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parte prima. | 59 |
Candido, ch’era stato educato a non giudicar cosa alcuna da per sè stesso, era molto stupefatto di ciò che sentiva, e Martino trovava la maniera di pensare di Pococurante assai ragionevole.
– Oh, ecco un Cicerone, dice Candido, io credo che vostr’eccellenza non lascerà punto di leggere cotesto grand’uomo. — Io non lo leggo mai, risponde il Veneziano: che m’importa ch’egli abbia difeso la causa di Rabirio o di Cluenzio? Ne ho d’avanzo de’ processi da giudicare; mi sarei adattato a leggere le sue opere filosofiche, ma quando mi son accorto che ei dubitava di tutto, ho concluso che io ne sapeva quanto lui, e che non avevo bisogno d’alcuno per essere ignorante.
– Oh, ecco là ottanta volumi di raccolte d’un’accademia di scienze, dice Martino, può essere che in quelle vi sia del buono. — Ve ne sarebbe, risponde Pococurante, se un degli autori di coteste bagatelle avesse inventato almen l’arte di far delle spille; ma non v’è in tutti que’ libri che vani sistemi, e niuna cosa utile.
— Quante opere di teatro io vedo là! dice Candido, in italiano, in spagnuolo, e in francese. — Sì, osserva il senatore. Ve ne son tremila, ma non ve ne saran tre dozzine delle buone. Quelle raccolte poi di sermoni, che tutti insieme non vagliono una pagina di Seneca, e tutti que’ gran volumi di teologia, credetelo, non si aprono mai, nè da me nè da alcuno.
Vide Martino degli scaffali carichi di libri inglesi. — Io credo, diss’egli, che un repubblicano abbia ordinariamente ad aver piacere di cotesti libri, scritti liberamente. — Sì, rispose Pococurante, è bello scrivere ciò che si pensa, ed è questo un privilegio dell’uomo: in tutta la nostra Italia non si scrive se non quel che non si pensa. Coloro che abitano la patria di Cesare, e degli Antonini non osano aver un’idea, senza la permissione di un domenicano. Io sarei contento della libertà che inspirano gl’ingegni inglesi, se la passione, e lo spirito di partito non corrompesse totalmente ciò che quella preziosa libertà ha di stimabile.
Candido scorgendo un Milton gli dimandò se considerava quell’autore per un grand’uomo. — Chi? dice Pococurante, quel barbaro che fa un lungo commentario, in dieci libri di versi duri, del primo capitolo della Genesi, quel grossolano imitator de’ Greci, che disfigura la creazione, e che mentre fa da Mosè rappresentar l’Ente increato che produce il mondo con una parola, fa prendere un gran compasso dal Messia, in un armadio del cielo, per disegnar la sua opera? Io dovrei forse stimar colui che ha guastato l’inferno e il diavol del Tasso: che Trasforma Lucifero ora in gigante, e ora in pigmeo: che gli