Pagina:Vocabolario italiano della lingua parlata, 1893.djvu/16

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e bollandols, ci levò d’ incertezza. Non stemma per altro in dubbio di rigettare tutto quel linguaggio, s dir così fluttuante ed instabile, che viene e passa con la mobilita della moda, che è di tutte le nazioni e di nessuna, e che non ha domicilio certo in alcun luogo. Chi ne volesse tener conto in un Vocabolario della lingua italiana, farebbe i1 medesimo di chi comprendesse nel novero della, vera popolazione di una città anche i foresticri, che giorno per giorno si notano ne’ registri delle locande.

Questo quanto alle voci nuove, venuteci di fuori. Quanto poi alla lingua del popolo to- scano, che è, senza alcuna contmdizione, lingua comune e nazionale, anche in questo. parte ci siamo ingegnati di semine le regole del buon giudizio, che insiem coll’ uso è il fonda— mento delle lingue. Perciò dovendo scegliere tra una e un‘ altra forma d’una stessa par rola, abbiamo preferita quella che è conforme più alla ragione che all’ uso di Firenze, nella qual città è pur necessario porre, siccome ubhiamo fatto in questo Vocabolario, il centro della lingua. Cosi, a modo d’ esempio, alle forme, per noi scorrette, Carnia-io, Ca- mcchiale, Cundelliere, Cmnmim e Camminelto, abbiamo preferito le vere forme Canm'ccio, Cannocchiale, Candeliere, szz'noe Caminetto, usate nelle altre parti di Toscana: perché anche l’uso fiorentino ha le sue scorrezioni, e il tenerle in pregio, soltanto perchè fiorenr tine, ci pare una superstizione non diversa da quella di coloro che stando attawati s certe forme antiche e disusaie, scrivono Dubio, Spm'e, Soggetto, Sustanza e simili altre delizie di pedonti. Non diciamo poi nulla, psiche sarebbe un di più, degli errori e idiotismi vol- gari, i quali chi volesse regalare all’ Italia in nome della unità della. lingua, non le fa— rebbe davvero un bel regalo, e risioherebbe di promuovere piuttosto 1’ unità. degli spro« positi, unità poco desiderabile, sebbene per rispetto a spropositi di altro genere siamo un buon pezzo avanti.

E poiché fu nostra intenzione di fare un Vocabolario di lingua comune, cosi abbiamo scartato tutti i riboboli e le fiorentinerie, le quali a nostro giudizio vanno lasciate ai Fio« rentini, che soli sanno, e spesso anche troppo bene, adoperarle s. tempo e luogo. E qui ci sia permesso di disapprovare certa smania, che oggi hanno molti tra i non toscani, di scimmiettm‘ci in questa parte la meno scimmiottabile; i quali appunto col voler esser troppo toscani si danno subito a conoscere per non toscani. E questa imitazione fa tanta forza al giudizio di alcuni, che anche in cose gravi e aliene dallo scherzo usano le ma- niere scherzevoli e comiche del nostro popolo, come se esso ridesse anche quando piange, e schiassasse anche quando si adira, e si dolesse in riboboli delle sue sventure. Noi cre- diamo che costoro siano i peggiori nemici della toscanità, perché, così facendo, lo rendono uggiosu e sazicvole a tutti gli Italiani di senno.

Ma quello che avrà 1’ approvazione (li tutti, poiché non è cosa disputubile per gente di garbo, si e 1’ aver lasciato fuori tutto ciò che in qualche modo riuscisse ad ofi'endere il buon costume, elfiche il libro possa entrare onestamente nella famiglia e nella scuola, e stare sul tavolino così d' un uomo maturo, come di una giovinetta. Nella qual parte se pure una censura ci si potrà. fare, sarà di essere stati forse soverchiamente rigorosi.

Rispetto poi ai linguaggi figurati, che di tanto accrescono le lingue, o sono come v-i ' li pnrlari, noi lasciando facoltà a ognuno di coniarne quanti ne vuole, secondo che l’animo e il gusto gli dettano, registriamo soltanto quelli che sono nell’uso comune. Del resto, se un Vocabolario dovesse tener dietro a tutte le figure, buone o cattive, regolate o srego- late, che scaturiscono vin. via da] cervello di ciascuno, avrebbe alle mani una faccenda da non venirne facilmente a capo. Di molte tra, esse si potrebbe fare pur troppo uno studio, ma non per raccoglierle in un Vocabolario com’ è questo, sibbene per mostrare a. quale de- pravazione di gusto e di senno siamo oggi discesi per opera di una filosofia grossa. come la materia, e della quale in nome della libera scienza si vuol far dono funesto all’Italia.