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il paradiso delle signore

dici dimoravano fuori, da una zia o da una cugina, supposte...

Dionisia si levò subito il vestito di lana consunto a forza di spazzolarlo e rammendato nelle maniche, l’unico che avesse portato via da Valognes. Poi si mise l’uniforme della sua sezione, un vestito di seta nera che le avevano adattato alla meglio e che l’aspettava steso sul letto. Le era ancora un po’ grande e troppo largo di spalle: ma, commossa com’era, fece tanto presto, che non badò nemmeno a quelle piccolezze. Non aveva mai avuto un vestito di seta; e quando scese, tutta in gala, non sapendo che dire e che fare, nel vedere il lucido della sottana e sentirne il fruscio, quasi se ne vergognava.

Quando fu per entrare nella sezione, udí un battibecco. Clara diceva con la sua voce stridula:

— Sono arrivata prima io!

Non è vero, — rispondeva Margherita — m’ha dato uno spintone sull’uscio; ma il piede l’avevo di già nella sala.

Leticavano per l’ordine della vendita. Le ragazze, a mano a mano che arrivavano, scrivevano il nome sopra una lavagna; e via via che una aveva servito una cliente, riscriveva il suo nome dietro a quello delle altre. La signora Aurelia diede ragione a Margherita.

— Sempre queste angherie! — borbottò piena di rabbia Clara.

Ma l’arrivo di Dionisia riconciliò le ragazze; la guardarono e sorrisero. Come aveva fatto a rinfagottarsi in quel modo?

La giovinetta andò goffamente a iscriversi sulla lavagna, e fu l’ultima. La signora Aurelia la guardava intanto inquieta: né poté trattenersi dal dirle:


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