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il paradiso delle signore

mato. E sui banchi, le sete di fantasia, i rasi, i velluti, parevano aiuole coperte di fiori recisi, aie accoglienti una messe di tessuti delicati e preziosi. Era quella la sezione elegante, una sala vera, dove le merci, leggiere, non erano altro che una mobilia di lusso.

— Per domenica — riprese l’Hutin — ho bisogno di cento franchi; se non guadagno in media i miei dodici franchi al giorno, son bell’e fritto... Ci avevo fatto assegnamento su questa bella apertura.

— Cento franchi? Salute! — disse il Favier. — Per me, cinquanta o sessanta mi bastano... Voi non vi contentate, pare, di donnette di mezza tacca... volete generi fini.

— Ma no, caro mio. Figuratevi: ho fatto una scommessa, e l’ho persa... E ora mi tocca invitare cinque persone: due uomini e tre donne... Si starà a vedere: la prima che passa, le appioppo venti metri della «Parigi-Paradiso»!

Seguitarono a chiacchierare per un altro po’, raccontandosi ciò che avevan fatto il giorno innanzi e ciò che si proponevan di fare la domenica dopo. Il Favier si divertiva a scommettere nelle corse; all’Hutin piaceva andare in barca, e andar dietro alle cantanti dei caffè. Ma avevano tutt’e due un bisogno continuo di quattrini; dal lunedí al sabato si arrabattavano per guadagnare, e la domenica rimanevano nudi e bruchi. Nel magazzino non avevano altro pensiero che quello; né, anche volendo, avrebbero potuto liberarsene. E quel furbo del Bouthemont, che s’era presa per sé la donna inviata dalla Sauveur, quella magra con cui discorreva: un buon affare, due o tre dozzine di pezze di stoffa, perché la grande modista non comprava


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