Utente:Mizardellorsa/Tiraboschi-2-1cap4

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182 Girolamo Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana Tomo II, Modena 1787 Capo IV - Storia I. Qualche maggior numero di coltivatori ebbe a questo tempo la Storia, o almeno hanno essi avuto più felice destino, poiché alcuni de’ loro libri, benché in piccolo numero, si sono fino a noi tramandati. Ma questo studio ancora soggiacque alle vicende degli altri in ciò, che è eleganza di scrivere. Anzi la confusione e il disordine, in cui era il Romano Impero, pare che agli Storici ancor si comunicasse, e disordinate e confuse rendesse le loro Storie. Di ciò appunto si duole uno di essi, cioè Giulio Capitolino, mostrando, che, benché essi scrivesser di cose seguite quasi a’ lor tempi, aveanle nondimeno sconvolte per modo, che molti oltre altri errori eran giunti perfino a fare di Massimo e di Balbino, che regnarono insieme, un solo Imperadore1. E Trebellio Pollione ancora dimostra, quanto diverse e contrarie cose avessero scritte intorno a’ Trenta Tiranni2; e que’ medesimi, che così si dolgono degli altri, non ci hanno comunemente lasciate Storie di tal natura, che non abbiamo a desiderare in essi parimenti un ordine e una chiarezza maggiore. Cominciamo da quelli, de’ quali ancor ci rimangon le Storie, e poscia ragionerem di coloro, le cui opere sono perite. II. Giustino, che in qualche Codice si chiama Marco Giuniano Giustino, in qualche altro Giustino Frontino3, credesi comunemente, che vivesse a’ tempi di Antonino Pio; e il motivo di crederlo son le parole, che leggonsi in alcune antiche edizioni di questo Autore, colle quali egli gl’indirizza la sua Storia. Altri però affermano, che le accennate parole non veggonsi in alcuno de’ Codici a penna, che ancor si conservano; e certamente in due di essi assai belli, che ne ha questa celebre Biblioteca Estense, esse non si ritrovano, né si può quindi stabilire questa opinione con tal certezza, che non rimanga ancor luogo a dubitarne. Egli ridusse in compendio latino le ampie Storie scritte già nella stessa lingua da Trogo Pompeo, di cui abbiamo parlato tra gli Storici del secol d’Augusto; Storie, che comincian da Nino, e giungono fino a’ tempi del medesimo Augusto; e che da lui furono intitolate Filippiche, perché singolarmente si stendevano nel racconto delle cose appartenenti all’Impero de’ Macedoni. Qualche Scrittore de’ bassi secoli ha confuso Giustino lo Storico Latino col Martire Greco; errore, che da sé medesimo chiaramente si manifesta. Egli ha uno stile, per riguardo a’ tempi in cui visse, colto ed elegante, ma in poco pregio ne è la storica fedeltà, in ciò singolarmente che appartiene alla Cronologia. Veggasi intorno a Giustino la bella Prefazione premessa dall’Abate Favier alla traduzione Francese di questo Storico, ch’egli ha pubblicata in Parigi l’anno 1737. III. Dopo Giustino, supposto ch’egli fiorisse a’ tempi di Antonino Pio, un grande voto incontriamo nella Storia Romana; perciocché non ne abbiamo Scrittore alcuno fino a’ tempi di Diocleziano, cioè per oltre ad un secolo. Né è già che non vi fossero allora alcuni, che scrivesser la storia de’ tempi loro. Ne vedremo frappoco i nomi. Ma convien dire, che poco conto si facesse delle loro fatiche; poiché sembra impossibile, come osserva il Vossio4, che, se esse fossero state in pregio, alcune almeno non si dovessero conservare. L’unico Scrittor di questi tempi, che ancor abbiamo, e che in qualche modo appartiene agli Scrittori di Storia, è Censorino, il quale nella sua operetta de Die Natali molte quistioni ha trattato, che a rischiarare la Cronologia e la Storia giovano mirabilmente, e che perciò dal P. Petavio vien detto5 auctor omnium judicio probatissimus ac diligentissimus in egregio nec unquam satis