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ANTONIO CALZONI

32 pagine d'un buongustaio milanese per una gara fra le osterie milanesi


MILANO MCMXXXII X° I LIBRI D'OGGI Fra gli allettanti « da Gigi », « da Remo », « da Salvatore » che anche a Milano stanno, dal nome del proprietario, ad indicare confidenzialmente ristoranti e trattorie rinomati per ghiotte specialità d'altre regioni d'Italia, a' milanesi d'origine e d'elezione come pure ad ospiti di passaggio, i quali d'ogni città che visitano desiderano di solito conoscere tutte le particolarità, non sarebbe discaro, crediamo, scorgere ancora l'insegna di qualche vecchia osteria risorta a nuova vita la quale, grazie ad un'accurata cucina - schiettamente milanese - e ad un frizzante nostranello, avesse rinverdito la fama di cui godette in tempi oramai lontani. Chi può oggidì rammemorare tutte quelle osterie (la storia secolare d'alcune di esse non odora soltanto de risott e de' stuvaa, ma possiede inoltre « motivi » artistici, patriottici, mondani) che furono tanto care a' nostri nonni? Oppur chi può raffigurarsele in tranquille e silenziose contrade del centro o site quasi in aperta campagna (appena fuori di Porta, veh!) con la pergola, col bersò (abbiamo scritto questo vocabolo all'italiana dopo quanto Ugo Ojetti ha autorevolmente affermato), col giuoco delle boccie e magari con l'ortaglia che per gli affezionati clienti produceva gustosissimi asparagi e crocchiante insalatina? Ben pochi o forse nessuno. Ed ecco che a coloro i quali della vita milanese d'una volta amano pure gli scorci, gli aneddoti, le spigolature è venuto incontro un giovane cultore di storiche discipline, Antonio Calzoni, con un volumetto (32 PAGINE D'UN BUONGUSTAIO MILANESE, Alfieri e Lacroix, Ed. Milano L. 5) nel quale egli, per l'appunto, rievoca ed illustra con amore e diligenza le antiche osterie milanesi dalle denominazioni così bonariamente caratteristiche. L'osteria del Pavoncino in Borgo (ne citiamo solamente alcune), del Falcone, del Fuso, della Mezza Lengna, della Goeubba, della Nos, della Cazzoeula, del Cantoncello all'Aquila, della Stadera nel cui giardino ebbe sede sì (e fu la sua prima) la Società del Giardino, ma dal 1783 al 1786 e non, come è detto dal 1873 al 1876: un semplice errore. L'autore conchiude il suo interessante studio con una proposta per far rivivere le vecchie tradizioni gastronomiche. Bandire, cioè, un vero e proprio concorso, dotato di premi, con categorie speciali fra i concorrenti, con classifiche e punteggi diversi. Dell'esito pratico d'un concorso di questo genere ci permettiamo di dubitare, mentre ci affiderebbe di più l'iniziativa privata, cordialmente appoggiata da' buongustai, d'un oste solo, abile ed avveduto. Ma saremmo ugualmente tra i primi ad applaudire se dalla proposta di Antonio Calzoni, avendo noi errato nelle previsioni, dovessero, invece, derivare concreti e durevoli risultati. Al. b. Milano 14/7/1932

All'Eg. Sig. Alessandro Bossi, che cortesemente mi fornì gustose notizie per questo mio libretto, offro quale modesto ma riconoscente omaggio

Antonio Calzoni ÿþANTONIO CALZONI 32 pagine d'un buongustaio milanese per una gara fra le osterie milanesi


MILANO MCMXXXII X

EX-LIBRIS ALESS. BOSSI - DONO 1951 Alcuni cittadini, veramente milanesi d'animo e di cuore, in questi ultimi tempi

hanno cercato con lodevoli iniziative di ogni genere di mantenere vive le vecchie tradizioni della nostra città, la quale, col progresso dei tempi, ci appare assumere a poco a poco l'aspetto d'una grande città cosmopolita. Ma perchè non cerchiamo anche di conservare, anzi di far rivivere, le nostre buone tradizioni gastronomiche? Non sono esse legate allo spirito e al carattere ambrosiano che noi vogliamo mantenere intatto con le sue doti, con le sue virtù, e anche con le sue piccole, ma perdonabili debolezze? Certamente il buon ambrosiano è pur sempre lieto di poter gustare le vecchie specialità gastronomiche milanesi; ma, purtroppo, se talvolta ancora può veder imbanditi quei piatti squisiti sulla sua tavola, nell'intimità familiare, è pur certo che fuori, nelle trattorie si vedrà invece offerto assai più facilmente le specialità gastronomiche di altre regioni. Se non cercheremo di reagire a questa sopraffazione e non faremo in tempo una vera crociata in difesa della nostra buona cucina, si darà il caso che un giorno non riusciremo più a trovare in tutta Milano nemmeno un semplice risotto giallo alla milanese! Sarebbe davvero il colmo!... Dato quest'allarme, invito i miei venticinque lettori, che immagino saranno tutti milanesi, e sopratutto buongustai milanesi a seguirmi, per prima cosa, in una brevissima peregrinazione per la vecchia città; così li preparerò ad accogliere benevolmente una modesta, ma originale mia iniziativa. Qui sarò quasi il servitore di piazza (così si chiamava una volta la guida di una città) che addita, non al forestiero, ma al meneghino d'oggi alcune vecchie osterie dalle insegne famose, e dalle specialità gastronomiche ancor più famose. OSTERIA. — Questo antico generico nome, significava ogni pubblico luogo ove ben si beveva e meglio si mangiava. Ad esso si aggiungeva una denominazione qualsiasi, la più disparata e la più originale; ed ecco così distinto il locale con la propria insegna in ferro o in legno sopra la porta, all'esterno, e con la sua speciale