Pagina:Vivanti - Vae Victis, Milano, Quintieri, 1917.djvu/307

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d’oro chiaro, e la piccolissima bocca imbronciata, e gli strani occhi d’un grigio chiarissimo — tutto, tutto le era odioso, tutto le faceva orrore e ribrezzo e paura.

Quando vedeva Chérie sollevarlo e baciarlo, si sentiva impallidire; quando vedeva al petto di Chérie quella piccola testa impaziente, e le manine cercanti e tastanti sul giovane seno materno, era presa da un senso di nausea e di esecrazione. Per quanto ella dicesse a sè stessa che questo era irragionevole e crudele, pure non riusciva a vincere un sentimento che aveva le sue radici nella più profonda essenza della sua anima belga. Il suo odio era un istinto primitivo, ingenito, come ingenito ed istintivo era l’amore di Chérie per la sua creatura.

«Oh, sì, si, Mary! Luisa ci odia, ci odia entrambi,» ripetè Chérie stringendosi con gesto disperato le mani sul cuore. «Se mai per un istante mi accade di scordare le nostre tristezze, se gioco col piccino e gli sorrido, subito sento gli occhi di Luisa fissi su di noi, ostili, implacabili. Luisa ci odia. E tutti, tutti ci odieranno così. Sì! Sì!

Tutti ci guarderanno con quegli occhi d’ira e di disprezzo. Ahimè! Dove, dove andremo a nasconderci, io e quel povero piccolo essere sfortunato?»