Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/Archi di Porta Nuova Sacchi

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GLI ARCHI DI PORTA NUOVA IN MILANO ILLUSTRATI DA GIUSEPPE SACCHI MILANO PRESSO LA SOCIETA' PER LA PUBBLICAZIONE DEGLI ANNALI UNIVERSALI DELLE SCIENZE E DELL' INDUSTRIA

Nella Galleria De Cristoforis 1856.

SOCIETà STORICA LOMBARDA Estratto dagli Annali Universali di Statistica, ecc. Fascicolo di Giugno 1856. GLI ARCHI DI PORTA NUOVA IM MILANO. O avanzi di superbi monumenti D'altra famosa età chiare memorie Da quanto secol voi dite alle genti Le nostre avite glorie? Chiusa ha la mente ad un pensier gentile E patria carità non sa che sia Chi in voi non vede che macerie vile Inciampo della via. Prof ROTHE.

Sino dall'anno 1845 era nato il malaugurato pensiero di distruggere in Milano gli antichi archi di Porta Nuova, quando la Congregazione Municipale con una lealtà veramente onorevole volle consultare il voto dei sapienti del paese, e questi in un erudito indirizzo dimostrarono quali gloriose memorie serbassero que' nobilissimi avanzi, e bastò quella protesta di affetto alla storia cittadina per far sospendere dal Comunale Consiglio ogni progetto di atterramento. Fu allora che alcuni amici del bene invitarono chi stende questa breve relazione a proporre innanzi ad un Corpo scientifico della città nostra la istituzione di un Museo di storia patria, sotto il patrocinio municipale (1). In quel povero lavoro si cercò