laudato opere de Die Natali &c. Viveva egli e scriveva il suo libro, come attesta egli stesso6, l’anno di Roma 991, ossia dell’Era Cristiana 238 regnando il terzo Gordiano. Sembra, che egli a qualche onorevole dignità fosse sollevato in Roma; perciocché indirizzando il suo libro a Q. Cerellio, confessa di essere a lui debitore della dignità, dell’onore, e di tutti gli agi, di cui godeva. Di lui parla ancora con lode Prisciano, e il chiama uomo dottissimo in Gramatica7, e ne rammenta ancora un libro sopra gli Accenti, di cui pur fa menzione il celebre 183 Cassiodoro8. Lo stile però di Censorino è qual conveniva all’età, in cui scrisse, lontano assai dall’antica eleganza, e sparso di parole nuove e non più usate, effetto dell’affollato concorrere, che facevano a Roma gli stranieri d’ogni nazione, che i lor costumi e la lor lingua comunicavano a’ Romani. Io aggiugnerò qui ancora Giulio Obsequente autore di un libro de’ Prodigj avvenuti in Roma e altrove, ch’egli raccolse singolarmente da Livio, usando spesso ancora delle stesse parole. Non si sa precisamente, a qual età ei vivesse, e diversi sono su ciò i pareri degli Eruditi. Io credo di doverlo porre a questi tempi, poiché lo stile, di cui egli usa, non parmi convenire a’ secoli posteriori. Non tutto però questo libro, ma una parte sola ce n’è pervenuta. IV. Gli ultimi Storici di questa età vissuti a un di presso al tempo medesimo, e esercitatisi nel medesimo argomento, sono gli Scrittori della Storia Augusta. Con questo nome si chiama una Raccolta di vite degl’Imperadori, cominciando da Adriano fino a Carino e a Numeriano, scritte da diversi Autori, ma tutte nel medesimo stile incolto comunemente e senza ornamento o eleganza di sorta alcuna; talché trattene le notizie, che vi si contengono, ed esse ancora non sempre esatte, e spesso disordinate e confuse, non trovasi in esse cosa, che le renda pregevoli. Degli Autori stessi poco più sappiamo che i nomi, e l’età a cui vissero. Essi sono Elio Sparziano, Giulio Capitolino, Elio Lampridio, Vulcazio Gallicano, Trebellio Pollione, e Flavio Vopisco di patria Siracusano, che è il meno incolto di tutti gli altri. Anzi alcuni sospettano, che quattro soli debbansi riconoscere Autori di queste Vite. Perciocché di Vulcazio Gallicano, dicono essi, non abbiam che la Vita di Avidio Cassio, che usurpossi il trono per qualche tempo regnando M. Aurelio. Or questa vita in altri Codici si attribuisce a Sparziano, e molte ragioni sembrano render probabile questa opinione. Innoltre Elio Lampridio credesi da alcuni, che non sia diverso da Sparziano, il cui nome voglion che fosse Elio Lampridio Sparziano; e recano essi pure a pruova del lor sentimento l’autorità di alcuni Codici, ne’ quali le Vite, che soglionsi attribuire a Lampridio, attribuite si veggono a Sparziano. Molto ancor si contende tra gli eruditi nel dividere fra’ diversi Autori le diverse Vite, e non son molte quelle, in cui tutti convengano in riconoscerne per Autore uno a preferenza degli altri. Ma io mi asterrò dall’entrare in queste aride e spinose quistioni, in cui dopo avere lungamente annojati i Lettori altro finalmente non potrei fare, che conchiudere, non potersi intorno ad esse determinare cosa alcuna di certo. Ciò che con più sicurezza si può affermare si è, che essi vissero a’ tempi di Diocleziano, e ancora di Costantino, perciocché Sparziano e Vulcazio e Lampridio (se furono da lui diversi), e Giulio Capitolino dedicarono parte a Diocleziano, parte a Costantino le loro Vite; Trebellio Pollione scrisse regnando Costanzo Cloro, e al tempo medesimo o poco appresso scrisse ancora Vopisco. Intorno a tutte queste quistioni, che da noi si sono brevemente accennate, veggansi i Comentatori della Storia Augusta, e singolarmente il Salmasio e il Casaubono, il Vossio9 e il Fabrizio10, il