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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/286

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zola


— Li sentite, eh? si direbbe che mangiano i muri! e in cantina, nel granaio, dappertutto, c’è lo stesso rumore di una sega che morde l’intonaco... Non ho mica paura io! Non mi schiacceranno facilmente; non sono di cartapesta; non mi muovo, io, neanche se mi scoperchiano il tetto, e se mi fanno cader la pioggia a catinelle sulle lenzuola.

In quei giorni il Mouret fece fare al Bourras nuove proposte: tutto compreso, non gli avrebbero dato meno di cinquantamila franchi. Il vec chio s’infuriò più che mai, e rifiutò con insolenze. Li dovevan rubare quei birbaccioni, se pagavano cinquantamila franchi ciò che non ne valeva diecimila! E difendeva la sua bottega come una ragazza difenderebbe la sua virtú, per l’onore, per il rispetto di se stesso.

Dionisia vide il Bourras in pensiero per una quindicina di giorni. Si aggirava febbrilmente, misurava i muri della casa, la guardava di mezzo alla strada come se fosse un architetto. Una mattina, finalmente, vennero degli operai. Era la gran battaglia; l’ombrellaio voleva temerariamente combattere col Paradiso ad armi uguali, e si rassegnava al lusso moderno. Quando lo vedessero splendere nella sua novità, le signore tornerebbero certo alla bottega, che pareva loro troppo triste. Da principio ristuccarono le screpolature e ritinsero la facciata; poi inverniciarono tutta la mostra di un verde chiaro, e perfino dorarono il cartello. I tremila franchi, che il Bourras teneva da parte come ultimo aiuto, se n’andarono cosí in fumo. La gente del quartiere andava in visibilio; e veniva a goderseli tutti quegli splendori: egli aveva persa la testa, e non gli pareva piú d’esser lui. Né gli pareva piú


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