ghiottoneria all'interno, la quale sopratutto conferiva all'osteria particolare rinomanza. A Milano le osterie ebbero una caratteristica loro propria, una fisionomia di originalità tutta speciale, e ci sarebbe davvero da fare uno studio (direi quasi psicologico) sull'ambiente di ciascuna di esse. Mi limiterò qui, da buona guida a fare solamente una distinzione generica fra: Il semplice « boeucc » che si trova in ogni epoca e quasi in ogni via, il quale era in origine uno stambugio, dispensa di vino e più tardi di viveri; « L'osteria con alloggio » per le persone e per il ricovero delle bestie, in quei tempi quasi inseparabili dalle persone; e l'osteria propriamente detta, ove oltre i piatti gustosi e vini schietti, si offrivano cordialità e ospitalità veramente ambrosiane. Ma tutte erano chiamate osterie; poi con l'andar degli anni, con il mutarsi delle abitudini e delle esigenze, anche le osterie subirono una lenta evoluzione, assursero ad un maggior grado di elevazione; alcune di esse a poco a poco si chiamarono alberghi, trattorie, ecc., altre invece rimanendo in un grado di inferiorità (per quanto riguarda il genere dei loro abituali avventori) conservarono il nome di osteria con la loro vecchia caratteristica, con la loro vecchia specialità e con il proprio loro ambiente. Ma in esse anche il più aristocratico cittadino sempre entrò attratto non tanto dal profumo delle vivande squisitamente milanesi, ma da una forza quasi suggestiva data dall'ambiente tranquillo, gaio, festoso e prettamente meneghino. Altra distinzione per chi voglia peregrinare come noi per la città in cerca d'insegne, potrebbe farsi fra osterie del centro, delle varie porte, del suburbio e dei così detti Corpi Santi. Chiudo queste brevi premesse che ho ritenuto necessarie e... vecchia carta topografica alla mano, inizio la guida. Comincerò da Porta Romana, la porta più ricca di insegne e dove è più ampia la scelta anche per chi sia di gusti difficili. Famosa era la Osteria dei Tre Re nella Via dei Tre Re (ora Via Tre Alberghi, che ha mutato nome al principio del 1800). L'osteria esisteva fin dal 1400 e tra le prime in Milano offrì agli ospiti buone camere con comodi letti e una tavola ben condita inaffiata da un frizzante moscatello e provvista di squisiti panini di forma e fattura speciale. La sua insegna è la più antica insegna d'albergo. I Tre Re erano i Tre Re Magi della sacra scrittura, per i quali i milanesi ebbero sempre una particolare devozione. L'osteria ebbe gran fama ed ospiti illustri, principalmente ambasciatori e notabili svizzeri. Ricorderò solo, fra i tanti, Carlo Goldoni che vi alloggiò col padre in un suo viaggio a Milano. L'osteria aveva anche importanza perchè ad essa era affidato il servizio di recapito della posta per la Germania e di esso gli osti dei Tre Re furono sempre gelosissimi, e si capisce, perchè così il loro cortile era quasi... una stazione ferroviaria. Ma nella stessa via intorno alla metà del 1700 Si aprirono l'Albergo Reale e più tardi l'Europa, mentre la vicina osteria del Cappello superava nella comodità dell'alloggio, più che nella bontà del suo vitto, il locale dei Tre Re, e perciò questi dopo saltuarie vicende scomparve verso il 1840 finendo i suoi giorni come modesta trattoria. Antichissima e molto conosciuta fu l'Osteria del Cappello Rosso o semplicemente del Cappello, situata all'angolo di Via dei Tre Re e Via Cappello (ora Via C. Alberto). Essa esisteva certamente al principio del 1300. Persona considerata ed influente doveva esser il suo oste (alla metà del '400) certo Francesco de Gallina al quale era stata data dalle autorità concessione di poter vendere « poma rancea, limones et pisces salsos » a qualunque prezzo volesse e cioè mele arancie e pesci salati. Curiosa questa aperta autorizzazione fatta proprio a un oste! Che avranno detto i suoi colleghi dei Tre Re, del Falcone, del Gallo che ebbero noie con la giustizia per avere usato stai non bollati per la biada dei cavalli e per aver omesso di mettere nei boccali il famoso chiodo che doveva servire da misura? Ma gli osti sono sempre d'accordo quando si tratta di farne qualcuna ai loro clienti e di empire la loro cassetta! Ho detto che il Cappello godette una certa fama: basterebbe ricordare le riunioni tenute proprio nell' Osteria dai messi di Amedeo VIII di Savoia venuti a Milano per trattare un'alleanza coi rappresentanti di F. M. Visconti. Si potrebbe qui fare un elenco degli ospiti notabili, ma per lo più il locale fu frequentato da negozianti e commercianti specialmente forestieri: fra gli italiani convenivano più frequentemente i lodigiani e i cremonesi. Il Cappello specie dopo il 1700 rivaleggiò come albergo con quelli di Via dei Tre Re; tuttavia sulle guide, ora è decantata la sua rinomanza, ora invece non è nemmeno ricordato, forse a seconda della generosità dimostrata dai suoi vari proprietari nel pagamento in natura che i compilatori dei Servitori di Piazza delle varie annate erano soliti pretendere dagli osti. A proposito di tale genere di pagamenti si ricorda che all'Osteria del Cappello fu custodito per parecchi anni un quadro a tempera di Andrea Appiani rappresentante la cena di Emaus. Il dipinto era stato ordinato dalla « unione cuochi » di quel tempo ed era stato pagato parte in denari e parte in cibarie, e per vari anni si celebrò dal corpo degli albergatori, camerieri