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In vedetta 185

fosse poco cambiato l’uomo del popolo malgrado la trasformazione visibile della sua condizione. La vita e la proprietà, erano invero al riparo dalla violenza da un capo all’altro del mondo: le malattie contagiose, le infezioni di ogni specie, erano praticamente scomparse: ciascuno aveva a sufficienza di che mangiare e di che vestirsi; era riscaldato per le strade della Città e riparato dalle intemperie; il cammino quasi meccanico della scienza e l’organizzazione materiale della società avevan compiuti veri progressi. Ma già egli si accorgeva che il popolo era sempre il popolo, senza difesa, in potere del demagogo e dell’organizzatore, individualmente codardo e guidato dall’appetito, collettivamente volubile e incomprensibile. Il ricordo della folla vestita di tela azzurro pallido, gli tornava ora in mente. Egli sapeva che laggiù, sotto di lui, milioni di quegli esseri, uomini e donne, non erano mai usciti dalla città, non avevano mai veduto niente al di là del piccolo cerchio della loro partecipazione inintelligente e penosa al cammino del mondo o a’ suoi piaceri turbolenti e falsi che non giungevano a soddisfarli. Pensò alle speranze de’ suoi contemporanei, e per un momento gli tornò in mente, come illusione distrutta, il sogno narrato da William Morris nelle sue maravigliose «Novelle di nessuna parte» e il paese perfetto descritto da Hudson nella sua «Età di cristallo» e pensò pure alle proprie speranze....

Negli ultimi giorni della sua vita anteriore, ora così lontana nel passato, la concezione di un’umanità libera e uguale, era divenuta per lui una ipotesi veramente realizzabile. Con una convinzione temeraria, egli aveva sperato, come l’aveva invero sperato tutta