Wikisource:Collaborazioni/SBM/testi/Cesare Tronconi Giarelli

Da Wikisource.

AVV. F. GIARELLI (Psiche)


CESARE TRONCONI. STUDIO ARTISTICO.

MILANO, EMILIO QUADRIO, EDITORE. 1881. CESARE TRONCONI. F. GIARELLI (Psiche).

CESARE TRONCONI STUDIO ARTISTICO.


MILANO, EMILIO QUADRIO, EDITORE. 1881. Propietà Letteraria.

Milano, Tip. E. Quadrio Piazza SS. Pietro e Lino N. 4 L'altro giorno io me ne usciva tranquillamente dal Ridotto della Scala. Anzi non era io soltanto che uscivo. Eravamo in molti. Una specie d' uscita degli Ebrei da Menfi. Una tal qual maniera di salmo in azione: in exitu Israel de Egypto. Usciva il prefetto Basile colla sua bella barba scandinava più erubescente del solito. Usciva il sindaco conte Giulio Belinzaghi, sepolto sotto un enorme cappello bianco a cilindro. Usciva Leone Fortis, irrequieto, nervoso, flacido sonnolento, eppure il più artista fra tutti - tanto è vero che la sua relazione era stata un capolavoro. Usciva Paolo Ferrari- un ingegno drammatico di prim' ordine e che non ha mai voluto capire due cose, che siano malissimo entrambe: mangiarsi i baffi e fare dei discorsi quando assolutamente non si è buoni di infilar su quattro parole. Usciva il segretario del comitato, professore Soldatini, il quale - poveruomo! - non ha mai avuta la pretesa di rassomigliare all'Apollo del Belvedere. Usciva il conte Sola, il quale - soldato confesso dell'extrème Droite - non solo prende alla Francia la sua lingua, ma anche le sue debolezze parlamentari. Usciva il cosidetto poeta signor Carlo D'Ormeville - che - a badare a quanto ne dice il Pungolo - dovrebb' essere una colonna dorica del nastro edificio drammatico-nazionale. Ci avrei - a dir vero - le mie buone ragioni in contrario - ma il Pungolo assume lui la responsabilità artistica del signor d'Ormeville - e bisogna dunque star contenti al quia e dar di passata all' autore - cioè - al riduttore di Norma. Usciva l'avvocato Enrico Rosmini - quello che in fatto di diritti artistici la sapeva più lunga di tutti in mezzo a quei signori: onde è che naturalmente gli era lui che stava meno in evidenza degli altri. Usciva l' ottimo Eugenio Lombardi, il quale in tutta l'accademia del Congresso dramatico aveva portato il peso della sua esperienza ed il.... vuoto estivo del suo teatro...