(1) Veggasi la Memoria stata letta alla Società d'Incoraggiamento delle scienze, lettere ed arti di Milano, Intorno alla fondazione di un Museo di storia patria, che venne pubblicata nella Rivista Europea nei fascicoli di agosto e settembre 1845. di mostrare storicamente come dal terzo secolo dell'era nostra sino al mille e seicento fu nei Corpi pubblici di Milano e soprattutto nella Rappresentanza Edilizia incessante la cura di conservare incolumi le memorie cittadine, ponendole per quanto lo permettevano i tempi nella ben dovuta onoranza, e soltanto in seguito alla tetra ed infingarda dominazione spagnuola cominciarono a disperdersi le storiche reliquie, delle quali dovettero farsi spontanei depositarj e custodi alcuni illustri nostri concittadini presso cui la carità di patria, più che un affetto, era un dovere. Essendo però passata buona parte di queste storiche memorie nel patrimonio delle private famiglie, ed essendo nato in alcuni mercadanti l' avido pensiero di fare un pubblico mercimonio della patria storia, si levò alta la voce contro questa pubblica profanazione per serbare almanco al paese i resti della passata sua vita, essendo la città nostra tre volte rinata per non morire. E questa voce de' buoni fu così nobilmente sentita che il Municipio nostro affidava ad una Commissione di dotti, presieduta dall'illustre storico Pompeo Litta, la cura di comporre uno statuto per l'istituzione di una Società archeologica destinata a raccogliere e ad illustrare tutte le patrie memorie. Ad imitazione poi del Municipio bresciano fu scelto un provvisorio locale per deporvi le reliquie archeologiche che si andavano discoprendo, e si coltivò il magnifico progetto di collocare nel palazzo Dugnani, divenuto municipale, il Museo di storia naturale con un giardino botanico, ed il Museo di antichità patrie, conservando quasi a modo di avviamento a quel civico Istituto gli archi di Porta Nuova là dove ora sorgono onde attestare il terzo rinascimento della città a cui ci gloriamo di appartenere. L' autorità suprema a cui spetta la tutela della cosa pubblica approvava quel gentile pensiero, e non rimaneva a far altro che di proporne l'eseguimento al Comunale Consiglio. Passavano da quell'epoca circa dieci anni ed il palazzo Dugnani, temporaneamente occupato da un Istituto educativo rimaneva ancora fra le proprietà di comunale ragione. Solamente una società di privati intraprenditori formulava il pensiero di condurre dal ponte di Porta Nuova sino ai piedi del prospiciente baluardo una via rettilinea con edifici privati e coll' unica prospettiva di una marmorea scalinata conducente al pubblico passeggio. Per far godere ed ammirare questa modesta veduta prospettica sino dal centro della città fu posta di nuovo in discussione la demolizione degli archi di Porta Nuova che credesi arrestino la libertà dello sguardo e colla loro accigliata maestà tolgono quasi il sorriso all' orientale passeggio che sì atticamente illustrava il nostro poeta Parini. Ad onta del voto contrario della Congregazione Municipale e della generosa opposizione di alcuni magnanimi cittadini, il Comunale Consiglio declinava da quanto aveva già sapientemente deliberato dieci anni sono, e decretava a maggioranza di voti di cancellare anche questa vetusta pagina della nostra storia per deliziarsi nel geometrico spettacolo di una lunga linea di case a rettifilo e di una marmorea scaléa. Appena la notizia di questa deliberazione del Comunale Consesso diffondevasi per la città, si destava negli amici della patria storia un senso di vivo corruccio, e si deplorava la prossima perdita di questo monumento cittadino. Ne' giornali e ne' convegni scientifici nacquero ora détte ed ora spiritose dispute su questo fatto, ma rimase, per quanto ci sembra, non per anco esaudito il ben giusto desiderio di conoscere se gli archi di Porta Nuova conservino veramente il duplice pregio di un monumento storico meritevole di pubblico affetto e di un' opera d'arte degna da conservarsi. Noi pertanto ci proveremo a raccogliere tutte quelle storiche notizie che valgano a rischiarare cosiffatto argomento. Non vi ha città in Europa che non ami di serbare le traccie de' suoi successivi ingrandimenti, importando ad ogni municipale famiglia di veder venerate le superstiti vestigia dell' antico suo nido. Questo affetto figliale è per le cento città italiane una tradizione quasi religiosa , giacché da noi si appellarono persino sante le mura cittadine. Milano ha più d' ogni altra città italica il diritto di conservare queste memorie dopo avere nel lungo periodo di ventidue secoli dovuto rifare per sei volte la cerchia delle sue mura; al tempo, cioè, dei celti, all' epoca del Municipio romano, nel periodo della signoria vescovile, nell' epoca del rinascimento dei comuni, sotto la signoria viscontea e per ultimo sotto la dominazione degli spagnuoli. Della primitiva epoca celtica non conserviamo altro vestigio fuorché il nome rimasto ad una pubblica via che segnava l' estremo confine del clano di Belloveso (1). Delle gigantesche mura romane ci resta uno splendido avanzo in un cortile del Monastero Maggiore, ove è pure una torre statavi aggiunta dal vescovo Ansperto. Della gloriosa epoca de' comuni non ci restano, come vedremo, che gli archi di Porta Nuova, mentre del successivo periodo visconteo e sforzesco abbiamo ancora la Porta Ticinese e le antiche pusterle de' Fabbri, delle Pioppette e di Brera, e rimangono tuttora, benché restaurati e riabbelliti, i moderni baluardi de' governatori spagnuoli. Resta dunque a vedere se l' unica memoria lasciataci da chi segnava la celebre pace di Costanza meriti tuttavia il rispetto della vivente generazione, o se debbasi giudicare come una inutile anticaglia. È un fatto ben singolare per la città nostra quello di aver segnato un periodo glorioso nell'epoca appunto in cui dava l' ultimo crollo il così detto mondo romano. Mentre Roma andava perdendo tutto il suo lustro, il poeta Ausonio


(1) È questa la contrada degli Andegari che corrisponde al vocabolo celtico di ande-gar, che vuol dir siepe o assiepamento di bianco-spini. cantava le lodi di Milano, e così la ritraeva: « Ogni cosa qui è mirabile e la universale dovizia e le innumerevoli e adorne case e gli ingegni perspicui ed i costumi antichi; la città ingrandita con duplice mura, e l' ampio circo delizia del popolo e la graduata mole del notturno teatro; qui sorgono templi e palatine rocche e ricca officina di monete; qui s' ergono le illustri terme consacrate al nome di Ercole; qui splendono i peristilii per copia di scolpiti marmi; qui in tutte le opere spiccano le forme emule del grande, nè temono il confronto della medesima Roma ». Queste lodi espresse nel quarto secolo dell' era nostra non facevano che confermare quanto aveva già, nella sua inimitabile breviloquenza, detto Tacito con quelle poche parole: Mediolanum firmissimum transpadanae regionis Municipium. E questo carattere infatti di municipale fortezza seppe conservare la città nostra dall' epoca romana sino al momento della sua generale distruzione avvenuta nell' anno 1162. Durante i replicati assedj che ebbe in quel periodo di anni a soffrire Milano si conservarono intatte le mura romane (1), e solo si aggiunse per opera del celebre ingegnere militare Maestro Guintellino il così detto vallo o terragium circuito da ampio fossato che corrisponde all'attuale naviglio, con cui si difesero anche i sobborghi della città. Si entrava allora nella città per sei porte e per dieci pusterle le quali ultime per lo più si chiudevano ne' tempi di assedio. Le porte principali erano la Vercellina, la Giovia o Comasina , la Ticinese , la Romana , Orientale e la Nuova. Allorchè Federico Barbarossa intimò la reddizione di Milano volle che si spianasse tanta parte dell' antico muro romano da potervi far entrare il suo esercito come in ordine di battaglia. Quest' opera di distruzione venne affidata