quale ancora ha diligentemente raccolti i sentimenti degli eruditi intorno a questi Scrittori, e il Tillemont11. V. Assai maggiore è il numero degli Scrittori, da cui sappiamo, che furon composte Storie ora interamente perite; ma null’altro comunemente sappiamo fuorché questo stesso, che essi scrissero, perché li veggiamo citati da’ posteriori Scrittori; anzi non troviam pure non poche volte, di qual patria essi fossero, e in qual lingua scrivessero le loro Storie. Già abbiam parlato di Giulio Tiziano, che scritti avea alcuni libri sulle Provincie dell’Impero, da’ quali probabilmente avrebbonsi potuti raccogliere molti lumi per la storia di que’ tempi; e detto abbiam parimenti dell’Opera sulle Cose recondite composta da Samonico il padre. Così pure abbiam rammentato e la Vita, che di sé medesimo avea scritta Settimio Severo, e gli elogj de’ migliori Principi composti da Alessandro Severo. Altri molti se ne veggon citati dagli Scrittori della Storia Augusta, come Elio Mauro Liberto di Flegonte, Liberto esso pure di Adriano, il quale qualche cosa avea scritta appartenente alla Vita di Settimio Severo12, Lollio Urbico, che aveva scritta la storia de’ suoi tempi, cioè del Regno di Severo e de’ successori13, Aurelio Filippo ed Encolpio e Settimio ed Acolio che scrissero la vita di Alessandro Severo14, Gargilio Marziale, che oltre la Vita del medesimo Imperadore15 avea scritti ancora alcuni libri sulla cultura degli orti16, seppure non son questi due Scrittori diversi; e Mario Massimo e Elio ovver Giunio Cordo, che di molti Imperadori aveano scritta la vita, e spesso perciò vengono rammentati nella Storia Augusta; ma ripresi amendue di avere usata soverchia prolissità, e 184 di avere nelle loro Storie inseriti racconti favolosi, inutili, e puerili17, e molti altri, che io potrei qui rammentare, se volessi tessere una lunga e nojosa serie di nomi. Ma veggasi il Vossio, che gli ha già diligentemente raccolti18. VI. Prima d’innoltrarmi a parlar degli Storici Greci, che fiorirono, e scrissero in Roma, vuolsi qui fare alquanto di riflessione sul carattere degli Scrittori della Storia Augusta, de’ quali abbiam oror favellato. Svetonio, che fu il primo a scriver separatamente le vite de’ Cesari, tenne, come a suo luogo abbiamo osservato, un cotal suo modo di scrivere, per cui parve, che volesse anzi tramandarci la domestica che la pubblica Storia di quegl’Imperadori, e maggior diligenza usò comunemente nel descriverci il privato tenore della lor vita, che le guerre e le altre vicende del loro Impero. Or come i primi esempj si seguono facilmente, il metodo di Svetonio fu abbracciato e seguito da quegli Scrittori, che ne continuarono l’argomento collo scriver le vite degli Imperadori seguenti, poiché anch’essi furono comunemente minuti troppo, e, direi quasi, superstiziosi nel descriverci il portamento, le costumanze, l’abito, il vitto ed altre simili circostanze di non molto peso della vita de’ loro Principi. Abbiamo accennato, che questo difetto rimproveravasi singolarmente a Giunio Cordo. Noi non abbiam voluto, dice Giulio Capitolino19, narrare alcune cose, che Giunio Cordo ridicolosamente e scioccamente ha raccolte intorno a’ domestici piaceri e ad altri più vili oggetti. Chi fosse avido di saperne, legga lo stesso Cordo, il quale racconta ancora, quali schiavi e quali amici avesse ognuno de’ Principi, e quante vesti; la scienza delle quali cose non giova punto. E altrove20: Giunio Cordo ha voluto scriver le Vite di quegl’Imperadori, cui vedeva essere men famosi; ma in ciò non è stato molto felice; perciocché poche cose poté rinvenire, e quelle ancora non degne d’essere raccontate, essendosi egli nondimeno prefisso di voler ricercare le più piccole cose, come se molto importar ci dovesse il saper di Trajano, di Antonino