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occidentale. Il cammino era più lungo, ma Ben Hur lo accettò senza far parola, pensando che fosse una precauzione necessaria.

Passarono il molo di Simonide, e, davanti alla porta del grande magazzeno, Malluch fermò il suo cavallo.

— «Siamo giunti» — egli disse — «smonta.» —

Ben Hur riconobbe la località.

— «Dov’è lo sceicco?» —

— «Vieni con me. Te lo mostrerò.» —

Un custode prese i cavalli, e quasi prima che Ben Hur si rendesse chiaramente conto di quanto avveniva, egli si trovò di nuovo davanti alla porta della casa sopra il terrazzo, e intese una voce: — «In nome di Dio, entrate.» —


CAPITOLO VII.


Malluch si fermò alla porta; Ben Hur entrò da solo.

La stanza era quella medesima in cui aveva per la prima volta veduto Simonide, e nulla era mutato della sua apparenza, tranne che, presso alla poltrona del vecchio, era stato posto un grande candelabro di bronzo con molte braccia da cui pendevano numerose lampade d’argento, tutte accese. La luce era chiara e illuminava i tavolati delle pareti, la cornice dorata, e la volta di mica viola.

Fatti due passi Ben Hur si arrestò.

Tre persone erano presenti e lo guardavano. — Simonide, Ilderim ed Ester. Egli girò gli occhi dall’uno all’altro come per trovar risposta alla domanda mezzo formulata dal suo cervello: — «Che cosa vogliono da me questi tre?» — A questa tenne subito dietro un’altra:

— «Sono amici o nemici?» —

Finalmente i suoi sguardi si fermarono su Ester. I due uomini gli avevano risposto con espressione bonaria, ma ciò ch’egli lesse nel volto della fanciulla era qualche cosa di più spirituale, che, quantunque sfuggisse ad ogni definizione, penetrò profondamente nell’animo suo. Ebbe per un istante la visione di un altro viso, quella dell’Egiziana, ma si dileguò subito.

— «Figlio di Hur.» —

Egli si voltò verso Simonide.

— «Figlio di Hur» — ripetè il negoziante, sillabando