Le rime della Selva/Parte seconda/Il mio romitaggio: differenze tra le versioni
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Versione delle 23:36, 20 apr 2011
Questo testo è completo. |
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Su questo monte selvaggio,
Vicino a questa sorgente,
Vorrei, da buon penitente,
Avere il mio romitaggio.
Oh, poca cosa! una coppia
Di camerette piccine,
Un uscio e due finestrine,
Sotto un tettuccio di stoppia.
Accanto, un po’ d’orticello,
Pien di legumi e di fiori,
Fiori di tutti i colori,
Con qualche verde arboscello.
Ancora, su un davanzale,
All’aria, al sole, un modesto
Vaso, o vogliam dire un testo,
Di maggiorana nostrale.
Ancora, in luogo di musa,
Un micio peso e poltrone,
Da carezzargli il groppone
E fargli fare le fusa.
E basta. Che c’è bisogno
D’altro? Io, quando mi vedo
In mezzo a troppo corredo,
Io, che ho da dir? mi vergogno.
Mi sembra d’essere allora,
Non il padrone, ma il servo,
E m’avvilisco e mi snervo
Dove più d’un si ristora.
Starei quassù tutto l’anno,
Come un asceta giocondo
Ch’abbia detto addio al mondo
E a quei che dentro vi stanno.
Come un Padre del Deserto,
Che appaja sereno in volto,
Dopo aver vissuto molto,
Dopo aver molto sofferto.
Questi uccelletti folletti
Mi sveglierebber col canto,
E io, da povero santo,
Benedirei gli uccelletti.
L’acqua berrei della fonte;
Piluccherei con piacere
Le bacche rosse, le nere,
E andrei a spasso pel monte.
Andrei moltissimo a spasso,
Lavorerei poco o nulla,
Essendochè dalla culla
Alla tomba è un breve passo.
E se un ricordo importuno
Mi succhiellasse il cervello,
Ne lo trarrei via bel bello,
Come si fa con un pruno.
E se un malvagio appetito
Venisse a pungermi in letto,
Lo schiaccerei con un dito,
Come si schiaccia un insetto.
Non aprirei mai un libro;
E metterei da una banda
Ogni pensiero e dimanda
Di troppo grosso calibro;
Sapendo il male che fece,
Ab antico, alle brigate
La troppa scïenza. Invece,
Starei le mezze giornate
Ad ascoltare il susurro
Del vecchio bosco, a guardare
L’erbe, i fiori, l’acque chiare,
Le nuvole, il cielo azzurro. —
Bipede di polpe e d’ossa
(Assai più ossa che polpe),
Commisi anch’io le mie colpe,
E alcuna forse un po’ grossa.
Ma non perciò mi sgomento:
A tutto ci si rimedia:
E se un rimorso t’assedia,
Basta tu dica: Mi pento!
Eh sì, mi pento e prometto
Di non cascarci mai più,
E d’esser anzi perfetto
(O quasi) in ogni virtù.
Ogni mia mala azïone
Confesserei a me stesso;
Poi, col mio bravo permesso,
Mi darei l’assoluzione.
Chè uomo ben confessato,
E debitamente assolto,
Gli è come, per non dir molto,
Se non avesse peccato.
Sarebbe la mia preghiera,
Non latina, ma toscana,
Senz’arzigogoli, piana,
E soprattutto sincera,
Uscendo da un core sazio,
Non chiederebbe nïente;
Anzi direbbe umilmente:
Signore Iddio, vi ringrazio.
Sì, vi ringrazio, e vi prego
D’usarmi un po’ d’indulgenza,
Quando alla vostra presenza
Verrò, finito l’impiego.
L’impiego (povere spalle!
Con quel peso andare attorno!)
L’impiego di perdigiorno
In hac lachrimarum valle. —
Verrebbe al mio uscio un cane,
Oppure il buon poverello,
E io gli direi: Fratello,
Eccoti un pezzo di pane.
Verrebbe un corvo alla mia
Finestrina, avido e torvo;
E io gli direi: Tu, corvo,
Sei nero e brutto: va via!
Capiterebbe il demonio
In forma di bella donna,
Con rialzata la gonna,
A offrirmisi in matrimonio.
E io gli direi: Mio caro,
Trova chi n’abbia ancor voglia:
Io.... ho mangiato la foglia: —
E sai che il tempo è denaro.