Utente:Mizardellorsa/Tiraboschi-2-1cap5

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189 Girolamo Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana Tomo II, Modena 1787 Capo V - Filosofia I. Se il favor de’ Principi fosse bastante a far rifiorire gli studj, quello della Filosofia singolarmente dovea a questo tempo risorgere tra’ Romani. Antonino e Marco Aurelio ed altri degli Imperadori, che saliron sul trono, furon ammiratori e protettori e premiator de’ Filosofi; e sembra perciò, che gran numero di Romani valorosi Filosofi ci si dovrebbe offerire in quest’Epoca, e somministrarci copioso argomento a ragionarne. Già abbiam veduto, in qual pregio gli avessero i mentovati Imperadori, e gli onori e gli stipendj, di cui gli arricchirono. E nondimeno in tutto questo spazio di tempo appena troviam tra’ Romani, chi si rendesse illustre ne’ Filosofici studj, mentre al medesimo tempo i Greci e in Roma e in Alessandria e in Atene e altrove davano in essi non ordinarie pruove del lor sapere. Troviamo bensì in Galeno1, che tutti coloro, che in Roma attendevano allo studio della Logica, solevano ogni giorno adunarsi nel Tempio della Pace a udirvi i lor Maestri, e a disputare tra loro; ma non sappiamo, se fosser tra essi molti Romani; e dalle cose, che or dobbiam rammentare, si vedrà chiaramente, che essi poco comunemente curavansi di tali studj. II. Di Filosofi Romani, che ci abbian lasciato ne’ loro scritti qualche monumento de’ loro studj, un solo possiam nominare, cioè C. Giulio Solino, il quale anche appena merita di aver luogo tra’ Filosofi; e noi qui ne parliamo solo, perché altro quasi ei non ha fatto nel suo Polistore ossia Trattato della situazione e delle cose maravigliose del mondo, che compendiare non troppo felicemente Plinio il vecchio, a cui abbiam parimenti tra’ Filosofi dato luogo. Del rimanente nulla di lui sappiamo, se non che ei dovette probabilmente vivere circa questi tempi. Prisciano e S. Girolamo ne fanno menzione. Pensano alcuni, ch’ei sia quel Solino medesimo detto da altri Solone Senator Romano, che fu ucciso da Settimino Severo2. Ma come non vi è ragion, che basti a negarlo, così non vi è pure fondamento valevole ad affermarlo. Intorno a Solino si posson vedere le Esercitazioni Pliniane del Salmasio, il Vossio3, e il Fabricio4. III. Uomini ancora versati ne’ Filosofici studj doveano essere i quattro Maestri, che in essi ebbe Marco Aurelio, che al nome sembran Latini, cioè Giunio Rustico, Claudio Massimo, Cinna Catullo nella Filosofia Stoica, e Claudio Severo nella Peripatetica5. E Giunio Rustico singolarmente era da lui avuto in sì grande stima, che soleva chiamarlo a parte di tutti i suoi consiglj così ne’ pubblici come ne’ privati affari; e gli rendette singolarissimi onori, come altrove abbiamo osservato. Di lui e ancora di Massimo ci ha egli lasciato ne’ suoi libri onorevoli encomj6, rammentando le saggie riflessioni, ch’essi gli aveano ispirate, e di Massimo singolarmente dice, che egli era uomo di tal costume, che ben conoscevasi, che le sue parole eran conformi a’ suoi sentimenti, e che in ogni cosa operava con retto fine. Ma anche di questi invano ci affaticheremmo a ricercare altre notizie; e negli Scrittori Latini di questa età difficilmente troverassi fatta menzione di altri Romani, che pel coltivamento della Filosofia si acquistasser gran nome. IV. Ma mentre questi studj illanguidivano in tal maniera presso i Romani, i Greci erano ad essi rivolti con tal fervore, che parevan rinnovarsi gli antichi tempi di Pittagora e di Platone. Potamone, Ammonio, Plotino, Porfirio, Luciano, Sesto di Cherona, Massimo Tirio, e molti altri furono a’ tempi, di cui parliamo. La Setta Eclettica, a cui Potamone prima diede principio, e che fu poscia da Ammonio stabilita meglio ed illustrata, nacque a questa medesima età, cioè verso il fin del secondo o verso il principio del terzo secolo, setta, che non facendosi schiava di alcuno degli antichi Filosofi Capi delle varie Sette, raccoglieva da ciascheduna di esse ciò, che pareva più somigliante