tavia si prevalevano del sentimento stesso di questo nulla per mendicar gloria; e quanto piú era vivo in loro il sentimento della vanità delle illusioni, tanto piú si prefiggevano e speravano di conseguire un fine illusorio, e col desiderio della morte vivamente sentito e vivamente espresso non cercavano altro che di proccurarsi alcuni piaceri della vita. E cosí tutti i filosofi che scrivono e trattano le miserabili verità della nostra natura, e ch’essendo privi d’illusioni, in fondo non cercano poi altro veramente col loro libro che di crearsi e godersi alcuni illusorii vantaggi della vita (vedi Cicerone, pro Archia, c. 11). Tant’è: la natura è cosí smisuratamente piú forte della ragione, che, ancorché depressa e indebolita oltre a ogni credere, pure gli resta abbastanza per vincere quella sua nemica, e questo negli stessi seguaci suoi e in quello stesso momento in cui la predicano e la divulgano; anzi con questo stesso predicare e divulgar la ragione contro la natura la danno vinta alla natura sopra la ragione. (216) L’uomo non vive d’altro che di religione o d’illusioni. Questa è proposizione esatta e incontrastabile: tolta la religione e le illusioni radicalmente, ogni uomo, anzi ogni fanciullo, alla prima facoltà di ragionare (giacché i fanciulli massimamente non vivono d’altro che d’illusioni) si ucciderebbe infallibilmente di propria mano, e la razza nostra sarebbe rimasta spenta nel suo nascere per necessità ingenita e sostanziale. Ma le illusioni, come ho detto, durano ancora a dispetto della ragione e del sapere. È da sperare che durino anche in progresso: ma certo non c’é piú dritta strada a quello che ho detto di questa presente condizione degli uomini, dell’incremento e divulgamento della filosofia da una parte, la quale ci va assottigliando e disperdendo tutto quel poco che ci rimane; e dall’altra parte della mancanza positiva di quasi tutti gli oggetti d’illusione, e della mortificazione reale, uniformità, inattività, nullità ec. di tutta