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Il suo volto assunse un’espressione di risolutezza, ed egli battè le mani.

— «I cavalli — presto!» — gridò all’Arabo che si presentò a quel segnale. — «E di’ ad Amrah di mandarmi abiti nuovi, e di portarmi la mia spada! E’ tempo di morire per Israele, amici. Aspettatemi di fuori.» —

Mangiò un tozzo di pane, trangugiò una ciotola di latte, ed uscì.

— «Dove vuoi andare?» — chiese il Galileo.

— «A raccogliere le legioni!» —

— «Ahimè!» — rispose l’uomo, giungendo le mani.

— «Che cosa è successo?» —

— «Maestro» — l’uomo disse vergognosamente — «io ed il mio amico siamo i soli rimasti fedeli. Gli altri hanno seguito i sacerdoti.» —

— «Perchè?» — chiese Ben Hur, arrestando il cavallo.

— «Per ucciderlo.» —

— «Il Nazareno?» —

— «Hai detto.» —

Ben Hur guardò lentamente dall’uno all’altro. Gli sembrava di udire le parole della notte scorsa: — «La coppa che mio Padre mi ha dato, non dovrò io vuotarla?» —

Ed egli ripeteva di nuovo nell’orecchio al Nazareno: — «Dimmi, se io ti porto aiuto, lo accetterai?» — Allora vide chiaro dinanzi agli occhi.

La sua morte era decisa. Quell’uomo l’aveva preveduta e le era andato incontro con piena coscienza, dal primo giorno della sua missione.

Essa gli era imposta da Dio, ed egli l’aveva spontaneamente accettata: che cosa potevano fare gli uomini per impedirla?

Con infinita amarezza pensò alla rovina del suo disegno, al tradimento dei Galilei. Strano che dovesse capitare proprio quella mattina!

Un senso di paura lo colse.

Era possibile che tutto il suo lavoro, i tesori profusi, le sofferenze patite, non fossero stati che un empio contendere con la volontà divina?

Quando raccolse le redini, e disse — «Andiamo avanti, fratelli» — egli non scorgeva innanzi a sè che dubbio ed incertezza. Le sue facoltà s’erano ottuse, e non sapeva prendere una risoluzione.

— «Andiamo fratelli; andiamo sul Golgota.» —