al vero e più ragionevole. Intorno a questa Setta si è in questi ultimi anni disputato assai, singolarmente per la maniera, con cui dal Bruckero7 e più ancora dagli Enciclopedisti8, se n’è 190 favellato, che è sembrata a ragione ingiuriosa alla Religion Cristiana, e che perciò è stata diligentemente esaminata e confutata oltre altri Scrittori dall’Anonimo Autor Francese della Storia dell’Eclettismo. A me non appartiene l’entrare in tali cose. La Sette Eclettica nacque, e crebbe, e dilatossi ampiamente in Alessandria, e Alessandrini furono Potamone ed Ammonio, né insegnarono altrove, che nella lor patria. Se Plotino e Amelio e alcuni altri Filosofi la recarono a Roma, ella non vi gittò profonde radici, e al partire di essi essa ancora svanì. Sembra, che i Romani non fossero di lor natura molto inclinati alle sottili speculazioni; poiché di fatti veggiamo, che niuna nuova setta nacque ed allignò tra essi: anzi ella è riflessione, che facilmente si offre a chi legge la Storia Ecclesiastica, che delle antiche Eresie, che aggiravansi intorno ad astruse e speculative quistioni, quasi niuna ebbe origine nella Chiesa Latina, ma nacquer comunemente tra’ Greci, benché poscia i loro Autori le recasser talvolta a Roma, e ne infettasser l’Italia. Io non debbo dunque trattenermi a disputare di ciò, a che i Romani non ebbero che piccolissima parte. V. Egli è vero però, che, se dovessimo credere a tutto ciò, che Porfirio raccontane di Plotino uno de’ più famosi discepoli di Ammonio, e dopo lui il più fermo sostegno dell’Eclettismo, converrebbe concepir de’ Romani un’idea assai più vantaggiosa di quella, che noi or ora ne abbiam formato. Racconta egli9, che Plotino dopo essersi per più anni istruito nella scuola di Ammonio sen venne a Roma, mentre regnava Filippo, essendo egli allora in età di quarant’anni; che per alcuni anni non fe palesi ad alcuno i segreti della Filosofia del suo Maestro, come tra’ discepoli di esso erasi convenuto; ma che veggendo altri non mantenere la data fede, ruppe anch’egli il silenzio, e cominciò ad insegnare pubblicamente. Non eran molti, dice Porfirio, que’, che accorrevano ad udirlo; ma tra essi contavansi alcuni de’ più illustri Romani, come Castricio Fermo, e Marcello Oronzio, Sabinillo, e Rogaziano Senatori, i quali con grande ardore si volsero a’ Filosofici studj; e Rogaziano singolarmente erane così trasportato, che più non ebbe pensiero alcuno de’ suoi beni, cacciò tutti gli schiavi di casa, rigettò gli onori, ed essendo Pretore non prendevasi alcuna cura de’ suoi doveri; anzi nemmeno abitava nella propia sua casa, ma cenava e dormiva con alcuni de’ suoi amici; col qual disprezzo della sua vita, continua Porfirio, egli ottenne di liberarsi dalla podagra, che il molestava10. Quindi venne Plotino in sì grande stima, che ne’ ventisei anni, che e’ visse in Roma, fu scelto ad arbitro di molte liti; e ciò non ostante non ebbe mai chi gli fosse nimico, ma tutti gareggiavano in amarlo ed in onorarlo11. Anzi l’Imperador Gallieno e Salonina di lui moglie l’ebbero caro per modo, che avendogli Plotino pregati a voler rifabbricare una Città rovinata in Terra di Lavoro, e a permettere a coloro, che l’abitassero, tra’ quali sarebbe stato egli stesso co’ suoi amici, di vivere colle leggi della Repubblica di Platone, e che alla Città medesima desse il nome di Platonopoli, avrebbe egli probabilmente ottenuto ciò, che bramava, se i Consiglieri di Gallieno non l’avessero impedito12. Ma in cotali gloriosi racconti chi è che non conosca la sfacciata impostura del menzognero Porfirio, che ardendo d’odio implacabile contro de’ Cristiani usava d’ogni arte per oscurare le glorie del Divino loro Autore, e degli antichi e de’ moderni Filosofi faceva a tal fine uomini maravigliosi, e operatori di strani prodigj, che a quelli di Cristo rassomigliassero? Nel che egli giunse a segno tal d’impudenza, che ardì ancor di affermare, che, mentre Plotino sollevavasi una volta col pensiero, e tutto immergevasi in Dio, Dio stesso gli apparve non avente forma né idea alcuna, ma sopra