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— «Non potevi credere diversamente.» —

— «Ebbene: la pianta non è esatta.» —

Il Tribuno lo guardò sorpreso.

— «Non è esatta — ripigliò il custode. — Non parla che di cinque celle esistenti in quel piano, mentre ve ne sono sei.» —

— «Sei, dici?» —

— «Vi mostrerò il piano com’è realmente — o come credo ch’esso sia. Sopra una pagina del suo taccuino disegnò la pianta che segue e la offrì da osservare al tribuno:


CORRIDOIO
V IV III II I
VI


— «Tu hai fatto bene disse il tribuno esaminando narrazione fosse finita. — «Farò correggere la pianta, o, meglio ancora, ne farò fare una nuova da dare a te. Vieni a prenderla domattina.» —

Così dicendo s’alzò.

— «Odimi ancora, o tribuno.» —

— «Domani, Gesio, domani.» —

— «Ciò che ho ancora da dirti è urgente.» —

Il tribuno riprese con bonarietà il suo posto.

— «Mi sbrigherò» — disse il custode umilmente — «solo lascia che ti domandi ancora una cosa. Non avevo il diritto di credere a Grato riguardo a quanto mi disse intorno ai prigionieri della cella numero V?» —

— «Sì, era tuo dovere di credere che vi fossero tre prigionieri nella cella — prigionieri di Stato — ciechi e muti.» —

— «Ebbene» — disse il carceriere — «neppur quello era vero.» —

— «No?» — interruppe il tribuno con interessamento.

— «Senti e giudica tu stesso, o tribuno. Come mi hai ordinato, visitai tutte le celle incominciando da quelle dell’ultimo piano e terminando con quelle del primo. L’ordine