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INTRODUZIONE



Imago-inis; con questo termine, in latino, si designava la "forma esteriore degli oggetti corporei, in quanto percepita attraverso il senso della vista".

L’immagine ha da sempre avuto un ruolo rilevante e controverso nell’ambito della cultura umanistica: essa è stata amata, odiata, venerata e persino bandita.
Vilém Flusser, filosofo e scrittore ceco, ritiene che l’immagine nasca con l’uomo stesso, "con la sua capacità di astrarre dall’ambiente circostante e di simbolizzare gli elementi fondamentali della realtà mondana".

In ogni epoca, infatti, l’uomo ha realizzato oggetti figurativi con lo scopo di attrarre lo sguardo, ma anche per educare, promuovere, informare.
In un solo, e unico termine: comunicare.

Perché l’immagine ha da sempre lottato per essere stimata al pari degli altri linguaggi comunicativi; essa rivendica la propria autonomia, specialmente nei confronti del linguaggio, autonomia che non ha fatto che rafforzarsi grazie all’ avvento della videosfera.

A tal proposito Mitchell scrive: "Le immagini vogliono avere gli stessi diritti del linguaggio, non essere trasformate in linguaggio. Non vogliono essere ridotte ad una "storia dell’arte", ma vogliono essere adottate come individui complessi che assumono una molteplicità di posizioni soggettive e di identità".1

La visione diviene importante quanto il linguaggio, ma, allo stesso tempo, non riducibile ad esso.

  1. W.J.T. Mitchell, Che cosa vogliono le immagini, in A. Pinotti, A. Somaini (a cura di), Teorie dell ’immagine. Il dibattito contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano, 2009 cit, pp. 1 19-20,