e cuochi una festa annuale per onorare tale donazione. Gli artefici di tanti rinomati conviti non ci lasciarono però gli « edenda » di quei banchetti familiari... L'avranno fatto per modestia oppure per vergogna dei posteri?... Come finì i suoi giorni il Cappello? Divenuto a poco a poco albergo di seconda classe vi rimaneva fino al 1877 per trasferirsi poi in Via S. Radegonda e fondersi con la Corona d'Italia. L'Osteria all'insegna del Falcone è anch'essa della fine del 1300; era detta anche Hospitium Falconis, perchè provvista d'alloggio e sorgeva nella via omonima, all'ombra del Campanile della Chiesa di S. Satiro. In origine l'osteria (più precisamente l'edificio) era di proprietà di Ginevra Visconti, figlia di Bernabò. In quei tempi molto spesso le case delle osterie erano di proprietà di patrizi e gli osti ci tenevano a far murare a fianco delle loro insegne lo stemma gentilizio della casata proprietaria dello stabile. Il Falcone era sotto la protezione della vicina chiesa di S. Satiro ed infatti un suo oste del 1470, anch'esso un certo Gallina, che ne era particolarmente devoto, fece dipingere nella chiesa un quadro rappresentante il miracolo della Vergine e secondo l'uso di quei tempi si fece in esso ritrattare insieme con alcuni suoi familiari. Ma un mattino le loro rispettabili effigi furono trovate cancellate, e nonostante le furie dell'oste, l'intervento delle autorità e una vera e propria questione legale promossa contro i custodi della chiesa, i colpevoli non furono mai scoperti. I maligni supposero come autore del misfatto qualche avventore mal trattato dal Gallina... l Falcone fu sempre affollatissimo, specie da mercanti e da agricoltori venuti a Milano per smerciare i loro prodotti. Non vi era un pavese che non alloggiasse al Falcone. Merita ricordare l'osteria delle Due Spade in Corso Romana divenuta per alcuni anni albergo e più tardi ritornata solo trattoria. In antico essa pure stazione di posta e recapito di corrieri e postiglioni; ancor pochi anni or sono era la sosta prescelta dai cocchieri di quelle tipiche vetture, che venendo dalle rive dei laghi e dalla riviera, tutti gli anni passavano da Milano per recarsi a far le stagioni nelle più eleganti stazioni climatiche dei Grigioni e della Engadina. Nel Corso di Porta Romana al N. 4591 v'era l'Osteria della Commenda frequentata nelle sere d'estate dalla società elegante e ricordata dal Porta che vi condusse il « Marchionn », con quella sua cara sposina, per passarvi una sera proprio da signori. L'insegna della Spada, cioè con una spada sola, era invece di un'osteria di Via Larga che aveva bettolino in Bottonuto. Il bettolino era una dispensa di vino, un banco d'assaggio che quasi sempre dipendeva da un'osteria, che appena appena si rispettasse. A Porta Romana vi era inoltre l'osteria del Pavone e quella del Pavoncino in Borgo, l'osteria del Laghetto, in Via Laghetto, del San Giorgio il cui oste era chiamato Pater e la osteria del Fuso, con bettolino, ove si mangiava uno speciale riso in cagnone. I chicchi di riso di una specialissima qualità, si gonfiavano talmente nella padella dell'oste del Fuso da sembrare dei piccoli bachi (dii cagnon) donde il nome di riso in cagnone. Ma usciamo un momento dalla vecchia Porta Romana per indicare, se pur brevemente e come per un riguardo a chi è da poco scomparso, l'osteria o Trattoria della Carità ove si davano preferibilmente convegno i maestri dell'orchestra della Scala, i professori del Conservatorio, editori musicali e veri maniaci della musica e del canto. Facciamo un salto a Porta Ticinese anch'essa ricchissima d'insegne e cominceremo col Pozzo, la famosa e antica osteria con alloggio situata in Corsia della Palla al N. 3281. Anche essa esisteva fin dal 1400 ed ebbe rinomanza per vari secoli, meta di forestieri che settimanalmente discendevano dalle diligenze provenienti dalla Germania e dalla Svizzera. Dal Pozzo partivano i corrieri per il Piemonte, per Genova e per la Toscana. Naturalmente rivaleggiò con le altre osterie del genere quali i Tre Re e il Falcone. Per dimostrare la gelosa custodia dei pubblici servizi che queste tre osterie disimpegnavano con cura e sollecitudine, poichè da essi derivava la loro vita e rinomanza, basterebbe scorrere la voluminosa pratica che nei primi anni del 1700 il conte Giacomo Annoni, proprietario della osteria dei Tre Re, ebbe con il Governo d'allora, perchè una bella mattina si vide tolta dal cortile la cassetta delle lettere. L'osteria della Balla anch'essa antichissima, poichè se ne ha notizia fin dal 1300, vantava dei caratteristici privilegi di notevole importanza per il commercio. All'osteria della Balla tutti i mercanti milanesi e stranieri dovevano portare la loro mercanzia per la pesatura e per il pagamento del dazio. Nei primi anni del 1400 tutte le pelli e i cuoi per scarpe dovevano essere portati all'Hospitium Ballae dove secondo speciali regolamenti venivano venduti ai mercanti della città. [Didascalia immagine:] Osteria alla Balla Dalla "Civ. Raccolta delle Stampe" - Milano (Racc. Bertarelli) ÿþ

Eppure l'oste non doveva essere riconoscente alla provvidenza divina per così straordinarie concessioni se proprio la Fabbriceria del Duomo dovette nel 1408 prestare lire imperiali 5 all'oste Ambrosiano Malcolzato per fargli mettere nel suo cortile un ceppo con la immagine della Madonna.