(1) Le mura erano munite di alte torri, come scrisse il cronista Guntero, celsas habet, opertasque turres in circuitu. ai militi delle città nemiche a Milano, e ad onta che l' Enobarbo scrivesse al 26 marzo dell' anno 1162 al conte di Soissons quelle tremende parole: hodie fossata complanamus muros subvertimus, turres omnes destruimus, et totam civitatem in ruinam et desolationem ponimus, pure il cronista contemporaneo Morena dovette soggiungere "Remansit tamen fere totus murus civitatem circumdans, qui adeo bonus et de magnis lapidibus confectus, et quasi centum turribus decoratus, quod ut extimo, numquam tam bonus fuit visus in Italia, praeter forte romanum, neque deinceps videbitur. E infatti racconta l' altro cronista contemporaneo Sire Raul che nell' anno successivo alla distruzione di Milano, vennero i nemici dei borghi vicini ex tribus vicibus venerunt explanare moenia, ma come soggiunse il Morena, propte materiae duritiem et cementi soliditatem non multum disjici potuerunt. Gli avanzi infatti di queste mura romane rimasero sino all'anno 1216 in cui venne per ordine municipale, come si legge nelle Consuetudini di Milano, data facoltà ai privati di occuparle, di smantellarle e di edificarvi sopra, trasportandone altrove le grosse pietre quadrate di cui erano composte ed anche le iscrizioni e le scolture di cui erano qua e là ingemmate. Noi premettiamo queste particolarità storiche per poter conoscere il pregio che possono avere gli archi che ora ci accingiamo ad illustrare. La storia ci narra che appena i milanesi fecero nell' anno 1169 il loro ingresso in città pensarono tosto a restaurare il fossato esterno, rifacendovi le porte a modo di castelli di legno e solo nell' anno successivo al loro ritorno deliberarono di sostituirvi porte di pietra aggiungendovi anche le torri. Con un sentimento d' orgoglio perdonabile in chi sente rinascersi nell' anima la dignità cittadina si decise sulle prime di costruire tre porte a modo d' archi trionfali lungo quella linea che aveva sofferto i più gravi attacchi nei precedenti assedj, vale a dire dalla Porta Romana a Porta Orientale e a Porta Nuova. È giacché dirimpetto alla Porta Romana sorgeva la celebre Rocca a modo d' arco che era stata sì bravamente difesa dalla gioventù di Milano, si volle erigervi una nuova e grandiosa porta a due archi, decorandola di iscrizioni e bassirilievi che ricordassero il fatto glorioso del risorgimento di Milano (1). Ed a Porta Orientale e a Porta Nuova si costrussero pure due archi secondo l' antica forma romana e co' marmi estratti dalle antiche mura romane. Le porte costrutte giusta le forme romane presentavano un carattere semplice ma severo. Erano composte di uno o più archi costrutti con grosse pietre, e venivano per lo più decorate da iscrizioni e da imagini sacre o di uomini alla città benemeriti (2). Erano munite a diritta ed a sinistra di torri a forma talvolta triangolare per meglio essere difese e venivano spesso chiuse dall' alto al basso con imposte ferrate dette cateractae, che nel medio evo presero poi il titolo di saracinesche (3). La Porta Orientale e la Porta Nuova, che furono costrutte dai milanesi dall' anno 1170 al 1174, presentarono appunto la forma delle antiche porte romane. E perché la materia stessa di costruzione fosse appunto romana, si staccarono le pietre dall' antico muro romano, se ne levarono persino le decorazioni e le iscrizioni e si trasferirono sulle nuove porte. La Porta Nuova, a cui limitiamo i nostri cenni illustra-


