Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/302

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290 annie vivanti


— No, no, — disse Fräulein, raggiante. — Le metterò delle maglie di Jaeger e non la condurrò a passeggiare che quando c’è sole.

La seconda scarpetta fu abbottonata e baciata. Poi fu messo il cappello, coll’elastico davanti alle orecchie. E i guanti, dov’erano? Sì, sì, in tasca. Il fazzoletto? Sì. E i sorci? Quelli li portava Fräulein, che aveva anche il violino, e il rotolo della musica, e la valigetta.

Il baule di Anne-Marie era già da basso sulla carrozza. Eccole pronte.

— Tesoro, vuoi darmi il cagnolino da portar giù? — disse Nancy, con un gruppo in gola. — Così per le scale posso tenerti la cara manina.

— No, no, grazie! — disse Anne-Marie. — Il cane lo porto io. Tu tieniti alla ringhiera.

E s’avviò lesta col cagnolino in braccio, dietro a Fräulein. E Nancy, muta, la seguì.

Fräulein, scendendo le scale, tremava, pensando al momento del distacco. Certo Anne-Marie avrebbe pianto e strillato nel dire addio a sua madre, e sarebbe stato terribile di fare tutto il viaggio a Staten Island con a fianco una lagrimosa e stridula Anne-Marie.

Per distrarla, fin d’ora, Fräulein pensò a trovare un nuovo argomento di conversazione.

— Avrai il tuo piatto dolce tutti i giorni, — disse volgendosi indietro sul secondo pianerottolo a sorridere ad Anne-Marie, mentre il violino, impigliandosi nella ringhiera, per poco non le fece cader di mano la gabbia dei sorci e il rotolo di musica e la valigetta. — Un giorno sarà riso al latte con frutta cotta, un altro giorno sarà la tapioca...

— Non mi piace la tapioca, — disse Anne-Marie scendendo a saltellini la scala, — non mi piace niente di tutte quelle cose.