Pagina:Zibaldone di pensieri I.djvu/171

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(43-44) pensieri 145

gli altri sí, e con ragione; poi lo scemano immaginando quanto possono, e cosí non temono se non in quei rari casi nei quali sopraggiunge un male cosí evidente e reale e che li tocchi in modo che non possano ingannarsi, giacché, anche sopraggiunto che sia, molte volte non lo credono affatto male, cioè non lo voglion credere. E questi che  (44) forse spesso passano per coraggiosi, sono i piú vigliacchi che mai, giacché non sanno sostenere non solo la realtà ma neppur l’idea dell’avversità, e quando hanno sentore di qualche disgrazia che loro sovrasti o sia accaduta, subito corrono col pensiero, ad arroccarsi e trincerarsi e chiudersi e incatenacciarsi poltronescamente in dire fra se che non sarà nulla. Onde si vede alla prova delle evidenti disgrazie, come sieno codardi e si disperino, e dieno in frenesie e smanie da femminucce con urli pianti preghiere; tutte cose vedute e notate effettivamente da me in uno di cui ho e naturalmente doveva avere una gran pratica, del quale per l’altra parte è un perfettissimo e appropriatissimo ritratto quello che ho detto di sopra. Del resto è cosa pur troppo evidente che l’uomo inclina a dissimularsi il male e a nasconderlo a se stesso come può meglio; onde è nota l’εὐφημία degli antichi greci che nominavano le cose dispiacevoli τὰ δεινὰ con nomi atti a nascondere o dissimulare questo dispiacevole, (del che vedi Elladio appo il Meursio), la qual cosa certo non faceano solamente per cagione del mal augurio. E anche in italiano si dice, se Dio facesse altro di me, per dire, s’io morissi, (vedi la Crusca in Altro), e in latino in questo istesso caso, si quid humanum paterer, mihi accideret etc. e cosí in cento altri casi.


*   Un argomento chiaro di quanto poco i greci studiassero il latino cosí assolutamente, come in particolare rispetto a quello che i latini studiavano il greco, è quello che dicono Plutarco nel principio del