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Rime (Stampa)/Rime d'amore/LXVIII: differenze tra le versioni

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<poem>
<poem>
Chiaro e famoso mare,
Chiaro e famoso mare,
sovra 'l cui nobil dosso
sovra ’l cui nobil dosso
si posò 'l mio signor, mentre Amor volle;
si posò ’l mio signor, mentre Amor volle;
rive onorate e care
rive onorate e care
(con sospir dir lo posso),
(con sospir dir lo posso),
che 'l petto mio vedeste spesso molle;
che ’l petto mio vedeste spesso molle;
soave lido e colle,
soave lido e colle,
che con fiato amoroso
che con fiato amoroso
udisti le mie note,
udisti le mie note,
d'ira e di sdegno vòte,
d’ira e di sdegno vòte,
colme d'ogni diletto e di riposo;
colme d’ogni diletto e di riposo;
udite tutti intenti
udite tutti intenti
il suon or degli acerbi miei lamenti.
il suon or degli acerbi miei lamenti.
I'dico che dal giorno
I’dico che dal giorno
che fece dipartita
che fece dipartita
l'idolo, ond'avean pace i miei sospiri,
l’idolo, ond’avean pace i miei sospiri,
tolti mi fûr d'attorno
tolti mi fûr d’attorno
tutti i ben d'esta vita;
tutti i ben d’esta vita;
e restai preda eterna de' martìri:
e restai preda eterna de’ martìri:
e, perch'io pur m'adiri
e, perch’io pur m’adiri
e chiami Amor ingrato,
e chiami Amor ingrato,
che m'involò sì tosto
che m’involò sì tosto
il ben ch'or sta discosto,
il ben ch’or sta discosto,
non per questo a pietade è mai tornato;
non per questo a pietade è mai tornato;
e tien l'usate tempre,
e tien l’usate tempre,
perch'io mi sfaccia e mi lamenti sempre.
perch’io mi sfaccia e mi lamenti sempre.
Deh fosse men lontano
Deh fosse men lontano
almen chi move il pianto,
almen chi move il pianto,
e chi move le giuste mie querele!
e chi move le giuste mie querele!
ché forse non invano
ché forse non invano
m'affligerei cotanto,
m’affligerei cotanto,
e chiamerei Amor empio e crudele,
e chiamerei Amor empio e crudele,
ch'amaro assenzio e fele
ch’amaro assenzio e fele
dopo quel dolce cibo
dopo quel dolce cibo
mi fe', lassa, gustare
mi fe’, lassa, gustare
in tempre aspre ed amare.
in tempre aspre ed amare.
O duro tòsco, che 'n amor delibo,
O duro tòsco, che ’n amor delibo,
perché fai sì dogliosa
perché fai sì dogliosa
la vita mia, che fu già sì gioiosa?
la vita mia, che fu già sì gioiosa?
Almen, poi che m'è lunge
Almen, poi che m’è lunge
il mio terrestre dio,
il mio terrestre dio,
che sì lontano ancor m'apporta guai,
che sì lontano ancor m’apporta guai,
il duol che sì mi punge
il duol che sì mi punge
non mandasse in oblio,
non mandasse in oblio,
e l'udisse ei, per cui piansi e cantai:
e l’udisse ei, per cui piansi e cantai:
men acerbi i miei lai,
men acerbi i miei lai,
men cruda la mia pena,
men cruda la mia pena,
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che giorno e notte sento,
che giorno e notte sento,
fôra per la sua luce alma e serena;
fôra per la sua luce alma e serena;
e sariami 'l dispetto
e sariami ’l dispetto
dolce sovra ogni dolce alto diletto.
dolce sovra ogni dolce alto diletto.
S'egli è pur la mia stella,
S’egli è pur la mia stella,
e se s'accorda il cielo,
e se s’accorda il cielo,
ch'io moia per cagion così gradita,
ch’io moia per cagion così gradita,
venga Morte, e con ella
venga Morte, e con ella
Amor, e questo velo
Amor, e questo velo
tolgan, ed esca fuor l'alma smarrita;
tolgan, ed esca fuor l’alma smarrita;
che, da suo albergo uscita,
che, da suo albergo uscita,
volerà lieta in parte,
volerà lieta in parte,
dove s'avrà mercede
dove s’avrà mercede
de la sua viva fede,
de la sua viva fede,
fede d'esser cantata in mille carte.
fede d’esser cantata in mille carte.
Ma, lassa, a che non torna
Ma, lassa, a che non torna
chi le tenebre mie con gli occhi adorna?
chi le tenebre mie con gli occhi adorna?
Se tu fossi contenta,
Se tu fossi contenta,
canzon, come sei mesta,
canzon, come sei mesta,
n'andresti chiara in quella parte e 'n questa.
n’andresti chiara in quella parte e ’n questa.
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Versione delle 22:12, 7 ott 2010

Rime d'amore - LXVII Rime d'amore - LXIX

 
Chiaro e famoso mare,
sovra ’l cui nobil dosso
si posò ’l mio signor, mentre Amor volle;
rive onorate e care
(con sospir dir lo posso),
che ’l petto mio vedeste spesso molle;
soave lido e colle,
che con fiato amoroso
udisti le mie note,
d’ira e di sdegno vòte,
colme d’ogni diletto e di riposo;
udite tutti intenti
il suon or degli acerbi miei lamenti.
I’dico che dal giorno
che fece dipartita
l’idolo, ond’avean pace i miei sospiri,
tolti mi fûr d’attorno
tutti i ben d’esta vita;
e restai preda eterna de’ martìri:
e, perch’io pur m’adiri
e chiami Amor ingrato,
che m’involò sì tosto
il ben ch’or sta discosto,
non per questo a pietade è mai tornato;
e tien l’usate tempre,
perch’io mi sfaccia e mi lamenti sempre.
Deh fosse men lontano
almen chi move il pianto,
e chi move le giuste mie querele!
ché forse non invano
m’affligerei cotanto,
e chiamerei Amor empio e crudele,
ch’amaro assenzio e fele
dopo quel dolce cibo
mi fe’, lassa, gustare
in tempre aspre ed amare.
O duro tòsco, che ’n amor delibo,
perché fai sì dogliosa
la vita mia, che fu già sì gioiosa?
Almen, poi che m’è lunge
il mio terrestre dio,
che sì lontano ancor m’apporta guai,
il duol che sì mi punge
non mandasse in oblio,
e l’udisse ei, per cui piansi e cantai:
men acerbi i miei lai,
men cruda la mia pena,
men fiero il mio tormento,
che giorno e notte sento,
fôra per la sua luce alma e serena;
e sariami ’l dispetto
dolce sovra ogni dolce alto diletto.
S’egli è pur la mia stella,
e se s’accorda il cielo,
ch’io moia per cagion così gradita,
venga Morte, e con ella
Amor, e questo velo
tolgan, ed esca fuor l’alma smarrita;
che, da suo albergo uscita,
volerà lieta in parte,
dove s’avrà mercede
de la sua viva fede,
fede d’esser cantata in mille carte.
Ma, lassa, a che non torna
chi le tenebre mie con gli occhi adorna?
Se tu fossi contenta,
canzon, come sei mesta,
n’andresti chiara in quella parte e ’n questa.