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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/262

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zola

pino, se l’era ripreso con sé, e lo metteva la notte a dormire su un vecchio canapè prestato dal Bourras. Anche a fare alla meglio, le ci voleva un franco e mezzo il giorno, compresa la pigione, mangiando lei pane solo, per dare un po’ di carne al bambino.

Per i primi quindici giorni, tanto tanto, tirò innanzi; le erano rimasti quindici franchi ed ebbe anche la fortuna di ritrovare la donna delle cravatte e riavere i diciannove franchi. Ma poi la miseria si fece estrema. Ebbe un bel presentarsi ai magazzini, alla Piazza Clichy, al Buon mercato, al Louvre: s’era nella stagione morta, e tutti le dicevano di tornare a ottobre. Piú di cinquemila impiegati nel commercio, licenziati come lei, eran sul lastrico. Cercò allora di procacciarsi lavorucci; ma non essendo pratica di Parigi, non sapeva dove rivolgersi, faticava molto, e non sempre riscoteva. Qualche sera faceva desinare Beppino solo, con un po’ di zuppa, dicendogli che lei aveva mangiato fuori: e andava a letto con la testa che le ronzava e senza sentir la fame per la febbre che le bruciava le mani.

Quando Gianni piombava in mezzo a quella miseria, si dava del furfante con tanta disperazione, ch’ella era obbligata a dirgli delle bugie; spesso anche trovava modo di fargli scivolare nelle mani un paio di franchi, per provargli che aveva qualche soldo da parte. Non piangeva mai in faccia ai ragazzi, piena d’un coraggio bello e sereno. Quando poteva, la domenica, mettere sul fuoco un po’ di manzo, inginocchiandosi davanti al caminetto, la stanzuccia sonava tutta di un’allegria di ragazzi che non si dan pensiero della vita. Ma dopo che Gianni era tornato dal padrone e Beppino s’era addormentato, ella pas-


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