Pio, e di Marco Aurelio, quante volte uscisser di casa, come variassero i cibi, quando cambiasser le vesti, e chi promovessero e quando; le quali cose avendo egli volute narrare, ha riempite le sue Storie di favolosi racconti. Ma lo stesso Giulio Capitolino, che riprende Cordo di un tal difetto, non ha saputo andarne esente egli stesso. Basta leggere alcune delle Vite da lui e dagli altri Autori della Storia Augusta descritte per riconoscere, come essi ancora, contenti di accennare in breve le pubbliche rivoluzioni, si perdono inutilmente in racconti domestici di tali cose, che a chi vive singolarmente lontan da que’ tempi non recano né utile né piacere alcuno. Così l’esempio di Svetonio fu dagli altri imitato; e così avviene spesso, che uno Scrittore, singolarmente se sia uomo di qualche fama, basti ad infettar col suo esempio tutta una Città e anche una intera Provincia. VII. Or venendo a parlare degli Storici Greci, che vissero almen qualche tempo in Roma, e le cui Storie ci son rimaste, giacché di essi soli farem menzione, i più antichi di quest’Epoca sono Appiano Alessandrino e Arriano di Nicomedia. Il primo scriveva la sua Storia, com’egli stesso afferma21, circa ducent’anni dopo il cominciamento della Monarchia di Cesare, cioè circa la metà del secondo secolo Cristiano. Egli erasi per qualche tempo esercitato nel trattar le cause nel Foro; poscia gli fu dagli Imperadori affidata l’amministrazione de’ loro beni, come dalla sua stessa Prefazion si raccoglie. Prese egli a trattare un argomento, che già da molti altri Scrittori era stato illustrato, cioè la Storia Romana; ma per dare alla sua Opera un nuovo aspetto, in vece di seguir l’ordine Cronologico, come gli altri avean fatto, scrisse separatamente di ciascheduna delle Nazioni, che da’ Romani erano state soggiogate, e delle guerre, ch’essi perciò aveano sostenute. Quindi scrisse ancora la Storia delle funeste guerre Civili, che per tanti anni travagliata aveano la Repubblica. Sette interi libri delle guerre straniere, e cinque delle civili ci son rimasti, oltre qualche frammento. Ma assai più aveane egli scritto, come raccogliesi e da lui stesso, che cita alcuni suoi libri, che or più non abbiamo, e da Fozio, che ne annovera ventiquattro22. Lo stile, secondo il parere dello stesso Fozio, ne è semplice, ma è sincero il racconto, e assai opportuno ad istruire chi il legge nell’arte militare. Egli è però ripreso da alcuni di essersi fatto bello delle fatiche altrui, e di aver preso molto da Polibio e da Plutarco23. Il secondo, cioè Arriano di Nicomedia, fu, come altrove s’è accennato, discepolo di Epitteto, di cui scrisse la Vita, e raccolse i sentimenti e le massime. Fozio dice24, che ei fu chiamato il secondo Senofonte, e che ebbe ancor l’onore del Consolato. Ei visse secondo Suida25 a’ tempi di Adriano, di Antonino e di M. Aurelio. Di lui abbiamo più Opere 185 elegantemente scritte, cioè quattro libri de’ Discorsi di Epitteto, sette libri delle Spedizioni di Alessandro il Grande, la descrizione delle Coste del Ponto Eusino, un libro intorno all’ordinare le schiere, oltre altre Opere, che son perite, delle quali veggasi il Fabricio26. Pausania forse ancora vuol qui rammentarsi, di cui abbiamo i dieci libri della descrizion della Grecia, la quale, benché contenga de’ favolosi racconti, è nondimeno una delle Opere più importanti per lo studio delle Antichità e per la Storia delle Arti. Egli dee aver luogo nella Storia dell’Italiana Letteratura, quando sia vera l’opinione del Vossio27, che questi sia quel Pausania Sofista e discepolo di Erode Attico, di cui parla Filostrato28, e di cui racconta, che declamò non solo in Atene ma in Roma ancora, e che in questa Città invecchiato finì i suoi giorni. Ma a dir vero non facendo Filostrato menzione alcuna di quest’opera