Chi non conosce l'osteria dei « Trii Scagnn » al Carrobbio? Una « scranna rossa » in campo bianco era l'insegna di Porta Ticinese, ma il suo nome deriva forse da un fatto che ha sapore di leggenda. In essa si vestivano i tre che personificavano i Re Magi nella famosa processione di S. Eustorgio che si faceva ogni anno fin dal 1336 e che partiva appunto dal Carrobbio. Questa spiegazione della famosa insegna serve se non altro a dimostrare l'antichità dell'osteria, che da secoli era anche rinomata per una squisita mortadella decantata anche dai versi del nostro C. M. Maggi. E in fatto di specialità bisogna ricordare pure l'osteria della Rosa Rossa il cui oste era soprannominato Pedocchio ed ove si mangiava un lesso di manzo da tagliarsi con la forchetta; l'osteria della Goeubba alle Pobbiette ove si mangiava la tradizionale busecca tanto cara ai milanesi. Giacchè siamo da queste parti ricordiamo l'osteria della Noce a San Gottardo, la famosa Nós, sempre nominata dai nostri nonni, tanto frequentata nel secolo scorso, ove si beveva un vino Gattinara da far bollire il sangue nelle vene e che doveva essere molto gustato dagli ecclesiastici, se il Porta ce lo fa decantare dai preti nel suo Miserere! Pure in questo corso di S. Gottardo v'era l'osteria della Montagnetta su un piccolo promontorio verde, dal quale i nostri vecchi pretendevano ammirare il panorama della città; mentre la Vioeula è una vecchia tipica insegna che sempre fiorì... or qua, or là, per le varie osterie di questo quartiere. Rassegnamoci a fare un discreto tratto di cammino e andiamo a Porta Tosa, perchè certamente i vecchi buongustai di quel rione vogliono che almeno ricordi la vecchia osteria dii Ass, famosa per il suo ombreggiato gioco di bocce, ove si disputavano delle severe partite con la posta persino d'una " doppia di Genova " che equivaleva a ben 105 lire milanesi... Altro che il modesto fiasco d'oggi!... L'osteria del Pilastrello aveva invece il merito, senza obbligare i milanesi a recarsi troppo lontano dal centro, di offrire certi asparagi grossissimi cresciuti in una vicina ortaglia di sua proprietà. Altre rinomate osterie erano fuori di porta, ma di esse mi riserbo di parlare più avanti quando con la scusa delle loro speciali attrattive e specialità condurrò i miei lettori fuori dalla vecchia cerchia della città. Dirigendoci verso Porta Orientale (ora Porta Venezia) attraverso Porta Monforte, troviamo l'osteria della Polpetta, una delle osterie tipiche della nostra città che scomparì non sono molti anni. Seria, dignitosa, coi suoi mobili severi di noce, coi suoi vini frizzanti di Montevecchia e di Monterobbio, con le sue primizie di tartufi, coi suoi caratteristici padroni soprannominati anch'essi Polpetta, fu molto frequentata specie dal 1868 al 1880 da intellettuali, artisti, musicisti. Quell'ambiente quietamente severo era spesso rallegrato dai sorrisi giovanili delle allieve del Conservatorio capitate là dentro a portare una nota gaia e civettuola e a far mettere forse inconsapevolmente in ridicolo qualche maturo cascamorto... Poco fuori di Porta Monforte (giacchè un tedesco il noto Hans Barth che ci ha preceduto in questa fatica con la sua guida gastronomica di tutta Italia ce la pone fra le osterie milanesi) annotiamo al famoso bivio dell'Acquabella l'osteria con alloggio dell'Acqua Bella chiamata anche Pompei a Milano; mentre più lontano, a Lambrate, le osterie della Polveriera e dell'Ortica ancor oggi rimangono come sperduti ricordi di ore gaudenti ormai lontane... Ed eccoci a Porta Orientale ove accenneremo per non fare una lista interminabile di nomi quasi tutti d'animale, all'osteria dell'Agnello in Via Pasquirolo, del Bissone al Verziere detto Bissone al Verzaro in Piazza Fontana ove v'era una speciale Guarnazza, alla Cervia di Via San Raffaele, alla Foppa e al Gambero in Corsia dei Servi, osteria questa con alloggio fin dal 1400 e che chiamavasi Hospitium Gamberi. Ed è forse l'Hospitium Gamberi che al principio dell'800 divenne albergo e più tardi subendo dei cambiamenti e modifiche volute dalla evoluzione dei tempi perdette il nome di quel crostaceo per assumer l'altro più moderno di Albergo Europa. Il suo ristretto cortile verso la metà del secolo scorso fu teatro di una scommessa che interessò tutta Milano e che ricordo agli ippofili d'oggi. I Nobili Poldi Pezzoli e Annovazzi scommisero di girare nel piccolissimo cortile con un tiro a quattro cavalli e naturalmente senza palafreniere a terra. La scommessa fu vinta dai Poldi Pezzoli; i cavalli erano guidati dal Valerio e lo « stage » dal Marchese Stampa Soncino, entrambi rinomatissimi a Milano, per le loro prodezze ippiche. E se ho accontentato gli ippofili con questo particolare fuori programma, soddisfo anche i gastrofili accennando che all'osteria del Gambero vi era una « pondestura famosa... ». Ma chi voleva mangiare un buon spiedo di uccelletti, non importa se in tempo di caccia proibita, fossero storni o passeri da campanile, doveva recarsi all'osteria dei Trii Merli. Per anni, anzi per secoli, lo spiedo non smentì la insegna, o forse la insegna non smentì lo spiedo che girava quasi initerrottamente... Certamente posteriori alle precedenti, ma non meno famose, furono l'osteria della Stadera nel Corso di Porta Orientale vicino al teatro dello stesso nome dove ebbe sede dal 1873 al 1876 la società del Giardino; l'osteria del Rondò di Loreto celebre per il vino di Malvasia e gli amaretti e decantata dal Porta come la vera