Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/416: differenze tra le versioni

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i ragionamenti sottili. Aggiungi l’ironia, quel prender le cose così alla leggiera e sdrucciolandovi appena, quell’aria già scettica e miscredente, ancorachè non ci sia ancora negazione e scetticismo, e avrai l’immagine del secolo, il ritratto di Astarotte. Ma l’autore sembra quasi non accorgersi della stupenda concezione, e abborraccia dappertutto, anche qui. Gli manca la coscienza seria e intelligente delle nuove vie, nelle quali entra il secolo; gli manca quell’elevatezza d’animo che rende eloquente l’uomo quando gli lampeggiano innanzi nuovi orizzonti. L’Ulisse di Dante è sublime; il suo Rinaldo è insignificante. E l’Astarotte riesce l’eco volgare e confusa di un secolo ancora inconsapevole di sè.
Il Pulci, il Boiardo, il Poliziano, Lorenzo, il Pontano e tutti gli eruditi e i rimatori di quell’età non sono che frammenti di questo mondo letterario, ancora nello stato di preparazione, senza sintesi.
Ci è un uomo che per la sua universalità parrebbe volesse abbracciarlo tutto, dico Leon Battista Alberti, pittore, architetto, poeta, erudito, filosofo e letterato; fiorentino di origine, nato a Venezia, educato a Bologna, cresciuto a Roma e a Ferrara, vivuto lungamente a Firenze accanto al Ficino, al Landino, al Filelfo; caro a’ papi, a Giovan Francesco signore di Mantova, a Lionello d’Este, a Federigo di Montefeltro; celebrato da’ contemporanei come «uomo dottissimo e di miracoloso ingegno», «vir ingenii elegantis, acerrimi iudicii, exquisitissimaeque doctrinae», dice il Poliziano. Destrissimo nelle arti cavalleresche, compì i suoi studi a Bologna dalle lettere sino alle leggi, datosi poi con ardore alle matematiche e alla fisica. Deesi a lui la facciata di Santa Maria Novella, la cappella di San Pancrazio, il palazzo Rucellai, la chiesa di Sant’Andrea in Mantova e di San Francesco primon Rimini. Sono suoi trovati la camera ottica, il reticolo de’ pittori e l’istrumento per misurare la profondità