Pagina:Zibaldone di pensieri VII.djvu/226

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(4274-4275) pensieri 219

studiosamente cercano e tanto cupidamente abbracciano le occasioni di rompersi coll’amico, eziandio frivolissime, ed eziandio tali che essi medesimi nel fondo del loro cuore non possono a meno di non discolpar l’amico, e di non conoscere che quella offesa o dispiacere, almen secondo ogni probabilità, non venne da volontà determinata di offenderli (7 aprile 1827).


*    Perché l’esistenza dell’universo fosse prova di quella di un essere infinito, creatore di esso, bisognerebbe provare che l’universo fosse infinito, dal che risultasse che solo una potenza infinita l’avesse potuto creare. La quale infinità dell’universo, nessuna cosa ce la può né provare, né darcela a congetturare probabilmente. E quando poi l’universo fosse infinito, la infinità sarebbe già nell’universo, non sarebbe piú propria esclusivamente del creatore, di quell’essere unico e perfettissimo; allora bisognerebbe provare che l’universo non fosse quello che lo credono i panteisti e gli spinosisti, cioè dio esso medesimo; ovvero, che l’universo, essendo infinito di estensione, non potesse anco essere infinito di tempo, cioè eterno, stato sempre, e sempre futuro. Nel qual caso non avremmo piú bisogno di un altro ente infinito. Il quale sarebbe sempre ignoto e nascosto: dove che l’universo è palese  (4275) e sensibile (7 aprile, sabato di Passione, 1827, Recanati). Chi vi ha poi detto che esser infinito sia una perfezione?


*    Alla p. 4245. Un’altra cagione per la quale io amo la μονοφαγία è per non avere (come necessariamente avrei se mangiassi in compagnia) dintorno alla mia tavola, assistenti al mio pasto, d’importuns laquais, épiant nos discours, critiquant tout bas nos maintiens, comptant nos morceaux d’un oeil avide, s’amusant à nous faire attendre à boire, et murmurant d’un trop long dîner (Rousseau, Émile). Disgraziatamente