ogni umano intendimento consistente in sé stesso13. Qual conto possiam dunque noi fare di un sì ardito impostore? Sarebbe a bramare, che di Plotino e dello stato della Filosofia in Roma di questi tempi qualche altro Scrittore ci avesse lasciata più sincera contezza; ma invano la cerchiamo altrove fuorché presso Porfirio, e gli altri, che ne adottarono i racconti. Morì Plotino, secondo lo stesso Porfirio, in Terra di Lavoro, ove erasi ritirato, essendo in età di 66 anni l’anno dell’Era Cristiana 270. VI. Fra’ più famosi discepoli di Plotino uno ne rammenta Porfirio, che di buona ragione appartiene a noi, cioè Amelio Toscano di nascita, come affermo lo stesso Porfirio, che con lui visse14, e non di Apamea, come ha scritto Suida15. Fu egli uno de’ più fidi discepoli di Plotino, e per ventiquattro anni indivisibil compagno, finché ritiratosi Plotino, come già si è detto, da Roma, Amelio ancora andossene ad Apamea in Siria, dove sembra, che egli passasse il rimanente della sua vita. Il diligente ed erudito Bruckero ha raccolto tutto ciò, che da Porfirio e da altri antichi Scrittori 191 si è scritto intorno a questo illustre Filosofo, e intorno a molti libri da lui pubblicati, fra’ quali rammentansi cento libri di osservazioni diverse tratte dalle lezioni e dalle dispute di Plotino, un libro intorno alla diversità, che passava tra la dottrina del detto Plotino e quella di Numenio, e quaranta libri contro un libro apocrifo di un cotal Zostriano, ed altri, de’ quali e di tutto ciò, che a lui appartiene, veggasi il lodato Bruckero16 e il Ch. Conte Mazzucchelli ne’ suoi Scrittori Italiani. Romano ancora o Italiano per avventura fu Erennio, che dal Bruckero si annovera17 tra’ più famigliari discepoli di Plotino. Ma non abbiamo altra ragione per crederlo, che il nome stesso di Erennio, che sembra Italiano, benché per altro si trovi ancor qualche Greco del medesimo nome. VII. Porfirio nato o in Tiro o almen certo nella Fenicia, discepolo egli pur di Plotino, visse parecchi anni ora in Roma, ora in Sicilia, anzi vuolsi da alcuni, che in Sicilia scrivesse egli i suoi libri contro la Religion Cristiana18. Ma noi non veggiamo, che avesse tra gli Italiani molti ammiratori e seguaci; né che i libri da lui pubblicati fossero molto celebri in queste nostre provincie, in cui, come abbiamo osservato, le sottili speculazioni non avevano, singolarmente a questi tempi, gran plauso. E innoltre noi non avremmo a vantarci molto di un tale Scrittore, che, benché al dir di Eusebio19, debba annoverarsi tra’ più illustri Filosofi della Grecia, trasportato nondimeno da un fanatismo sfrenato troppo abusò del suo ingegno, non sol combattendo aspramente la Religione Cristiana, il che in un Pagano Filosofo sarebbe degno di scusa, ma usando ancora della più audace impostura nel fingere e nel raccontare i sognati maravigliosi prodigj, ch’egli attribuisce a Pittagora e a Plotino; il che a saggio Scrittore, di qualunque Setta egli sia, troppo mal si conviene. Di queste imposture e di tutto ciò, che appartiene a Porfirio, parla lungamente il Bruckero20, presso il quale potrannosi veder citati altri autori, che di lui hanno scritto. Morì al principio del quarto secolo; ma è difficile stabilire, in qual anno ciò accadesse precisamente. Il Mongitore appoggiato singolarmente a un testo di S. Agostino21, in cui egli prendendo a sciogliere alcune difficoltà contro la Religion Cristiana, che si dicevano prese dagli scritti del Filosofo Porfirio, scrive, che ei pensa non esser questi quel Porfirio Filosofo Siciliano, di cui sì grande era la fama, appoggiato, dico, il Mongitore a questo testo crede22, che un altro Porfirio vi fosse celebre Filosofo, e Siciliano di patria diverso da quello, di cui abbiam ora parlato. Ma ei non ne porta ragion che basti a provarlo. Egli è certo, che un sol Porfirio Filosofo illustre troviamo nominato negli antichi autori, il quale poté dirsi ancor Siciliano, perché visse più anni in Sicilia; e quindi né il dubbio di S. Agostino né le ragioni addotte dal Mongitore non son sufficienti