Pagina:Yambo, Ciuffettino.djvu/61

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teneva il capo fuori della tasca, si sentiva mancare il respiro per l’aria tagliata violentemente dal lupo, il quale filava con la velocità di una locomotiva.

Corri, corri, il bosco fu oltrepassato: si tagliò un vasto piano deserto, e di nuovo rieccoti un bosco. Corri, corri, anche quel bosco fu oltrepassato: e rieccoti un piano, poi un altro bosco.

Le ore passavano, e il lupo mannaro raddoppiava di lena, perchè voleva giungere a casa prima che l’alba ranciata sorgesse in cielo. Fatica il lupo non ne sentiva, ma fame, sì e di molta. Perciò, di tanto in tanto, dava certi sbadigli screanzati che rintronavano all’intorno, lugubremente, e facevano sussultare il povero Ciuffettino, il quale, a furia di sentirsi sballottare a quella maniera, aveva finito con l’appisolarsi, e di tanto in tanto sognava... sognava di trovarsi a tavola, con la mamma, con il babbo, mangiando le fettuccine al pomodoro, e il pane imburrato di sotto e di sopra... e tirando, di sotto la tavola, dei calci formidabili al vecchio Gigi... o pure sognava di andare ai burattini, e di esser chiamato dal burattinaio per assistere alle nozze cospicue di Florindo e di Rosaura... La sua simpatia, fra i burattini del Castello di Cocciapelata, era Arlecchino: ed egli sognava appunto di trovarsi accanto ad Arlecchino, di ridere e di far le capriòle con lui...

Ma, ad ogni sbadiglio del lupo mannaro, il povero figliuolo si destava di soprassalto, ed era così richiamato, bruscamente, alla terribile realtà.

Già le prime luci dell’alba cominciavano a baluginare in cielo, e di su i rami gli uccelletti squittivano, spollinandosi e ripulendosi per bene le alucce molli di rugiada.

— Signor lupo mannaro... mi farebbe la cortesia