Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/24: differenze tra le versioni

Da Wikisource.
(Nessuna differenza)

Versione delle 16:44, 8 dic 2017

18 gaspara stampa


XXVI

Amare, piangere, cantare: è questo il suo destino. Arsi, piansi, cantai; piango, ardo e canto; piangerò, arderò, canterò sempre (fin che Morte o Fortuna o tempo stempre a l’ingegno, occhi e cor, stil, foco e pianto) la bellezza, il valor e ’l senno a canto, che ’n vaghe, sagge ed onorate tempre Amor, natura e studio par che tempre nel volto, petto e cor del lume santo; che, quando viene, e quando parte il sole, la notte e ’l giorno ognor, la state e ’l verno, tenebre e luce darmi e tórmi suole, tanto con l’occhio fuor, con l’occhio interno, agli atti suoi, ai modi, a le parole, splendor, dolcezza e grazia ivi discerno.

XXVII

Amore tormentoso e pur dolce. Altri mai foco, stral, prigione o nodo sì vivo e acuto, e sì aspra e sì stretto non arse, impiagò, tenne e strinse il petto, quanto ’l mi’ ardente, acuto, acerba e sodo. Né qual io moro e nasco, e peno e godo, mor’ altra e nasce, e pena ed ha diletto, per fermo e vario e bello e crudo aspetto, che ’n voci e ’n carte spesso accuso e lodo. Né furo ad altrui mai le gioie care, quanto è a me, quando mi doglio e sfaccio, mirando a le mie luci or fosche or chiare. Mi dorrà sol, se mi trarrà d’impaccio, fin che potrò e viver ed amare, lo strai e ’l foco e la prigione e ’l laccio.