osteria alla buona, senza camerieri, e senza le fastidiosissime liste dei prezzi; e l'osteria dei « Promessi Sposi » appena fuori dalla vecchia porta (ora modesto albergo) famosa per alcuni speciali manicaretti e nella quale forse per riconoscenza si recavano le coppie novelle in viaggio di nozze a Milano. Sorvoliamo l'osteria della Croce Rossa con bettolino a S. Bartolomeo a Porta Nuova, l'osteria di S. Anastasio e quella di Via Cavalchina. Lasciamo da parte fuori di Porta Nuova vicino alla Martesana l'osteria della Magna e della Magnetta che offrivano degli spuntini come aperitivo a chi volesse recarsi più lontano a fare una buona colazione alla Cascina dei Pomi, e fermiamoci almeno un momento alle osterie di Porta Comasina (ora Porta Garibaldi), e particolarmente all'osteria della Foppa proprio a Porta Comasina, all'osteria della Spada in parrocchia di S. Tomaso. Quest'ultima esisteva già nel 1460 e nei suoi documenti di proprietà trovasi anche un curioso livello di L. 23 annue dovute all'oste da un signore di Bellano per somministrazione di vitto e di bibite consumate nella sua gioventù e naturalmente non pagate. L'osteria della Mezza lingua al principio della Strada Comasina per parecchio tempo mantenne la caratteristica del vecchio Stallazzo e l'abitudine di allineare al mattino su delle panche in cortile delle file di bicchieri di vino che venivano tracannati dai cavallanti in arrivo in città dal Varesotto e dai Laghi di Como e Maggiore. Ma l'osteria della Mezza Lingua ha anche il suo passato glorioso perchè qui convenivano negli anni del nostro Risorgimento cittadini patrioti a complottare, come pure all'osteria del Passetto o della Riviera al Passetto di Porta Comasina aveva sede la società patriottica detta appunto del Passetto. Sul viale dei vecchi bastioni, un'osteria conserva ancor oggi quasi gelosa la vecchia insegna della Pesa, così chiamata forse anche questa per un antico speciale privilegio di pesar merci; e ben avrebbero potuto pesarsi anche i molti suoi illustri avventori dopo i succolentissimi abituali banchetti... Ma lasciamo la Pesa e avviandoci verso Porta Sempione ricordiamo le antichissime osterie del 600. L'osteria di San Marco alla Porta Beatrice di Brera e al Naviglio di Brera, l'osteria della Lunetta, quella del Cantocello al Gallo, del Cantocello all'Aquila, dell'Orso al Ponte Vetero, l'osteria del Broletto Nuovo avente per insegna un cavalletto, l'osteria delle Piante (così chiamata per delle piante che vi erano vicino) ed infine l'osteria delle Tenaglie di Via Tenaglia, ove ancora alla fine del secolo scorso i buongustai andavano per gustare certi fenomenali tagli di manzo a lesso e certe frizzanti uscite meneghine della padrona, un pezzo di donna dalle forme erculee... Nel così detto Borgo degli ortolani la Annunziata e il Polaster erano le osterie degli ortolani ed infine ricordo le due Arene, l'Arena Vecchia e la Nuova, la prima più caratteristica frequentata da corrieri e carrettieri della Brianza, la seconda, molto più moderna, frequentata per lo più da borghesi nelle afose sere d'estate... A Porta Sempione indicherò solo l'Isola Botta del nome della quale non ho potuto rintracciare l'origine, che si trovava vicino al Parco, sull'area dell'ex Savini, celebre per il gioco delle bocce, e l'osteria del Rondò Sempione. Faccio poi una capatina all'Ostone ove l'oste, non peritandosi di mescolare il sacro al profano, conserva in un ambiente pregno degli odori più gustosi di questa umana terra... un Crocefisso miracoloso... E chiudo questo mio primo giro alle porte della città con le osterie di Porta Vercellina (ora Porta Magenta): l'osteria della Croce Bianca, della Maddalena, del Leon d'Oro di Via Meravigli. In S. Ambrogio v'era pure un'osteria con bettolino in S. Maria Beltrade, mentre nella Piazza del Castello splendevano le insegne del Sole e del Moro. Fuori di Porta la Brusada o Brusata anticamente, (il cui nome ricorda forse qualche incendio) fu sempre rinomata per le sue carni e per l'ottimo vino. Ora facciamo una puntata al centro della città per scovare alcune delle osterie nascoste in ogni ristretto vicolo, sotto un portico, sotto un androne. Alcune con alloggio divennero più tardi Alberghi di una certa rinomanza come l'osteria del Rebecchino situata fin dal 1600 in Via Rastrelli e poi passata nella Via dei Berettari stretti o dei Pagnoni in quel gruppo di case che venne abbattuto nella sistemazione dell'area intorno a Piazza del Duomo. L'osteria del Marino situata nella via dello stesso nome di fronte al Palazzo Marino nella casa che fu abbattuta per la costruzione del teatro Manzoni. Questa osteria aveva una casetta fuori dalla cinta della città, in campagna, per gli ospiti che desiderassero verde e quiete. L'osteria degli Angioli anch'essa recapito di corrieri e di postali era frequentata per lo più dai Comaschi, mentre l'osteria dell'Aquila o Albergo dell'Aquila (nel ristretto passaggio che sboccava nel vicolo dell'Aquila) era preferita da ufficiali e funzionari di polizia durante la dominazione austriaca. Vi alloggiavano però anche artisti e musicisti e fu proprio all'uscita di questo locale che in una sera del 1838 Bellini, Rossini e Mercadante fecero la scommessa di correre con un piede solo per duecento metri. Bellini non resistette, Rossini giunse a fatica e Mercadante vinse la scommessa. Ma tutti e tre dimostrarono in quella sera d'essere allegri e spensierati come fanciulli! L'osteria della Cervietta nella contrada