Giunti sul vestibolo della Scala, ci trovammo in un gruppetto. Faceva un caldo indiavolato - uno di quei caldi che si qualificano esclusivamente senegambici o milanesi. Il sole bruciava le cicale, che nel giardinetto in mezzo alla piazza fanno da meridiana fanfara al povero Leonardo. I quattro scolari del celebre artista sudavano a goccioloni. il Baroffio e Cesare da Sesto non potevan più star ritti in piedi.... Quanto a noi - aggravati dal più al meno dallo stato puerperale in cui ci trovavamo, per avere male o bene messo al mondo un Comitato per gli Autori dopo aver ucciso suo nonno il Giury drammatatico e suo padre il Terzo Congresso - stavam lì per basire, colpa la canicola. Questo miscuglio di sensazioni omicide e generatrici - questo non so che di tombe e di culle intersecate - col peggiorativo del sollione che divampava - ci intontiva letteralmente. Allora, nella immensa misericordia, il Signore Iddio ebbe pietà di noi: ed inspirò al sindaco Belinzaghi una luminosa per quanto umida e frigida idea. - Permettano, signori - egli disse ad alcuni fra noi, coi quali è in maggior confidenza - ch'io offra loro qualche rinfresco. Non siamo lungi dal caffè Martini - il celebre caffé Martini - dove quarant'anni fa, andavo io pure - da povero commesso com'era - a far colazione. Mi procurerò oggi il piacere di far loro servire un vermuth od una ghiacciata, od una birra, od una granita, od un bitter , od un absinthe... - Anche a noi ? - chiesero celiando alcuni giornalisti radicali, noti per le loro relazioni di cortesia col socialismo. - Beninteso - rispose celiando il buon Belinzaghi.- Essi poi mi faranno il piacere di rammentarsi di questo vermuth nel gran di della famosa liquidazione sociale... E quando saran li colle torcie in mano per dar fuoco a casa mia - io porrò il capo al finestrino del portinaio, ed urlerò con quanto me ne rimarrà in gola: - Figliuoli, ricordatevi il vermuth che v'ha pagato in tempi migliori il vostro povero sindaco.... Ridevano persino i tavoli del caffè Martini. Ma da un momento all' altro la conversazione pigliò una piega diversa. A gruppi di due o tre si discuteva su quanto il Congresso aveva fatto, e su quanto aveva indicato di fare. Si lodava straordinariamente la lampeggiante relazione del Fortis si portava ai sette cieli la dottrina di giurisprudenza teatrale dell'avvocato Rosinini, si conveniva tutti nel dichiarare che Paolo Ferrari è la negazione dell' oratore.... Poi dagli argomenti soggettivi si addivenne agli oggettivi. - Hanno un bel sbraitare - un bello metterci in canzone - diceva un giovane autore venuto dal veneto - ma il fatto sta che dal cozzo di tante nobili ed altissime intelligenze convenute al Congresso, è uscita armata di tutto punto - come Pallade graia - la verità.... Ah - ed il veneto cultore delle muse si riscaldava - ci voleva proprio un Congresso d'uomini come questi, di sommità universalmente accettate, per impiantare dei canoni nuovi, ed affermare risolutamente delle nuove con- seguenze. E quell'istituzione del Comitato permanente, cosi efficace, in confronto del platonico giury drammatico, non è forse una trovata di tutta novità? E questo sviluppo dei premii annuali da moltiplicarsi per i giovani autori, non è forse un pensiero felice ed al quale nessuno ha mai dedicato prima del nostro Congresso, un minuto solo di riflessione...?

Udendo queste parole io mi alzai, uscii senza far motto e andai a casa a prendere un certo volumetto col quale volevo insegnar un po' di storia letteraria a quel signorino veneto che pretendeva condurci tutti a bere come tante ochette. Ritornato al Martini dove la congrega erasi attardata per resistere al furore della canicola rovente, e approfittando del sopore generale, mi rivolsi al mio veneto e con piglio trionfante principiai :

- Le disillusioni - illustrissimo signore - costano sempre qualche cosa; ma questa ch'io, per debito d'affetto ad un mio vecchio amico, debba pur troppo infliggervi, non vi procurerà certamente nessun dispiacere, comechè essa serva a render l' o- maggio dovuto ad un giovane egregio il quale sedici anni fa precorreva l' opera odierna del Congresso drammatico e stampava senza fragori di sorta e senza corrispettivo alcuno di congratulazioni , tutto quello appunto che oggi il vostro Congresso ha ripetuto fra gli echi dorati del ridotto della Scala...

