Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/320

Da Wikisource.
308 annie vivanti

cielo! Ma, — continuò, — accade a tutti noi di fare delle cose che non ci assomigliano. Non è vero?

Ella non rispose...

— A voi, non è mai accaduto? — E insistè: — Rispondete.

Nancy sospirò.

— Non lo so. Non so che cosa mi assomigli, e che cosa non mi assomigli. Non lo so affatto. Non mi conosco.

— Ma io, — disse l’Orco, — vi conosco. — E tacque.

Egli aveva la irritante abitudine di smettere di parlare quando si avrebbe voluto che proseguisse.

— Parlate, — disse Nancy. — Dite ancora.

Ed egli parlò.

— Non somigliava certo a me di mandare così, per il mondo, a nessuno, quei vani e inutili fiori. Nè di scrivere una folle lettera che non era diretta a nessuno, affidandola al caso... È vero. Ma abbiamo tutti i nostri momenti di follia in cui facciamo delle cose che ci sono aliene; delle cose, come voi dite, che non assomigliano a noi. — Un’altra pausa. — Non somigliava a voi il descrivermi le vostre tende di broccato rosa, e le vostre sigarette profumate, e i vostri gioielli, e i vostri amanti. Non somigliava a voi l’avere attraversato l’Atlantico per venire a Parigi, e a cena, con un uomo che non conoscevate, per vedere se potevate carpirgli dei denari.

— Oh! — gemette Nancy, e si coprì il viso. — È questo che avete pensato?

— Oh! — disse lui, — è questo che avete fatto?

Poi vi fu silenzio tra loro.

Il capitano del battello si avvicinò per salutarli e dire che si arrivava a Genova in meno di un’ora.

— Ecco Nervi! — E additò la città bianca, graziosa come una manata di fiori gettati sul fianco del monte.

Nervi!... Con profondo, immenso slancio di desiderio,