scritta dal suo Pausania, il che sembra ch’ei non avrebbe dovuto tacere, parmi più verisimile l’opinione del Tillemont29, che inclina a credere, che il Sofista Pausania diverso sia dallo Storico, vissuti però al tempo medesimo. VIII. Con più certezza e per assai migliore ragione dobbiamo a questo luogo parlare del celebre Storico Dione Cassio detto ancor Coccejano. Egli abbe a Padre Aproniano, che fu Governatore della Cilicia30 e della Pannonia31, e che è perciò probabile, che gran parte della sua vita passasse in Roma. Dione nondimeno dicesi nativo di Nicea nella Bitinia; ma certo egli era già in Roma a’ tempi di Commodo; poiché venendo a raccontare le crudeltà da lui usate dice di narrar cose, che avea vedute egli stesso32; anzi era egli allora già Senatore, e rammenta il consiglio ch’ei diede ad alcuni de’ suoi Colleghi, di porsi in bocca una foglia d’alloro per frenare le risa, allor quando Commodo in pien Senato vantava ridicolosamente le sue prodezze33. Pertinace successore di Commodo avealo nominato alla dignità di Pretore34; ma pare, che la morte dello stesso Imperadore gli impedisse il conseguirla; molto più che Giuliano successore di Pertinace non eragli molto amico, poiché, avendo Dione trattate talvolta contro di lui alcune cause nel Foro, avealo tacciato d’ingiusto35. Pare, ch’egli fosse Console la prima volta sotto Settimio Severo36. Di molte Provincie ebbe egli poscia il governo; di Pergamo e di Smirne dall’Imperadore Macrino37; e da’ seguenti Imperadori della Bitinia, dell’Egitto, e della Pannonia superiore38. Alessandro Severo gli fè l’onore di nominarlo seco Console per la secondo volta l’anno 229. Ma egli, che sapeva di aver incorso l’odio de’ Pretoriani, perché era esattor rigoroso della militar disciplina, temé, come egli stesso racconta39, che, quando il vedessero rivestito delle Consolari insegne, non lo uccidessero. Alessandro perciò comandogli, che in tempo di questo suo Consolato se ne stesse fuori di Roma in qualche Città d’Italia. Il che avendo egli fatto, tornossene poscia a Roma, e quindi recossi ad Alessandro, che stavasi in Terra di Lavoro; e trattenutosi alcuni giorni con lui, ottenne per cagione di non so quale infermità, che soffriva ne’ piedi, di tornarsene alla sua patria per passarvi tranquillamente ciò, che gli rimaneva di vita. IX. Scrisse egli in ottanta libri un’intera Storia Romana dalla venuta di Enea in Italia fino a’ tempi di Alessandro Severo. Confessa egli stesso di avere impiegati dieci anni40 a raccoglier le notizie per ciò opportune, e dodici anni a distender la Storia fino alla morte di Commodo, a cui poscia aggiunse ciò, che apparteneva agli altri Imperadori. Ma i primi trentaquattro libri e una gran parte del XXXV si son perduti. Abbiamo i venticinque seguenti; benché alcuni credano, che tra questi gli ultimi sei siano tronchi ed imperfetti. Ma dopo il LX libro tutti gli altri sono perduti; e solo ci è fortunatamente rimasto il compendio, che di Dione ha fatto Giovanni Sifilino nipote di un Patriarca di Costantinopoli dello stesso nome nell’undecimo secolo, che comincia dal XXXV libro, e giunge fino all’ultimo, trattone il settantesimo libro, che era smarrito fin da’ tempi di Sifilino, e a cui perciò egli altro non poté fare, che sostituire un brevissimo supplemento. Dione in ciò che appartiene allo stile è uno de’ più colti Scrittori, che abbia la lingua Greca; ma in ciò che appartiene a fedeltà di Storico, molti in lui la vorrebbon maggiore; ed oltre i prodigj, ch’egli seguendo il comun pregiudizio ciecamente adotta, le accuse, con cui egli ha cercato di oscurar la fama di Cicerone, di Cassio, di Seneca e di altri avuti fra’ Romani in grandissima stima, pare che cel dimostrino o bugiardo calunniatore, o scrittore non bene informato. Non è qui luogo a cercare, se