(I) Dopo l' illustratione fatta dal conte Giulini all' arco ora distrutto di Porta Romana, vennero tutte le iscrizioni più esattamente spiegate e commentate dall' archeologo Labus nell' appendice al IV volume della Storia di Milano del Rosmini. (2) Le porte presso i municipi romani, scrive il G. C. Cajo, erano dette divini juris propter simulacrorum sanctitatem quae ira portis urbium collocabantur. (3) Il poeta Claudiano scriveva de bello getico; Ferrateque Getis ultro se pandere portae. tivi, venne infatti costrutta a due archi a sesto non ogivale ma romano, colle pietre levate dalle mura romane e colle iscrizioni e i simulacri ivi trovati. Che le pietre sieno quelle già appartenenti al muro romano lo si può verificare dalla precisa grandezza, forma e somiglianza di quelle che veggonsi nell'avanzo di muro romano tuttora esistente nel Monastero Maggiore, e da alcune reliquie delle mura stesse romane che veggonsi ne' sotterranei di alcune case situate nella contrada del Monte. E la prova poi più evidente si ritrae dallo stesso arco di Porta Nuova ove fra le pietre di costruzione ve ne ha una mutilata con un avanzo d' iscrizione romana collocata al rovescio e non per anco illustrata e che parla di un tribuno delle milizie e custode del militare erario (1). Questi due archi sono di forma maestosa, quantunque l' uno sia un pò più piccolo dell' altro. Fra le vòlte di entrambi vedesi l' incassatura della porta ferrata che scendeva dall'alta al basso. Ma ciò che dà ad essi un valore archeologico è nel portare sulla loro fronte i simulacri di un'illustre famiglia romana che coperse insigni cariche cittadine. Entro due nicchie ad arco si veggono due teste romane scolpite a tutto rilievo coll' iscrizione: QUINTUS NOVELLIUS LUCII FILIUS VATIA VI VIR. QUAESTOR CAJO NOVELLIO LUCII FILIO RUFO FRATRI. La famiglia Novellio, come attesta il Labus , aveva decoro e prestanza in Milano. I due busti collocati sull' arco di Porta Nuova sono dedicati ai due fratelli Novellio figli di Lucio.


(1) Ecco le lettere superstiti dell' iscrizione : c • TR • Mil . EIS CVNIARUM IN LEONIS QVONDAM Il primo fra essi detto Quinto Vatia (1) copriva la duplice carica di Seviro e di Questore. I seviri erano quelli che amministravano il Municipio, e siccome la città di Milano aveva ai tempi romani il libero diritto sacra conficere, sarta tecta aedium sacrarum locorumque comunitari tenere, così fra i seviri vi aveva anche quegli che custodiva il pubblico denaro ed era detto Quaestor aerarj mediolanensium. Che la famiglia Novellio dovesse essere cara ai milanesi ne abbiamo un' altra e più splendida prova nel fatto di aver essi collocato anche sui demoliti archi di Porta Orientale cinque busti di quella stessa famiglia colla seguente iscrizione: CAJUS VETTIUS NOVELLI FILIUS SIBI ET VERGINIAE LUTAE MATRI ET PRIVATAE LIBERTAE. ADJUTORI LIBERTO METHE LIBERTAE TESTAMENTO FIERI JUSSIT (2). Gli archi di Porta Nuova per essere cosi decorati con illustri reliquie dell' antica civiltà romana non si possono, per quanto ci sembra, chiamarsi nè inutili anticaglie, nè ingombri della pubblica via (3).


(1) Il Labus non illustra punto il vocabolo Vatia che era, come attestano Plinio e Varrone, un sopranome dato a chi aveva il difetto dei piedi divariCati. Numeratur, et inter cognomina Romanorum quod qui primus in Vatia familia id cognomina sortitus est pedibus fuit vatiis. (2) Questo bellissimo monumento trovasi ora depositato presso l'I.R. Accademia di belle arti in Milano , insieme ad altre rare antichità municipali. (3) L' uso di porre sulle porte civiche antichi busti era tanto Allorquando poi all' epoca di Azzone Visconti si eressero nel 1330 le nuove mura civiche lungo tutta la linea del canale naviglio si collocò sulla fronte degli archi di Porta Nuova al disopra dei due busti romani un grande bassorilievo rappresentante la Vergine seduta in trono fra due angioletti in atto di presentare il Divin Redentore ai tre santi patroni della città Ambrogio, Gervaso e Protaso. Anche questa sacra decorazione, benchè in qualche parte consumata più che dal tempo dalla pubblica incuria, accresce pregio al monumento. Esso poi ha qualche merito anche dal lato dell' arte perchè nella snellezza e semplicità della sua forma e più che tutto nella felice composizione e collocazione delle pietre poste in giro agli archi offre argomento di studio ai cultori dell' arte architettonica come ebbe ad attestarlo lo stesso D' Agincourt (1). Lo storico Giulini quasi presago della prossima fine di tutte le antiche porte della città volle in una tavola annessa al sesto volume delle sue Memorie della città e campagna di Milano far incidere le vedute di tutti que' monumenti, ed all' aspetto comparativo di essi spiccano come i più semplici e direm quasi come i più aerei gli archi di Porta Nuova. Ed è appunto questo loro carattere aereo che dovrebbe preservarli dalla loro ultima rovina. Da una veduta fotografica stata eseguita in questi giorni dal pittore Luigi Sacchi si ravvisa agevolmente come fra quegli archi spaziosi penetri lo sguardo sino nelle parti più intime della città;


