Pagina:Zibaldone di pensieri III.djvu/48

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34 pensieri (1250-1251-1252)

che il volgo toscano non usi; che insomma quello che non è toscano, anzi fiorentino, anzi pure di Mercato Vecchio, non sia italiano. Quando, come abbiamo veduto, non la letteratura al volgo, ma il volgo è totalmente subordinato alla letteratura, e quello è ai servizi e giova ai comodi di questa e non già questa di quello. E la letteratura forma e dispone della favella che prende dal volgo e non viceversa. E le aggiunge quel che le piace e se ne serve sin dove può, e dove la favella del volgo non le può servire, l’abbandona o in parte o in tutto. Insomma, abbiamo lodato la lingua italiana scritta perché ha saputo giovarsi del linguaggio popolare piú e meglio forse  (1251) di qualunque altra lingua moderna, e perché non l’ha mai licenziato da’ suoi servigi come hanno fatto si può dir tutte le altre (anche la greca dopo un certo tempo, e lo farebbe anche l’italiana se non la richiamassimo, anzi lo andrebbe già facendo), non già perch’ella si sia sottomessa alla favella del volgo, molto meno del volgo di una sola provincia o città, che né essa l’ha fatto o potuto fare, né facendolo sarebbe stata superiore, ma inferiore a tutte le altre, né noi l’avremmo lodata, ma sommamente biasimata. Da tutto ciò segue ancora che la lingua italiana scritta può servirsi di qualunque altro volgare, come faceva la lingua greca, anzi la stessa attica, e che è pazzo il privilegio esclusivo che si arrogano i toscani sulla lingua comune, se non in quanto non si possano tôrre da questi volgari quelle cose che non convengono a detta lingua comune.

Parimente soggiungo. Molti scrittori toscani e italiani hanno preso del volgare toscano piú di quello che ne potessero prendere, che fosse intelligibile o aggradevole ec. da per tutto, che convenisse all’indole e alle forme della lingua italiana regolata e scritta, che potesse comunicarsi  (1252) alla nazione, e di toscano e provinciale divenir nazionale e italiano, che riuscisse nobile e adatto ad una lingua scritta e ad una