Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/150

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138 pensieri (2265-2266-2267)

posito, ma propriamente non vale pacificamente, ma senza far guerra, senza molestare, in pace insomma come noi diciamo. Osservo ancora che questo costume, proprio dell’italiano e dello spagnuolo, è anche proprio del greco, certo assai piú di questo che del latino scritto. E siccome è certo che le dette lingue moderne non possono averlo derivato dal greco, cosí è ben verisimile  (2266) che l’abbiano dal volgare latino, tanto piú simile al greco che non è il latino scritto (per la qual cosa anche l’indole dello spagnuolo e dell’italiano somiglia piú al greco che al latino scritto). E piú simile per due cagioni: 1,o che egli è piú antico, serba meglio i caratteri della sua origine, di quel tempo cioè in cui esso insieme col greco derivò da una stessa fonte; 2,o che il greco scritto, cioè quel solo che noi ben conosciamo, fu senza paragone piú simile al greco parlato di quello che il latino parlato allo scritto (21 dicembre 1821).


*    Alla p. 2250, margine. E il qu non formava sempre una sillaba sola, qualunque vocale egli precedesse? aequus, aequa, aequi, aequos, aeque ec. Non accade dire che il qu si considerava come consonante semplice (vedi il Forcellini in U e in Q). Nella pronunzia esso era, ed è anche oggi in italiano, non una semplice consonante, ma una vera sillaba, come cu, e lo sarà sempre per natura della  (2267) favella umana; e quindi aequus era naturalmente, parlando, assolutamente trisillabo. E nondimeno i latini lo facevano sempre dissillabo.

La considerazione dei dittonghi (fra’ quali il qua que ec. non fu mai contato) mostra essa sola che i latini avevano realmente nella natura della loro pronunzia, massime anticamente, la proprietà di esprimere il suono delle vocali doppie in un solo tempo, cioè come una sola sillaba. Giacché senza dubbio ai (antico) ae oe ec. si pronunziarono da principio sciolti,