generale che anche sull' arco antico di Porta Ticinese si posero quattro busti che dopo le ricostruzioni avvenute nell'epoca viscontea furono collocati a rovescio nel muro attiguo alla porta medesima. (1) ll D' Agincourt nella classica sua opera sulla storia delle arti riproduce ed illustra quest' arco che cita fra i lavori architettonici di maggior pregio. Vedi la tav. XLV al N.° 20. cosicchè isolandoli dalle case laterali per farvi un duplice marciapiede essi non solo non porranno impedimento alla nuova veduta prospettica che si sta divisando, ma gioveranno anche in parte a mascherare la eccessiva sporgenza del fianco destro del Tempio di San Bartolomeo che si protende di troppo sulla nuova via rettilinea che si pensa di costruire. Riassumendo quanto sinora ci fu dato di raccogliere ci sembra di poter concludere che gli archi di Porta Nuova presentano tutti i caratteri di un pubblico monumento, e meritano quindi di essere conservati, perché segnano l' epoca storica dell' ultimo e più glorioso rinascimento della città di Milano e sono l'unico ricordo monumentale di quell' epoca; perché conservano le impronte storiche delle antiche mura romane; perché serbano le forme rituali delle antiche porte del romano municipio; perché sono decorate dalle imagini degli antichi edili della città romana; e perchè offrono nella loro forma e struttura de' pregi d' arte degni di studio. Ma potranno poi essere conservati? Noi lo speriamo, o almanco ci acquietano in questa fede le pratiche sinora fatte da chi è chiamato a vegliare sulla incolumità de' monumenti storici. La Commissione archeologica permanente presso l' I. R.Istituto Lombardo delle scienze e delle arti ha già cogli unanimi voti di quel Corpo scientifico presentato un indirizzo a chi regge la cosa pubblica perché s' interponga alla conservazione di quello storico monumento. L' I. R. Accademia di belle arti di Milano a cui per ordine ministeriale venne ora conferito lo speciale mandato di vegliare alla custodia di tutte le memorie storiche, ha di concerto coll' Istituto lombardo eletta una Commissione di dotti per mandare ad effetto queste provvide determinazioni ministeriali. La stessa nostra Magistratura provinciale ha diretto al 4 giugno una circolare a stampa a tutte le autorità delle provincia e specialmente al Municipio di Milano ed alle Rappresentanze comunali perchè in seguito al fatto avvenuto che in occasione dell' ampliamento di una chiesa si demolì improvvidamente un antico arco romano, non si permetta quindi innanzi la demolizione di avanzi di rinomata architettura, se prima non se ne invochi il superiore permesso inviando innanzi tutto il disegno degli antichi edifici o dei resti di edificio che si ha nell' animo di demolire. Ma più che ai divieti di chi veglia a conservare incolume la storia noi speriamo che varrà a rimuovere il comunale Consiglio dal suo mal proposito di atterrare gli archi di Porta Nuova l' espressione infallibile della pubblica opinione e fors' anco l' amore ora fattosi redivivo nella nostra classe patrizia di conservare gelosamente tutte le vecchie memorie della famiglia. E se questa classe che ora siede numerosa nel comunale Consiglio ha tanto affetto pei suoi gentilizii ricordi , e perchè non potrà non mostrarne anche per quelli del Municipio, che pur sono la nostra famiglia, sono il cuor nostro ? Con questo fervido voto che noi crediamo dividere con tutti quelli che amano il bene, giacchè è nella patria il massimo fra i beni, noi raccomandiamo al Comune la preservazione degli archi già sacri alla famiglia Novellio ed ora sacri alla storia (1).


(1) La presente Memoria venne scritta per incarico avuto dall'Accademia Fisio-Medico-Statistica, e comunicata alla stessa nella adunanza tenuta il 19 giugno 1856.