Pagina:Vivanti - Vae Victis, Milano, Quintieri, 1917.djvu/263

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ne, pallido fantasma, a battere alla porta del Vicariato.

E anche a lei fu aperta la casa ospitale e il cuore generoso di coloro che l’abitavano.

Con tenerezza pietosa i suoi passi malfermi vennero guidati al focolare, verso la piccola Mirella che vi sedeva nella sua solita inconsapevole serenità. Solo al vederla Luisa comprese di quanto affetto la sua bimba era circondata. Con un grosso cane di Terranova accucciato ai suoi piedi, la piccina sedeva nella grande poltrona di cuoio del reverendo Yule; i biondi capelli divisi sulla fronte erano legati dalla signora Yule con un nastro celeste; un braccialetto d’oro, regalo di Liliana, le brillava sull’esile polso.

Con un grido di tenerezza riconoscente Luisa le si inginocchiò accanto, baciandole le manine fredde, la bocca silenziosa, gli occhi che non la riconoscevano.

«Mirella, Mirella! Parlami! Dimmi una parola! Dimmi: Ben tornata, mamma!»

Ma le labbra della bimba restarono mute, la sua voce era ancora una fontana chiusa.

L’uscio si aprì e Chérie entrò nella stanza — una Chérie nuova agli occhi di Luisa, quasi estranea nella sua tragica, matronale dignità.