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voce rivelava una vita trascorsa in un ambiente elevato e fine; gli occhi erano chiari ed aperti, più curiosi che fieri, e allo sguardo sapiente, scrutatore, imperioso, del tribuno, non s’abbassarono nè mostrarono alcun segno di vergogna, d’ira o di minaccia. Come tacito riconoscimento dell’impressione favorevole in lui prodotta, il Romano parlò non come padrone a schiavo, ma come uomo più vecchio ad uno più giovane.

— «L’hortator mi dice che tu sei il suo miglior rematore.» —

— «L’hortator è molto buono» — rispose il forzato.

— «Hai servito a lungo? —

— «Quasi tre anni.» —

— «Ai remi?» —

— «Non mi rammento un giorno di interruzione.» —

— «La fatica è grande: pochi uomini la sopportano un anno senza ammalarne, e tu... tu sei ancora un ragazzo!» —

— «Il nobile Arrio dimentica che lo spirito aggiunge tenacia al corpo. Col suo aiuto talora il debole vive là dove un forte perirebbe.» —

— «Il tuo accento ti dice Ebreo.» —

— «I miei avi furono Ebrei prima che Roma esistesse.» —

— «L’ostinato orgoglio del tuo popolo non ti manca» — disse Arrio, osservando un lampo nell’occhio del rematore.

— «L’orgoglio è più vivo quando è cinto di catene.» —

— «E quale ragione hai d’essere orgoglioso?» —

— «L’essere Ebreo.» —

Arrio sorrise.

— «Non fui mai a Gerusalemme» — disse; ma ho sentito parlare dei suoi principi. Ho conosciuto uno di essi. Era mercante e veleggiava sui mari. Era degno di essere un Re. Di qual condizione sei tu?» —

— «Devo risponderti dal banco della galera. Sono uno schiavo. Mio padre era un principe di Gerusalemme, e quale mercante, veleggiava sui mari. Era conosciuto e stimato nel palazzo del grande Augusto.» —

— «Il suo nome?» —

— «Ithamar, della casa di Hur.» —

Il tribuno alzò la mano in atto di stupore.

— «Un figlio di Hur, tu?» —

Dopo una pausa, domandò:

— «Qual delitto ti ha condotto qui?» —

Giuda lasciò cadere il capo sul petto che ansava come