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Pagina:Walpole - Il castello di Otranto, 1795.djvu/234

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“Questo cicaleccio è insoffribile,” interruppe Manfredi; “signor marchese, mandiamo via questa pazzerella; abbiamo cose più importanti da trattar insieme, senza stare ad ascoltar queste fandonie.” “Scusatemi, signor principe,” insistè Federigo, “queste non mi paion del tutto fandonie: la smisurata spada che, essendo nella foresta, fui mandato a scavare, e l’elmo ad essa proporzionato, il quale è nel cortile di questo castello vi sembrano fantasie d’un cervello donnesco?” “Così dice anche Iacopo,” soggiunse Bianca; “anzi egli è di parere che avanti la luna nuova debbano quì vedersi delle strane rivoluzioni: in quanto a me, non mi farebbe maraviglia se ciò accadesse domani, perchè, siccome io dicevo, quando ho sentito il rumore dell’armatura, mi è venuto il sudor freddo... ho guardato in su, e se Vostr’Altezza mi vuol credere, ho veduto sulla balaustrata superiore dello scalone un braccio grosso grosso, e coperto di ferro... c’è mancato poco ch’io non sia