a stabilir l’esistenza di un altro Porfirio. Molto meno dobbiam noi qui parlare né del famoso Luciano ardito dileggiatore non solo della Religion Cristiana, ma di qualunque altra Setta, il quale fiorì verso il fine del secondo secolo; perciocché e fu straniero, cioè di Samosata, e non sappiamo, che egli mai soggiornasse in Italia, né di Apulejo Scrittor Latino23, ma nativo di Madaura in Africa, e che solo pochi anni fu in Roma ad apprendervi la lingua Latina, colla qual occasione egli ancora perorò talvolta nel foro24; né finalmente del celebre Astronomo e Geografo Claudio Tolomeo, che a’ tempi di Marco Aurelio visse sempre in Egitto. VIII. Straniero pure, cioè natio di Cherona nella Beozia e figliuolo di una Sorella di Plutarco fu Sesto; ma pare, che tutta la sua vita ei passasse in Roma. Certo ei fu tra’ Maestri di Marco Aurelio, il quale di lui ragiona con grande encomio, e ricorda i saggi avvertimenti, che da lui apprese25. Se Filostrato fosse Scrittor degno di fede, dovremmo credere, che questo Imperadore in età già avanzata se n’andasse colle tavolette pendenti dalla cintura come un fanciullo a udir Sesto26; ma abbiamo altre volte mostrato, quanto poco dobbiam fidarci all’autorità di un tal impostore. Di lui null’altro sappiamo. Solo alcuni gli attribuiscono le Dissertazioni contro gli Sceptici, che sogliono andar congiunte alle opere di Sesto Empirico. Fu questi un altro Filosofo e Medico insieme, di cui s’ignora la patria, ma certamente straniero all’Italia, vissuto verso questi tempi medesimi in Alessandria, e che perciò nulla a noi appartiene. Il celebre M. Huet ha voluto dimostrare, che ei non sia diverso da Sesto di Cherona27; ma alle ragioni di esso ha lungamente risposto il Bruckero28. Massimo Tirio finalmente, di cui abbiamo ancora molte dissertazioni, fu a questa medesima età; perciocché da alcuni si dice vissuto a’ tempi di Antonino Pio, da altri a’ tempi di Comodo. Ei fece qualche viaggio a Roma, come da’ suoi libri medesimi si raccoglie; ma non 192 pare, che vi avesse mai stabil dimora. Il Tillemont29 e alcuni altri pensano, ch’ei sia quel medesimo Claudio Massimo, che fu Maestro di Marco Aurelio; ma altri il negano, e tra essi il Bruckero30; perciocché Massimo Tirio fu Platonico, e il Massimo Precettore di M. Aurelio si dice Stoico. IX. Oltre questi più insigni Filosofi Greci, alcuni altri ne troviam nominati nelle Storie di questi tempi, e singolarmente Apolonnio nativo di Calcide, o secondo altri di Calcedonia, Stoico di professione, il quale fu da Tito Antonino chiamato a Roma per istruire Marco Aurelio. Ma egli diede ben a conoscere la Stoica sua alterigia; poiché avvisato da Antonino di venirsene alla Corte per dare le sue lezioni, superbamente rispose, che il Maestro non dovea già andare al discepolo, ma sì il discepolo al Maestro, a cui sorridendo Antonino, è stato dunque, soggiunse, più facile ad Apollonio il venir da Calcide a Roma, che il portarsi dalla sua casa alla Corte. Così racconta Giulio Capitolino31, il quale soggiugne, che nello stipendio ebbe ancora Antonino occasion di conoscere la non troppo Filosofica avarizia di Apollonio. Marco Aurelio nondimeno anche di questo suo Maestro parla con lode32, e da ciò, che narra altrove Capitolino33, raccogliesi, ch’egli cedette all’alterigia del suo Maestro, andando egli stesso alla casa, ove esso abitava, ancor quando già era ornato dell’Imperial dignità. Aggiungasi un certo Stilione Filosofo, che vedesi nominato tra’ Maestri di Alessandro Severo34, e alcuni altri, di cui potrebbonsi dagli antichi Scrittori raccogliere i nomi, ma de’ quali è inutile il ragionare, poiché non ne abbiamo più distinta contezza. X. Peggiore ancora fu a questi tempi lo stato della Matematica in Roma; poiché non sappiamo di alcuno, che in essa si rendesse illustre. Filostrato ci rappresenta l’Imperadrice Giulia Donna moglie di Settimio Severo circondata sempre da Filosofi e da Geometri35. Ma chi fossero questi Geometri, egli nol dice, e parmi, che si possa non senza ragion sospettare, che l’adulatore Filostrato