Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/125: differenze tra le versioni
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Eteoc.+ Preghi non fur, comandi furo; e ad arte |
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Ed io, per certo, all’obbedir non uso, |
Ed io, per certo, all’obbedir non uso, |
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in trono io sto. Ma sia che vuol, mi assolve |
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Versione delle 10:18, 4 mag 2020
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atto primo | 119 |
Eteoc. Del mio fratello
assalitor me non vedrai: di Tebe
ben la difesa io piglierò.
Antig. Da Tebe
credo che nulla ei chiegga. A te con l’armi
chied’egli or ciò, che giá negasti ai preghi.
Eteoc. Preghi non fur, comandi furo; e ad arte
ingiuríosi, onde obbedir negassi.
Ed io, per certo, all’obbedir non uso,
in trono io sto. Ma sia che vuol, mi assolve
ei stesso omai dalla giurata fede:
l’abbominevol nodo che lui stringe
ai nemici di Tebe, omai disciolto
l’ha dai piú antichi vincoli.
Gioc. M’è figlio,
m’è figlio ancor; tal io l’estimo: e forse
farò, ch’ei te fratello ancora estimi.
Affrontar voglio il suo furore io prima:
io scendo al pian; tu resta...
SCENA TERZA
Creonte, Eteocle, Giocasta, Antigone.
dove, o sorella, il piè? Giá chiuso è il passo;
giá le tebane porte argine al ferro
d’Argo si fanno; e da ogni parte cinte
son d’armati le mura: orrida vista! —
Solo, a tutti davanti un buon trar d’arco,
presso alle porte Polinice giunge:
in alto ha la visiera; inerme stende
l’una mano ver noi; dell’altra abbassa
al suol la punta dello ignudo brando.
Cotale in atto, audacemente ei chiede