- Ma, come ? - Come, quando e perchè è subito detto, appena vi compiacciate lasciarmi leggere. Non tremate; si tratta di poche righe: poche - ripeto - ma comprensive di tutte le vostre chiacchiere più o meno eleganti e di tutte le vostre odierne risoluzioni.... Il mio veneto - ch' era alla sua terza granita restò li col cucchiaino per aria. - Il libro - continuai - si intitola Dottor Etico , -- contiene due commedie: Vittoria! e Un divieto d' Artista - è stampato a Milano dalla Casa-Editrice degli Autori-Editori, e porta la data del 1865. Queste due commedie sono precedute da una specie di confessione artistica che si intitola : In cui si v.a di balza in balza per arrivare all' abisso della prefazione. Sono quaranta pagine - costellate di altrettanti gioielli, che oltre al valore artistico hanno un valore storico, ormai inapprezzabile. Mi duole che il luogo e l'ora mal si prestino ad una conferenza in argomento: d'altronde io ho un solo scopo : quello di provare al signore ch'egli piglia una can- tonata quando s'incarica di procacciare una ovazione al Congresso drammatico per quelle ch'ei crede e giudica altrettante trovate. Ma vengo subito alla conclusione. E ci vengo riassumendo alcuni dei provvedimenti che il Dottor Etico suggeriva appunto per incoraggiare l'arte italiana del teatro e per innamorarne i cultori a gagliardamente fare. Ah! voi gridate su pei tetti che il Congresso drammatico ha salvata la patria... teatrale istituendo un Comitato permanente ? Ebbene: sedici anni fa il Dottor Etico raccomandava = « Bisogna istituire una Associazione degli Autori che s'incarichi non solo di amministrare la proprietà letteraria de' suoi membri, ma anche di promuovere tutta l'attività di cui il teatro italiano ha bisogno per risorgere. - Bisogna inoltre istituire una Commissione permanente esaminatrice di tutti i lavori presentatile. » Ah! voi urlate il vostro peana in lode del Congresso drammatico e dite ch'egli ha inventata la storta ai chifferi coll'insistere sulla istituzione e sul conferimento di premii ai giovani autori? Ma anche ciò ha tanto di barba: e l'8° articolo dei provvedimenti additati dal Dottor Etico legge cosi: - Si fissino diversi premii annuali di diversa importanza da conferirsi agli autori in ragione di tutti « i mezzi di cui l'associazione può disporre. » Ah! voi vi sfilate l'osso della schiena per curvarvi innanzi al Congresso, cui attribuite il merito grandioso di lavorare per l' impianto d' una compagnia e d'un teatro a repertorio? Ma il Dottor Etico fin nel 1865 scriveva: « Si istituisca un teatro modello provveduto di attori eccellenti in numero tale che possano rappresentare continuamente e con perfezione, ecc. ecc. »

Dopo tutto questo, carissimo signore - e senza nessun merito al vostro Congresso drammatico eh' io ho il grave torto di non poter prendere sul serio - mi permetterete ch'io faccia una parte di tara ai vostri lirismi congressuali, e che vi dica come qualmente in questa Milano nostra, sedici anni fa, c'era già stato qualcuno il quale aveva traveduto nell'arte il marcio e il rimedio : e preludiava cogli stessi concetti, fin quasi colle parole identiche, alla campagna del defunto giuri drammatico e del figliuol suo il Congresso... - Dunque - ripetè tanto per cadere coll'onor delle armi, il mio interlocutore - dunque è la presentazione d'un profeta questa qui... ? - Ma di che profeta mi venite profetando ! E' la presentazione d'uno che allora era un giovanetto ed oggi è un uomo : ma che allora e adesso ebbe sempre delle idee molto chiare, molto logiche, e molto ovvie: motivo per cui non furono naturali mente accettate ed allora passarono per dubbie di un visionario. Viceversa poi oggi si trovano eccellenti ed i vostri Comizii ed i vostri Congressi formano con esse la base e l'effettività dei proprii ordini del giorno.... - Fuori il nome del profeta ! - Lo volete ? Ebbene eccovelo : il Dotlor Etico del 1865 oggi non è più tisico e si chiama... - Si chiama... ? - Cesare Tronconi.