esagerasse di non poco le lodi di questa Augusta, di cui egli godeva il favore. Se dovessimo spiegare letteralmente ciò, che Lampridio racconta di Alessandro Severo, converrebbe dire, che questi fosse egregiamente istruito in tale scienza; Perciocché di lui dice, che nella Matematica egli era versato per tal maniera, che per suo comando i Matematici tennero pubblica scuola in Roma36. Ma dalle cose, che altrove abbiamo su ciò osservato, è manifesto, che qui si parla della Astrologia Giudiciaria, da cui questo per altro ottimo Principe ciecamente si lasciò abbagliare, ed ebbe tra’ suoi più stretti amici l’Astrologo Trasibulo37. Il Tillemont afferma38, che non deesi fede a Lampridio, quando racconta, che Alessandro permise e comandò agli Astrologi d’insegnare pubblicamente; e reca un frammento di Ulpiano, in cui dice, che talvolta s’introdusse in Roma un tal costume, ma più per ardir degli Astrologi che per licenza ottenutane39. Ma io mi maraviglio, che questo dotto Scrittore non abbia posto mente a ciò, ch’egli stesso scrive non molto dopo40, cioè che è probabile, che la citata opera fosse da Ulpiano composta innanzi al regno di Alessandro; e che perciò non può recarsene l’autorità per riguardo a’ tempi, in cui questo Imperadore occupava il trono. D’Alessandro però soggiugne ancora Lampridio, che Geometriam fecit; e pare quindi, che qualche cognizione egli avesse di questa scienza, seppure non fu anch’essa rivolta alle superstiziose osservazioni del Cielo. Né altro monumento abbiam nelle Storie di questi tempi, che appartenga agli studj della Matematica; e solo veggiamo in ogni parte gli Astrologi impostori continuare colle lor frodi ad ingannare gli uomini. Così troviamo, che gli Astrologi consultati furono da Settimio Severo41; che essi predissero un ugual corso di vita ad Antonino figliuolo di M. Aurelio che a Comodo suo fratello, benché poscia Antonino morisse fra poco tempo42; che pronosticarono ancor l’impero a’ tre Gordiani43, ed altre somiglianti sciocchezze, che buonamente credevansi da coloro, a cui gli Astrologi le imponevano, e spesso ancor dagli Storici, che ne rammentavano i successi. XI. Accennerò qui finalmente i nomi di due Scrittori d’Agricoltura, che probabilmente vissero circa a questi tempi, benché nulla si possa intorno ad essi accertare, cioè Siculo Flacco, e Aggeno Urbico. Del primo abbiamo parte di un’opera da lui scritta De conditionibus agrorum: del secondo abbiamo parte de’ suoi Comentarj sul libro attribuito a Frontino De limitibus agrorum, e di un Trattato De controversiis agrorum. Esse sono inserite nelle Raccolte degli antichi Scrittori d’Agricoltura44. 193

Note[modifica]

1 De Libris prop.
2 Dio. l. LXXIV.
3 De Hist. Lat. l. III.
4 Bibl. Lat. l. II c. XIII.
5 Capitol. in M. Aurel. c. III.
6 De Rebus suis l. I.
7 Hist. Crit. Philos. t. II p. 189 &c.
8 Art. Eclectisme.
9 In vita Plotini.
10 Vit. Plot. c. VII.
11 Ib. c. IX.
12 Ib. c. XII.
13 Ib. c. XXIII.
14 Vit. Plotin. c. VII.
15 In Lexic.
16 T. II p. 233.
17 Ib. p. 216.
18 V. Brucker. t. II p. 246.
19 Præpar. Evang. l. III c. I.
20 T. II p. 236 &c.
21 Epist. CII edit Maur. & Retract. lib. II c. XXXI.
22 Biblioth. Sic. Art. Porphyr.
23 Il Sig. Landi non sa intendere, perché non abbia io parlato di Apulejo, ma ne abbia ragionato sol di passaggio e anche
tra’ Filosofi Greci (T. I p. 343). La ragione è stata da me chiaramente indicata in questo luogo medesimo; e se io l’ho
unito a’ Greci, ho però avvertito, ch’egli era Africano e Scrittor Latino.
24 V. Brucker. t. II p. 172.
25 De rebus suis l. I.
26 Vit. Soph. l. II c. I.
27 De la Foiblesse de l’Esprit humain l. I c. XIV.
28 T. II p. 633.
29 In Anton. Art. XV.
30 T. II p. 677.
31 In Anton. c. X.
32 De rebus suis l. I.
33 In M. Aurel. c. III.
34 Lamprid. in Alex. c. III.
35 Vit. Apoll. l. I c. III.
36 In Alex. c. XXVII.
37 Ib. c. LXII.
38 In Alex. Art. XIII.
39 L. VII de Offic. Procons.
40 Art. XVII.
41 Spartian. in Sever. c. II & IV.
42 Lamprid. in Commod. c. I.
43 Capitol. in Gordian. c. XX.
44 V. Fabric. Bibl. Lat. l. IV c. XI.