i mentovati personaggi fosser rei di que’ delitti, ch’ei loro oppone, e quanto a Seneca, abbiam già mostrato di sopra, ch’ei non era certo quel santissimo uomo, che da alcuni si è creduto. Ma 186 checchesia di ciò, egli è verisimile, che Dione seguisse scrivendo le voci, che vedeva allora più comunemente sparse e ricevute in Roma; e perciò sembra, che, se egli scrisse il falso, debba dirsi Scrittore credulo anziché maligno calunniatore. E a dir vero gli onorevoli impieghi da Dione sostenuti anche a tempo di ottimi Imperadori, e singolarmente di Alessandro, sono argomento della stima, in cui dovea egli essere d’uom saggio e onesto. Suida rammenta41 alcune altre Opere di Dione, che sono interamente perite, delle quali, e di tutto ciò, che appartiene a questo Scrittore, veggasi il Fabricio42. X. Erodiano, di cui abbiamo otto libri in Greco della Storia Romana dalla morte di Marco Aurelio fino al regno de’ Gordiani, fiorì egli pure a questi tempi. Egli dice di narrar cose, ch’egli stesso avea vedute e udite, e in molte delle quali aveva avuto parte, perciocché era stato adoperato in pubblici ragguardevoli impieghi43. Ma di lui null’altro sappiamo. Fozio ne loda assai l’eleganza dello stile44, ma la maniera non troppo favorevole, con cui egli parla di Alessandro Severo, e le lodi, che dà al crudele Massimino, rendono a molti sospetta la sua sincerità45. Per ultimo non deesi qui tacer di Eliano, e tanto più, che credesi comunemente, ch’ei fosse Romano di patria. Abbiamo altrove parlato di un Eliano Greco autore di un’Opera intorno all’ordinare le schiere, che visse a’ tempi di Adriano, e abbiamo ivi accennato l’opinione di Jacopo Perizon appoggiata ad assai forti ragioni, che non sia già egli l’autore di due altre Opere, che sotto il nome di Eliano ancor ci rimangono, una intitolata Storia Varia, l’altra della Natura degli Animali; ma che sia un altro Eliano diverso dal primo. Filostrato parla46 di un Eliano Sofista nato in Palestrina, ma così erudito nella lingua Greca, che in essa esprimevasi scrivendo a parlando non altrimenti che se fosse Ateniese; e di lui racconta, che dopo essersi esercitato per alcun tempo nel declamare, secondo il costume ordinario de’ Sofisti, non reggendogli a ciò le forze, si volse a scrivere. Di lui parla ancora Suida47, e dice con parole troppo generali, che dopo i tempi di Adriano insegnò Rettorica in Roma. Or il Perizon dimostra con ottimi argomenti48, che questi non poté vivere che a’ tempi di Alessandro Severo, e che perciò non può essere quell’Eliano medesimo, che scrisse sotto Adriano. Oltrecché questi era, come si è già veduto, Greco di patria; quegli, di cui ora parliamo, era di Palestrina. Fin qui il discorso del Perizon non soffre difficoltà. Ma non parmi, ch’egli pruovi abbastanza, che l’Eliano, di cui parlano Filostrato e Suida, sia l’autore delle due Opere di sopra mentovate. E due difficoltà singolarmente io vi veggo, alle quali non so, che cosa potrebbe rispondere questo dotto Scrittore. Se egli avesse composte le dette Opere, Filostrato e Suida ne avrebbono probabilmente fatta parola. Or Filostrato altro non dice, se non che ei si rivolse a scrivere senza accennar quali Opere; e, ciò che è più, Suida, il qual suole comunemente recar i titoli delle Opere scritte da quelli, di cui ragiona, non fa motto di libro alcuno composto da Eliano. Innoltre Filostrato narra, che il Sofista Eliano soleva dire, di non aver giammai posto piede fuori d’Italia, né di aver mai veduto il mare. Or l’autore de’ libri della natura degli Animali parla49 di un bue, cui dice d’aver veduto egli stesso in Alessandria. Se dunque Filostrato, che fu contemporaneo al Sofista Eliano, ci ha detto il vero, quando ha affermato, che Eliano non uscì mai dall’Italia, questi non fu certamente l’autore de’ libri della