Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/86

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74 annie vivanti


— disse la signora Avory, levando sul viso del giovane i miti occhi celesti.

— Altro che gaia! — rispose lui, ridendo. — È il posto più allegro del mondo; non abbiamo tempo qui da perdere in malinconie.

Una signorina vestita di seta gialla si precipitò verso di lui:

— Presto. La quadriglia! — esclamò, prendendogli il braccio e trascinandolo via.

Se ne andarono ridendo, e sdrucciolando come bimbi sul lucido impiantito.

— Non pare ammalato, quel giovane, — osservò la signora Avory.

— E la ragazza neppure, — disse Edith.

— Ma nessuno qui sembra ammalato; — e la madre girò lo sguardo sulla gaia folla danzante, chiedendosi con meraviglia se ciascuno di essi portava chiuso in sè il funesto e spaventevole spettro che ella sapeva rinserrato nel fragile petto di sua figlia. — Hai notato, — disse, — che non si sente mai nessuno tossire?

— È vero, — disse Edith.

Dopo una breve pausa, la signora Avory disse:

— Probabilmente tutta questa gente è qui per godersi gli sports dell'inverno.

E per molto tempo, credette che fosse così. Vedeva intorno a sè visi giovani, e guancie colorite, e occhi vividi; e udiva chiacchierare molto, e ridere. Oh! sopratutto ridere, sempre ed eccessivamente. V'erano balli e concerti, feste e bazars; e sempre e dapertutto si ritrovavano gli occhi vividi e le guancie colorite e le folli risate.

Un'unica cosa singolare notava la signora Avory, ed era questa: quando, nell'augurare la buona notte ai nuovi amici, stringeva loro le mani, quelle mani erano strane al tocco, e la facevano trasalire. Non erano come le mani