Pagina:Le confessioni di Lev Tolstoj.djvu/55: differenze tra le versioni

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ciò che mi circondava da ogm parte ― la vita di tutta l'umanità ― come ho potuto ingannarmi così ridicolmente, fino al punto di pensare che la mia vita e quelle di Salomone e di {{AutoreCitato|Schopenauer}} fossero la vera vita, la vita normale, mentre la vita di miliardi d'altri esseri era semplicemente una circostanza senza valore? Per quanto strano ciò mi paia ora, vedo che fu proprio così. Nell'orgoglio del mio spirito mi pareva indiscutibile che io, con Schopenhauer e Salomone, avessi posto la questione sul terreno della verità e dell'esattezza e che non potesse esservene un altro.
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Ero così convinto che tutti quei miliardi di esseri non erano ancora arrivati a comprendere tutta la profondità della questione, che, cercando il senso della vita, non pensai una sola volta: «Ma che senso hanno dato alla loro vita quei miliardi di esseri che vivono e che vissero?» Per lungo tempo io vissi in questa follia, propria particolarmente, non nelle parole ma negli atti, a noi, liberali e sapienti.
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Forse è in grazia della mia affezione strana, della mia simpatia fisica per il popolo operaio che ho infine scorto e compreso ch'esso non è certo sciocco come lo pensiamo. Oppure, in grazia della sincerità della mia convinzione che non potevo saper nulla e che il meglio che poteva che potessi fare era l'impiccarmi, ho sentito che, se volevo vivere e comprendere il senso della vita, dovevo cercare questo senso non presso quelli che, avendo perduto il senso della vita, vogliono uccidersi, ma presso quella moltitudine di esseri umani che ha vissuto e che vive, che organizza e sopporta la sua vita e la nostra.

Mi rivolsi dunque alle enormi masse degli uomini che hanno vissuto e che vivono semplici,

Versione delle 13:01, 14 dic 2012

ciò che mi circondava da ogm parte ― la vita di tutta l'umanità ― come ho potuto ingannarmi così ridicolmente, fino al punto di pensare che la mia vita e quelle di Salomone e di {{{2}}} fossero la vera vita, la vita normale, mentre la vita di miliardi d'altri esseri era semplicemente una circostanza senza valore? Per quanto strano ciò mi paia ora, vedo che fu proprio così. Nell'orgoglio del mio spirito mi pareva indiscutibile che io, con Schopenhauer e Salomone, avessi posto la questione sul terreno della verità e dell'esattezza e che non potesse esservene un altro.

Ero così convinto che tutti quei miliardi di esseri non erano ancora arrivati a comprendere tutta la profondità della questione, che, cercando il senso della vita, non pensai una sola volta: «Ma che senso hanno dato alla loro vita quei miliardi di esseri che vivono e che vissero?» Per lungo tempo io vissi in questa follia, propria particolarmente, non nelle parole ma negli atti, a noi, liberali e sapienti.

Forse è in grazia della mia affezione strana, della mia simpatia fisica per il popolo operaio che ho infine scorto e compreso ch'esso non è certo sciocco come lo pensiamo. Oppure, in grazia della sincerità della mia convinzione che non potevo saper nulla e che il meglio che poteva che potessi fare era l'impiccarmi, ho sentito che, se volevo vivere e comprendere il senso della vita, dovevo cercare questo senso non presso quelli che, avendo perduto il senso della vita, vogliono uccidersi, ma presso quella moltitudine di esseri umani che ha vissuto e che vive, che organizza e sopporta la sua vita e la nostra.

Mi rivolsi dunque alle enormi masse degli uomini che hanno vissuto e che vivono semplici,