Pagina:Zeno, Apostolo – Drammi scelti, 1929 – BEIC 1970951.djvu/229

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Andromaca. Si; ch’ei non tolga un giorno

a Telemaco tuo d’Itaca il regno.
Ulisse. Telemaco rammenti? Oh scellerata!
Andromaca. Qui non Ulisse, il messager de’ greci
mi parla.
Ulisse. E mi dileggi? E tu facesti
perir quell’innocente?
Andromaca. Tu ne ignori il destino e rea mi accusi?
Ulisse. Spira egli aure di vita o giace estinto?
Andromaca. Ne’ regni della morte ei sta vivendo.
Ulisse. Siagli tosto compagno il tuo Astianatte.
Andromaca. Sei consolato. Or va, riporta a’ greci
si grato annunzio. Esca il premuto duolo:
d’ Ettore il figlio e mio sta giá sepolto.
Ulisse. Falso è quel pianto. Ulisse io sono, e d’altre
madri, e madri anche dèe, vinte ho le frodi.
Andromaca. Senti. Prego il gran Giove e Pluto e Dite
e 1’ Erinni implacabili che quanto
di mal può farmi Ulisse, ora mi faccia,
se non è ver che serra
lo stesso avel Telemaco e Astianatte.
Ulisse. (Spenta è dunque con lui la mia vendetta?
Che fo? Lo credo? E a chi lo credo? A donna
e madre? No, qui ci vuol tutto Ulisse.)
Andromaca. Ristretto in sé medita nuovi inganni.
Ulisse. Da’ grazie al ciel di non aver piú figlio,
ché s’ei vivesse, dall’iliaca torre
precipitato e lacero il vedresti.
Andromaca. (M’abbandona lo spirto. Oimè, che orrore!)
Ulisse. (Tradi il timor la madre. In questa parte
diamle altro assalto.) (ai soldati) Ite veloci e ovunque
lo ritrovate, a forza
e per le chiome a me il traete, o servi.
Non lasciate ruina, antro o sepolcro.
(Andromaca si volge spaurita indietro)
Ti volgi addietro e temi?
Di che? Morto è Astianatte.