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vato la vita a prezzo della tua. Io lo risconosco pienamente, e, qualunque cosa avvenga, abbi i miei ringraziamenti. Se la fortuna mi favorisce io farò per te tutto ciò che un Romano autorevole e potente può fare per dimostrare la sua gratitudine. Tuttavia non è ancor detto che con tutta la tua buona volontà tu mi abbia reso un servigio; anzi facendo appello al tuo buon volere» — egli esitò — «debbo chiederti un favore. Tu devi promettermi, nel caso che avvenga un certo evento, di compiere per me il più grande favore che un uomo può rendere a un altr’uomo. Dammi la tua parola.» —

— «Se il favore che mi chiedi è cosa lecita, lo farò» — disse Ben Hur.

Arrio riposò nuovamente.

— «Sei tu davvero un figlio di Hur, l’Israelita?» — chiese poi.

— «Lo sono, come ti dissi.» —

— «Io conobbi tuo padre.» —

Giuda s’avvicinò al tribuno la cui voce si affievoliva. Si avvicinò ascoltando con attenzione. Forse stava per aver notizie di casa.

— «Lo conobbi e lo amai» — continuò Arrio.

Vi fu un’altra pausa, durante la quale i pensieri del tribuno volarono altrove.

— «E’ impossibile» — proseguì — «che tu, suo figlio, non abbia udito parlare di Catone e di Bruto. Essi furono grandi uomini, massime nella loro morte. Morendo essi lasciarono questa legge: che un Romano non deve sopravvivere alla sua buona fortuna. Mi ascolti?» —

— «Intendo» —

— «I gentiluomi Romani usano portare un anello. Ne tengo uno al mio dito. Prendilo.» —

Tese la mano verso Giuda che eseguì il suo ordine.

— «Ora metti l’anello al tuo dito.» —

Ben Hur obbedì.

— «Quel gioiello ha un valore» — disse Arrio. — «Io posseggo terre e denaro. Sono un uomo ricco anche secondo i concetti Romani. Non ho famiglia. Mostra l’anello al mio liberto, che amministra i miei beni durante la mia assenza; lo troverai in una villa a Miseno. Digli come ti pervenne, e domandagli quello che vuoi; egli non rifiuterà. Se io vivo farò di più. Ti renderò la libertà, ti restituerò alla tua famiglia; oppure potrai scegliere la professione che più ti aggrada. Mi intendi?» —