ora al suo ufficio. Ma Peg aiutò a chiudere le valigie, e a portarle giù nella carrozza, e corse con Minna su e giù per le scale in cerca dei pacchi smarriti e degli oggetti dimenticati.

Anne-Marie, già in carrozza, prese gravemente dalle mani di Peg il cerchio e il policeman con una gamba sola, unico superstite di un teatro di marionette di Frau Schmidl; e Minna, che le accompagnava per installarle nel nuovo alloggio, salì in carrozza colla gabbia di sorci giapponesi appartenenti ad Anne-Marie.

— Cos’ha oggi la piccolina? — chiese Peg, guardando Anne-Marie. — È allegra come un funerale di quarta classe.

— La vostra musica iersera l’ha molto turbata, — disse Nancy salendo anche lei in carrozza, e sedendo accanto alla piccola, colle ginocchia ingombre di cappelliere e di pacchi. — Il violino le è piaciuto tanto!

— Ah sì? — disse Peg. — Era quel rospo di Markowsky che suonava.

Così dicendo si sporse per baciare Anne-Marie.

Ma Anne-Marie voltò via la faccia e non volle essere baciata.