Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/121

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116 pensieri (4185-4186-4187)

uno stesso principio, e ne sono conseguenze necessarie non meno l’una  (4186) che l’altra. Riconosciuta la impossibilità tanto dell’esser felice, quanto del lasciar mai di desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza della vita dell’anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che l’infelicità dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro né deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicità universale è tanto maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza è piú sentita; resta che il sommo possibile della felicità, ossia il minor grado possibile d’infelicità, consista nel minor possibile sentimento di detta tendenza. Le specie e gl’individui animali meno sensibili, men vivi per natura loro, hanno il minor grado possibile di tal sentimento. Gli stati di animo meno sviluppato, e quindi di minor vita dell’animo, sono i meno sensibili, e quindi i meno infelici degli stati umani. Tale è quello del primitivo o selvaggio. Ecco perché io preferisco lo stato selvaggio al civile. Ma incominciato ed arrivato fino a un certo segno lo sviluppo dell’animo, è impossibile il farlo tornare indietro, impossibile tanto negl’individui che nei popoli l’impedirne il progresso. Gl’individui e le nazioni d’Europa e di una gran parte del mondo hanno da tempo incalcolabile l’animo sviluppato. Ridurli allo stato primitivo e selvaggio è impossibile. Intanto dallo  (4187) sviluppo e dalla vita del loro animo, segue una maggior sensibilità, quindi un maggior sentimento della suddetta tendenza, quindi maggiore infelicità. Resta un solo rimedio: la distrazione. Questa consiste nella maggior somma possibile di attività, di azione, che occupi e riempia le sviluppate facoltà e la vita dell’animo. Per tal modo il sentimento della detta tendenza sarà o interrotto, o quasi oscurato, confuso,