del Rebecchino era nota come abituale ritrovo di ufficiali austriaci specialmente intorno al 1848. L'osteria della Foppa vicino a Piazza Mercanti, o meglio in una strada della piazza stessa, era antichissima e di proprietà comunale che l'appaltava con l'obbligo di costudire i carcerati delle vicine carceri pretorie. La famosa Osteria della Patona era nascosta in un andito oscuro che univa il vicolo del Gallo con Piazza delle Galline. Il suo nome le era dato da una pesante coperta tutta ricamata (patona) che difendeva la porta d'ingresso. La Patona era frequentata da un pubblico molto vario, negozianti, artisti, borghesi che per lo più venivano per bere come aperitivo un tonico vinetto bianco. L'osteria dei Magnan di Via Magnani, aveva quasi il privilegio di fornire testimoni a chi ne avesse bisogno per i vari atti pubblici, da redigersi negli uffici del vicino Palazzo Marino. Il Ceroli di Piazza Verziere angolo Via Cerva, era detta l'osteria dei Verzeratt, mentre il Beltramoli di Via Broletto assai noto pei suoi pranzi di magro, era anche una vecchia dispensa di vini ordinari ma generosi, con un cortile ombreggiato da viti secolari. Pure in Via Broletto era conosciutissimo il Formenton perchè fu uno dei tipici stallazzi del centro ultimo a scomparire. La insegna di questa osteria non era nè in ferro nè in legno, ma un fascio di pannocchie di granoturco (formenton) pendeva estate e inverno sotto il portone. E ci sarebbe da indicare ancora moltissime altre osterie disperse qua e là in vicoli, in piazzette, parecchie di esse un tempo oscure e sconosciute, ma che oggi rifulgono di luce perchè nella loro oscurità cittadini d'ogni classe si riunivano a complottare, a congiurare, a combattere per il trionfo della libertà. Qui ricorderò solamente l'Osteria detta dei Visconti sull'angolo di Via Mangano e Cordusio tenuta da quel Giussani che fu veramente un oste patriota. L'osteria Degli Amici in Via Spadari, l'osteria della Portalunga in Via Broletto, alla Lombardia in S. Giovanni sul Muro e l'osteria del Cadenino in contrada di S. Bernardino; in essa nel 1848 si era persino formata una specie di scuola di canto ove borghesi e popolani imparavano gli inni di Pio IX. Ma lasciamo l'interno della città per andare un po' all'aria libera, fra il verde e gli orti ove, i vecchi milanesi cercavano respiro e la quiete quasi campestre. La scusa, per uscire dalla cinta della città c'era sempre, anche per i meno ghiottoni: nelle belle giornate d'inverno era un piatto di pesce per meglio santificare il venerdì di magro, o un vino speciale da provare; in primavera erano le tradizionali spargiate e panerate; in autunno le abbondanti vendemmie. La Melgasciada, che esiste ancor oggi all'incrocio delle due strade per Como e Varese, una volta era circondata dai boschi della Merlada che erano famosi per le aggressioni. Nell'osteria vi sono ancora visibili degli affreschi (recanti la data del 1778) che ricordano le leggende popolari sui paurosi fatti di quei boschi. Qui i milanesi si recavano in primavera a fare delle scorpacciate di asparagi. Si facevano delle vere gare fra compagnie di buontemponi a chi ne mangiasse di più. Fin cento e più asparagi venivano trangugiati da un solo concorrente, che, naturalmente, non doveva lasciare sul piatto nemmeno un pezzetto. E se erano veramente speciali quegli stomaci, ben straordinari e diversi da quelli d'oggi dovevano essere gli asparagi della Melgasciada! Famosa anche per le spargiate era pure la Cazzoeula fuori di Porta Tosa sulla strada di Linate. Anch'essa è antichissima ed è ricordata nelle sue memorie dal Goldoni che vi soggiornò in occasione di una sua avventura galante con una signora milanese. L'osteria aveva nel cortile alberi secolari che avrebbero dovuto diventar storici per aver ombreggiato tanti intrighi famosi... La Cazzoeula merita anche un posticino nella storia della nostra Milano perchè nella sua tranquillità quasi campestre nascose alla Polizia riunioni di ferventi patrioti. Altro luogo scelto per le scorpacciate di asparagi alla metà del 1800 era un'osteria della Bovisa, la famosa Cagnoeula, fuori Porta Sempione, ove si trovavano sempre le primizie di asparagi e certi speciali formaggini decantati persino da Carlo Maria Maggi. Sulle rive della Martesana fra Porta Comasina e Porta Nuova la Cascina dei Pomi (Casina dii Pomm) aveva una cucina molto ricercata, come ricercate erano le primizie che l'orto riservava sempre per i suoi clienti. V'era per esempio una insalatina ricciuta più unica che rara. La sua cucina direi quasi aristocratica aveva raffinato anche l'ambiente e alla Cascina dei Pomi andavano di sovente anche dei personaggi importanti. Basti ricordare che vi scendeva spesso il vicerè Eugenio dal suo tiro a sei. Vi si tennero pure dei banchetti e dei brindisi che divennero celebri; il 14 Maggio 1809 (esiste ancora il menù) illustri cittadini vi pranzarono per festeggiare la vittoria del Principe Eugenio al Piave. L'osteria era frequentatissima anche alla domenica dai signori che si recavano in carrozza a cena dopo il corso per gustarvi i « naviselitt » annegati nel vino bianco dolce. Ma fuori di Porta Tosa l'osteria del Pellegrino era anche famosa per il pesce o almeno così doveva ritenersi per un cartello che era appeso alla porta tutto l'anno « Qui pesce sempre fresco », ed infatti lo si pescava nei vicini stagni della Senavra. [Didascalia immagine:] Osteria della Cazzoeula Dalla "Civ. Raccolta dalle Stampe" - Milano (Racc. Rertarelli) ÿþ L'osteria fu anche chiamata della Senavra e appunto il poeta Carlo Maria Maggi ce la ricorda con questo nome pei suoi famosi stracchini. Ci sono ancora molti vecchi milanesi che ricordano le cotolette di rane dell'osteria del Ronchett fuori Porta Ticinese detta anche « Il Ronchett di rann ». Qui si mangiavano squisiti risotti di magro e minestroni, e la biblioteca nella... cantina dell'oste era sempre ben fornita. Si recavano per lo più comitive e associazioni di gaudenti per le loro periodiche riunioni, fra le quali merita ricordare la Compagnia della « Tassinetta » così chiamata perchè i soci, per statuto, dovevano sempre bere il vino nelle tazze... per non palesare a vicenda chi avesse più sete. Alle volte le rane e i risottini erano una buona scusa a delle coppie furtive per far quattro salti in tutta confidenza. E quando troppo si ballava il parroco della chiesa vicina, tacciava dal pulpito il Ronchett come sito di perdizione. Secondo l'oste la ragione di tanta indignazione era ben altra; era purtroppo la mancata consegna al parroco delle primizie del piccolo orto del Ronchett che il proprietario riservava invece per i suoi migliori clienti. Già che siamo in tema di risotti gustiamo... col pensiero « el risotto coi fasoeu » del giardino del Bellezza in strada Comasina, risotti straordinari che avevano persino ispirato a comitive canterine dei versi sull'aria famosa del « Va pensiero » del Nabucco di Verdi: Anderemm 'n del giardin del Bellezza a mangià el risott coi fasoeu... D'isole per mangiare e per bere se ne crearono sempre i milanesi. C'era l'Isola Bella, l'Isola dei Fiori, l'Isolina e altre ancora; se poi vi era realmente un pezzetto di terra circondata da pochi centimetri di acqua stagnante, sul cartello la scritta dell'osteria era preceduta dal nome « isola » nel vero senso della parola, scritto a caratteri di scatola ISOLA « Isola dei Fiori ». L'osteria della Isola Bella fuori Porta Nuova, sulla Martesana, era famosa per la sua pergola e per i così detti « scartositt » di gustosa memoria, che erano dei dolciumi di schiuma e « pignoeu » avvolti in piccoli cartoccini di carta. A Grattosoglio invece l'Isola Fiorita richiamava i milanesi una volta all'anno quando i contadini del luogo innalzavano l'albero di una grande cuccagna. Per le tradizionali panerate avevano la esclusiva invece le osterie di Porta Vigentina, e si capisce, perchè qui era nata la leggenda di San Giorgio e l'osteria di Morivione era sorta proprio nel luogo ove era stato ucciso il terribile bandito Vione. Curioso come ricordo funerario, una osteria ove si gustava panna, ma solo però nel giorno di S. Giorgio, mentre per tutti gli altri santi, sempre si celebrava... con il vino. Ma altre osterie avevano delle attrattive loro proprie e non sempre di carattere gastronomico. All'osteria dei Beritt, in Via della Pace, si mangiava ascoltando le argute sortite di Gioppino; all'osteria della Simonetta (dietro il Cimitero Monumentale) vi si andava colla scusa di udire l'eco famosa che ripeteva per ben cinquanta volte la voce e cento volte il colpo di un piccolo cannoncino che l'oste teneva a tale scopo. Ma oggi coll'estendersi della città l'eco è quasi scomparsa e solo ci rimane... l'eco lontana, lontana delle belle ore passate dai nostri vecchi nei locali di quella villa signorile trasformata da tanti anni in osteria. Alla rinomata Osteria del Monte Tabor a Porta Romana vi si andava principalmente per le « montagne russe ». Il gioco, certamente nuovissimo per i milanesi, era stato introdotto da un autentico russo che approffittò delle accidentalità del terreno in quella parte del bastione per piantarvi le sue « montagne ». Il nuovo divertimento fece furore e nelle giornate di giugno tale era il concorso di signori che dal ponte del Naviglio alla Porta le carrozze dovevano procedere molto lentamente. Quante coppie... sdrucciolarono su quelle seggioline a forma di slitta! Vi slittarono persino il vicerè e la viceregina la quale, si disse, che sdrucciolando mostrasse al pubblico delle bellissime gambe. Ma al Monte Tabor si mangiava anche bene; e non so per quale ragione precisa un tempo lo si preferisse pei banchetti nuziali. Lo Stendhal, « il milanese di Francia » così giustamente chiamato per l'affezione ch'ebbe per la nostra città, e che visse la vita del vero gaudente, ricorda che nel 1811 era molto frequentata da patrizi e borghesi un ritrovo tenuto da Madame Vieillard, una vecchietta ex-cameriera di una dama francese. La padrona aveva fatto diventare di moda il suo locale non tanto per la cucina adattissima per cene fredde e spuntini, ma per gli ameni epigrammi che ella graziosamente dirigeva ai suoi avventori. Chiudo ora questa mia brevissima guida con un ritrovo del tutto diverso dagli altri e speciale nel suo genere « IL VAUXALL » d'origine certamente inglese, introdotto a Milano nel 1778 dal veneziano Giuseppe Fossati. Era un passeggio in un recinto ombroso che si trovava in Via Marina vicino ai Boschetti. In alcuni punti, molto bene illuminati si ammiravano minuterie e svariati oggetti esposti in apposite vetrine; in altri artificiosamente all'ombra, vi erano piccoli giardini con sedili di ogni forma e ameni boschetti seduttori. Si faceva musica, si ballava e si facevano fuochi d'artificio, si gustavano gelati, si sorbivano liquori. Era insomma un ritrovo signorile e diverso dagli altri, era un primo passo verso i varietà e i giardini d'estate. Con le sue speciali