natura degli Animali. Queste riflessioni mi fan sospettare, che a questo tempo medesimo vi fossero due Eliani, uno Sofista, di cui parlano Suida e Filostrato, l’altro autore delle due Opere mentovate. Quando però si dia qualche probabile spiegazione alle accennate difficoltà, l’opinione del Perizon potrà allora ammettersi senza pericol di errore. Pare nondimeno, che l’Eliano Scrittore della Storia Varia fosse certamente Romano, perciocché in un antico Codice di essa, che conservasi nella Biblioteca Laurenziana, e di cui fa menzione l’eruditissimo Canonico Bandini Bibliotecario della medesima, nel titolo si legge: Æliani Romani50. XI. Io non parlo qui né di Diogene Laerzio autor delle Vite de’ Filosofi antichi, né di Polieno Scrittore di otto libri degli Stratagemmi de’ gran Capitani, né di alcuni altri men celebri Storici Greci, che vissero a questi tempi medesimi; perciocché io non trovo fondamento bastevole ad affermare, ch’essi vivessero in Roma. Conchiuderò dunque ciò, che appartiene agli Storici di questa età, riflettendo, che in questo studio ancora i Greci, ch’erano in Roma, andarono innanzi a’ Latini; perciocché di questi, se se ne tragga Giustino, di cui non è ancora ben certo, se vivesse di questi tempi, non vi è Storico alcuno, che per eleganza di stile o per arte di narrazione sia degno di 187 molta lode. Tra’ Greci al contrario quasi tutti que’, che abbiam nominati, si hanno in pregio di Storici eleganti e colti. Né è a stupirne. Questi venivano a Roma singolarmente per acquistarvi fama co’ loro studj, e a questi perciò si applicavano seriamente; e scrivevano in un linguaggio, che, non essendo in Roma il linguaggio del volgo, non soffriva quelle vicende e que’ danni, che il miscuglio di tante genti straniere recava alla lingua Latina. I Romani al contrario avviliti dalla tirannia di tanti pessimi Imperadori, ammolliti dal lusso, e guasti dal comune libertinaggio sfuggivan gli studj, che senza noja e fatica non possono coltivarsi, e quegli ancora, che li coltivavano, usando d’una lingua, che per la ragione accennata venivasi vieppiù corrompendo ogni giorno, recavano nel loro stile quella rozzezza medesima, che ne’ famigliari ragionamenti erasi introdotta. Così e pochi erano quelli, che si volgessero con ardore agli studj, e quegli ancora, che in essi si esercitavano, il facevano comunemente con poco felice successo. Ma dell’indolenza de’ Romani di questi tempi nel coltivare gli studj avremo pruove ancora più chiare nel capo seguente. 188

Note[modifica]

1 In Maximo & Balbin. c. XV.
2 In Trig. Tyrann. c. I.
3 V. Voss. de Hist. Lat. l. I c. XXXII & Fabr. Bibl. Lat. l. III c. III.
4 De Hist. Lat. l. II c. I.
5 De Doctr. Temp. l. IX c. XLV.
6 C. XXI.
7 Lib. I.
8 Lib. de Geometria, & lib. de Musica.
9 De Hist. Lat. l. II cap. V, VI, VII.
10 Biblioth. Lat. l. III c. VI.
11 In Diocl. Art. XXVI & XXVII.
12 Spart. in Severo c. XX.
13 Lamprid. in Anton. Diadum. c. IX.
14 Id. in Alex. Sever. cap. III & XLVIII.
15 Ib. c. XXXVII.
16 Pallad. de Re Rust.
17 Vopiscus in Firmo &c. c. I. Capitolin. in Gordian. c. XXI &c.
18 De Hist. Lat. l. II c. I, II, III.
19 In Gordian. c. XXI.
20 In Opilio Macrino c. I.
21 In Syriac.
22 Biblioth. c. LVII.
23 V. Voss. de Histor. Græc. l. II cap. XIII & Fabric. Bibl. Græc. l. IV c. XII.
24 Biblioth. c. LVIII.
25 In Lex.
26 Bibl. Græc. l. IV c. VIII.
27 Ib. c. XIV.
28 Vit. Sophist. l. II.
29 In M. Aurel. § XXXIII.
30 Dio. l. LXIX.
31 Ib. l. XLIX.
32 L. LXXII.
33 Ibid.
34 L. LXXXIII.
35 Ib.
36 L. LXXVI.
37 L. LXXIX.
38 L. LXXX.
39 Ibid.
40 L. LXXII.
41 In Lexic.
42 Bibl. Græc. l. IV c. X.
43 Lib. I n. IV.
44 Bibl. c. XXCI.
45 V. Voss. de Hist. Græc. l. II c. XV.
46 Vit. Sophist. l. II.
47 In Lexic.
48 Præfat. ad Ælian. Var. Histor.
49 L. XI c. XL.
50 V. Catal. Bibl. Laurent. t. II p. 609.