Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
zola |
e siccome il Mouret, un po’ meravigliato, insisteva dicendo:
— Ma, insomma, qualche cosa devi pur fare... Che fai?
— Nulla! — rispose da capo.
Ottavio si mise a ridere. Nulla, era troppo poco. A pezzi e bocconi riuscí a sapere la storia di Paolo, storia comune a tutti i giovani senza patrimonio che credono d’essere obbligati dall’origine loro a scegliersi una professione liberale, e poi si accasciano in una vanitosa mediocrità, abbastanza contenti se non crepano di fame, pure avendo i cassetti zeppi di diplomi. Aveva studiato legge per tradizione di famiglia; dopo era rimasto a carico della madre, vedova e già impensierita per due figliuole da accasare. Finalmente s’era vergognato, e, lasciando le tre donne tirare innanzi alla meglio con le briciole del patrimonio, s’era adattato a un posticino nel ministero dell’interno, e vi si teneva rannicchiato come una talpa nella sua buca.
— E quanto guadagni? — chiese il Mouret.
— Tremila franchi.
— Dio santo! Ah! povero figliuolo, mi dispiace per te... Ma come? un ragazzo, che ci metteva tutti nel sacco! E non ti danno che tremila franchi dopo averti incretinito per cinque anni? No, no; non è giusto.
S’interruppe: e, pensando a sé:
— Io poi, feci loro una bella riverenza... Lo sai, eh!, che cosa fo io...
— Sí, — disse il Vallagnosc. — M’han detto che fai il commerciante. Hai quel grande magazzino in Piazza Gaillon, non è vero?
— Sicuro... Fo il merciaio, figliuolo mio, il merciaio!
96 |