Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/147

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134 pensieri (689-690-691)

italiana, se vuole); pieghevole, robusta o delicata secondo l’occorrenza; piena di sève, di sangue e di colorito ec. ec. Delle quali proprietà qualche avanzo se ne può notare nella Sévigné e nel Bossuet e in altri scrittori di quel tempo. Talmente che s’ella fosse rimasta quale ho detto, non sarebbe mai stata universale, con che vengo a dir tutto. E s’ella prima della sua mortifera riforma avesse avuto tanto numero di cultori quanto n’ebbe l’italiana, che l’avessero condotta, secondo il suo carattere primitivo e d’allora, alla perfezione, come fu condotta la nostra, sarebbe anche piú evidente questo ch’io dico  (690) della prima e originale natura nella lingua francese, la quale ben si congettura efficacemente dalla considerazione de’ loro antichi scrittori, ma non si può pienamente sentire, perch’ella non ebbe scrittore perfetto in quel primo genere o non ne ebbe quanto basta. Né quel primo genere prese mai stabilità, ma quando le fu data forma stabile e universale nella nazione fu ridotta, quale oggi si trova, ad essere in ogni possibile genere di scrittura piuttosto una serie di sentenze e di pensieri esattissimamente esposti e ordinati, che un discorso. Dove l’intelletto e l’utilità non desidera nulla, ma l’immaginazione, il bello, il dilettevole, la natura, i sensi ec. desiderano tutto (24 febbraio 1821).


*    Il secolo del cinquecento è il vero e solo secolo aureo e della nostra lingua e della nostra letteratura.

Quanto alla lingua, moltissimi disconvengono da questo ch’io dico, volendo che il suo vero secol d’oro fosse il trecento. Ma osservino. Quasi tutti gli scrittori del cinquecento, toscani o non toscani, hanno bene e convenientemente  (691) adoperata la nostra lingua e tutti piú o meno possono servire di norma al bello scrivere, e sarebbe ammirato e studiato uno scrittore d’oggidí che avesse tanti pregi di lingua quanto l’infimo de’ mediocri scrittori di quel tempo.