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10Deh non prendete, occhi miei cari, a sdegno
Che ciò fa chi ben crede e spera in Dio.
Io vi bendo occhi miei perchè discerno,
Che così farò pago il gran desìo,
C’ho di fissarmi nel bel Sole eterno.
III
Rapace mano un dì, che Amor dormìa,
Del fianco gl’involò l’arco e gli strali,
E desto il cattivel cercando gìa
Delle care perdute armi fatali;
5Quando a caso passò Donna per via
D’alte bellezze alle celesti eguali;
Ei visto il doppio lume, onde ferìa,
Repente a quel fulgor dispiegò l’ali.
Ivi lo spiritello, ivi s’ascosse,
10E me, che del suo mal rider già vide,
Con quei begli occhi a saettar si pose.
Poi disse: Or vanne, ed il tuo cuor s’affide
A beffarsi d’Amor: tal fin propose
In Cielo, in Terra a chi di lui si ride.
IV
Nobil gara tra’ Numi in Ciel s’accese
Di coronar, Vittorio, il tuo gran merto:
Io, disse Apollo, del mio laureo serto
Il debb’ornar, che mai dolce arte apprese.
5A me convien, Cillenio anche a dir prese,
Che lo rendei nel ben parlar sì esperto:
A me, proruppe Astrea, che’l dubbio incerto
Mar delle Leggi mie scorse e comprese.
Or via pongasi fine alla gran lite,
10Replicò Apollo; niun di voi giù scenda,
Ma pur si faccia in questa guisa: udite.
Per man del nostro alto Averanio ei prenda
L’alma corona, che in lui tutte unite
Son le bell’Arti, e ad imitarlo attenda.
V
Gli Astri più bei della superna mole