attrattive però, ebbe fortuna tanto che nel 1824, e cioè cinquanta anni dopo la sua creazione, la Gazzetta di Milano ce lo cita fra i locali di moda e maggiormente frequentati. Ma allora i buoni milanesi non esigevano ogni sei mesi un ritrovo nuovo e diverso per divertirsi! Così ho terminato in qualche modo questo primo giro gastronomico per la nostra città. In questa brevissima guida non ho potuto fare a meno, quando ne ho avuta occasione, di dare notizie e di citare aneddoti riferentisi ad alcune vecchie famose osterie, nella speranza che col ricordo della loro vita, si ridesti nei miei venticinque lettori un senso di nostalgico rimpianto. Ne approfitto per far conoscere una idea venuta a me che con una buona dose di appetito, sono stato fin qui costretto a passare da un'osteria all'altra, senza potervi entrare... Ma l'appetito aguzza la fantasia... e così è nata in me quest'idea un poco originale, che è di un buon milanese non però di un epicureo impenitente. Per poter far risorgere le vecchie tradizioni gastronomiche, per poter far rivivere se non tutte, almeno alcune delle vecchie osterie milanesi, non si potrebbe bandire fra gli osti un vero concorso, tanto più che in questi nostri tempi sono di moda le gare e le competizioni di ogni genere e in ogni campo? « Bandire un vero e proprio concorso per le osterie milanesi e per i piatti tipici milanesi ». L'idea non è nuovissima, poichè qualcosa di simile è stato già fatto con successo in altra città lombarda. Tuttavia in questa gara, certamente nuova per la nostra Milano, si dovrebbe badare bensì alla esteriorità del locale, cioè a che l'arredo e l'attrezzatura del pubblico esercizio sia fatto con cura e in perfetto stile dell'epoca, in maniera da far rivivere il più possibile dei singolari e caratteristici ambienti; ma bisognerebbe anche, a parer mio dare maggiore e precisa importanza alle singole specialità gastronomiche nate e vissute all'ombra delle più note e vecchie insegne d'osteria. Bisognerebbe, insomma, considerare, più che l'esteriorità dell'ambiente, le caratteristiche interne, più che la forma, la sostanza, che qui è certamente gustosa! Infatti quanti locali non sarebbero divenuti famosi, non sarebbero stati frequentati da ospiti illustri, non avrebbero costituito un ambiente caratteristico, se non avessero offerto una cucina ottima e non avessero avuto la loro speciale gustosa attrattiva? Naturalmente si dovrebbero stabilire categorie speciali fra i concorrenti, con classifiche e punteggi diversi, dando la preferenza alle vecchie insegne, mentre si potrebbero comprendere nella gara concorrenti nuovi ma che offrono piatti vecchi, caratteristici e perfetti. Si dovrebbero insomma premiare gli osti (comprendendo fra gli osti i proprietari di trattorie ristoranti e di locali con denominazione moderne consimili) che offrono per esempio il miglior risotto alla milanese, i più buoni « oss bus », la più gustosa « busecca » e così via... Un giudizio tanto severo dovrebbe naturalmente essere affidato a una giuria formata da competenti, competenti nel gusto. Chissà quanti aspireranno a questa carica di giudice! Per questa parte del concorso sono sicuro del successo. L'esito favorevole di questa gara potrà pure rendere possibile la compilazione di una guida gastronomica, come è stata fatto di recente in altre città estere, la quale indichi anche ai forestieri, che molto spesso più di noi vanno in cerca delle specialità mangerecce regionali, ove sicuramente questi possano trovare i tipici piatti milanesi preparati in modo perfetto secondo le più severe regole d'arte. E' evidente poi il vantaggio economico che ne potrà derivare ai concorrenti vincitori. Ma anche in questo come in ogni concorso che si rispetti, occorre una buona organizzazione, la quale dovrebbe essere affidata, più che a un gruppo di veri buongustai, a un ente, a una associazione che dia maggior valore e importanza a questa gara e che dia affidamento di serietà e di imparzialità. Ritengo che la benemerita Famiglia Meneghina, che con tanto ardore e con tanto entusiasmo, sa tener viva la sacra fiamma delle migliori tradizioni milanesi della nostra grande città, dovrebbe essere la prima e la sola ad accogliere e a sostenere questa mia proposta. Sono sicuro che i suoi egregi « resgiò » apprezzeranno subito la bontà e la gustosità di questa iniziativa che non deve essere lasciata cadere. Sé così sarà (e lo spero) avrò raggiunto lo scopo da me propostomi con questo mio libercolo che chiudo con un brindisi davvero a proposito, il brindisi famoso che il Porta fa dire a Meneghino che non vuole roba forestiera ma roba « del noster paes » :

Che Toccaj, che Alicanti, che Scìampagn, che pacciugh, che mes' ciozz forester! vin nostran, vin di noster campagn, Ma legittem, ma s'cett, ma sinzer; Per il stomegh d'on bon Milanés Ghe va roba del noster paés. Nun che paccen del bell e del bon, Fior de manz, de vedij, de cappon Fior de pan, de formaj, de butter no emm besogn de fà el cunt coi biccer; E per quest la gran mader natura La s'è tolta la santa premura de vojann giò de bev coi boccaa Fior de scabbi passant e salaa Fior de scabbi mostòs e suttir di nost vign, di nost ronch, di nost fir. Vin nostran, vin nostran, torni a dì de trincà col coeur largh, e a memoria che di vin forestee la gran boria per el pu la va tutta a forni in d'on poff, fumm e scuma, e bott lì. ÿþ Edizione numerata di 500 copie Copia N. 4 SOC. AN. ALFIERI & LACROIX - MILANO ÿþ ÿþ LIRE CINQUE