Pagina:Yambo, Ciuffettino.djvu/235

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— Sì, sono forestiero - dichiarò Ciuffettino.

— Hai il permesso del re?

— L’ho lasciato a casa...

— Allora, scusa tanto, ma devi venir con noi...

— E dove?

— In prigione!...

Ciuffettino pianse e si disperò, ma i suoi pianti e le sue disperazioni non approdarono a nulla: l’uomo dell’elefante, che era anche il capo delle guardie di Sbadigliopolis, capitale del regno dei Fannulloni, aveva già reclinato il capo sul petto e si era messo a russare come un contrabbasso. Una guardia, che veniva dietro l’elefante, lemme lemme, gettò una corda al collo di Ciuffettino e lo trascinò seco.

Il nostro ragazzo fu gettato in una tetra carcere, dove attese il giudizio del tribunale supremo.

Nei casi ordinarî un accusato doveva attendere almeno sette od otto mesi prima di subire il primo interrogatorio: ma trattandosi di un forestiero, il re, che era anche, non si sa per qual motivo, capo del tribunale, fece un’eccezione alla regola: e chiamò dinanzi alla corte augusta il ragazzo dopo soli tredici giorni di carcere preventivo.

Sul banco dei giudici, tanto per cambiare, tutti dormivano. Solo il re, in un seggio speciale, si sforzava di tener gli occhi aperti per vedere l’accusato.

Ma ci vedeva poco, l’illustre Pipino il losco, re dei Fannulloni. E quindi, svegliando il cancelliere, che russava ai suoi piedi, mormorò:

— Dov’è, questo forestiero?

— E’ lì... in mezzo alla stanza...

— Ah! Ecco, ecco, ecco... mi pare... ma che cos’è? Uno scarafaggio?