A queste parole parve scoppiasse nel pacifico retrobottega del caffè Martini una scatola di dinamite. I camerieri corsero a quella esplosione di urli. Il facchino della cogoma comparve improvvisamente con una brocca fra le mani ricolma d'acqua. Forse credeva ad un principio d' incendio causato da qualche istantanea fuga di gaz. Ma che gaz d'Egitto ! Quell' incendio eran bastate ad attizzarlo due sole parole il nome e il cognome dell'amico mio. La curée continuava. Tutta la banda era stata, direbbesi frustata da quelle poche sillabe nominali. Aveva preveduto quella bufera: lasciai dunque che la si sfogasse tutta intiera. Alcuni dicevano: - Tronconi ! Cesare Tronconi ! E pronunziavano questo nome proprio con una specie di terror sacro: presso a poco col tono medesimo, con cui Oroveso, il basso della Norma dice della Sacerdotessa d' Irminsul: Rea colei !? Ci fu un momento di raccoglimento altrettanto silenzioso quanto meditabondo. Non si sentiva altro rumore fuori quello della ruota che nella sorbetteria adiacente alla sala, mesceva il ghiaccio ed il sale intorno alle cogome dei gelati, - Il Tronconi della Passione maledetta! - L' iniquo ! - Delle Madri per ridere ! - L' indegno ! - Delle Commedie di Venere! - Lo sciagurato! E gli furono tutti addosso d'un balzo. Parevano uno sciame di avoltoj, di quegli avoltoj cosi comuni nelle isole brulle dell'Atlantico, sulle quali i capitani abbandonano per castigo i marinai che si am- mutinano. L'abbandonati è là arrampicato sur uno scoglio. Passa un avoltojo, e d'un colpo d'artiglio gli strappa un occhio. Ne passa un altro, e gli scotenna il cranio: un terzo e lo sventra; un quarto e gli strappa le viscere; un quinto, un sesto, un settimo afferrano quel mozzicone sanguinoso e se lo portano per aria: se ne divideranno i lacerti orribili al di là delle nubi. Or bene, questo, poco su poco giù successe a Cesare Tronconi, allorché il suo nome per via di tanti giri e rigiri, cadde in mezzo al circo.

Il pasto delle fiere continuò. - Ah si! quel Tronconi che dopo aver comin- ciato così bene coll'Evelina, fini così male coi Delitti. - Quel Tronconi che dalla Mader madregna, - perla purissima del Teatro Milanese - si lasciò andar giù giù fino ai processi per la Letteratura disonesta. - E che chiasso per tutta Italia! - E come gridò il Secolo! -E che occhiate furibonde scagliava tutt' intorno in quei di Baccio Emanuele Maineri - E che scandali! - E che risate! - E che lotte di veristi e d' idealisti, di realisti e di romantici, di naturalisti e di convenzionalisti, in mezzo a cui quel disgraziato là fu tirato, come Mazzeppa, a coda di cavallo, sicchè ne perdette completamente la salute e forse per sempre ...


- Domando la parola - saltai su allora io. - Finchè si attaccava il valore letterario ed artistico dell'amico mio - poichè è bene lor signori sappiano che il Tronconi è amico mio - ho potuto tacere. Anzi la cosa - presa però come una ripetizione, poteva anche non essere del tutto noiosa. Ma attaccare poi le sue qualità fisiche - ma calunniare il suo torace - ma dipingermelo come un povero tisico, cui la guerra fattagli in questi ultimi anni dai prudes ha ridotto al terzo stadio - col rantolo del polmone atrofizzato e collo sputo sanguigno... ah! questo no! - no perdio santo! - poichè se ciò si lasciasse credere, i pietisti che lo vorrebbero già morto e sepolto, nella loro misericordia - lagrime-ebbero troppo di... gioia, e scoppierebbero troppo fragorosamente in commoventi... risate. - Ecco perchè voglio disingannarle tutte queste brave persone dal cuore di marzapane; e ad impedire che muojano di una cardiopatia, dirò ad esse che Cesarino Tronconi sta benone - che il ventitreenne Dott. Etico s'è fatto un beli' uomo alto e ricciuto: che mangia con grande appetito carne ad ogni pasto, che beve parecchie bottiglie di barolo stravecchio, senza nemmeno torsi l' occhialetto - e che - passato il momento critico di poilìtneur, è vispo , allegro, arzillo come un pesce, e ride in ghigna a tutti quelli che lo vorrebbero già stecchito sul cataletto. Dico anzi di più. Da quando la collaroneria 1' ha messo al bando dal suo regno - da quando il suo nome ed i suoi libri furono anatemizzati, egli ingrassò a vista di naso : i suoi occhietti assunsero delle opalinità più furbesche... In una parola ecco una vittima che impinguò nel martirio. Proprio è dunque peccato che l'Autore di Ser Lampo abbia definitivamente abbandonato Milano e siasi stabilito a Roma : poichè la sua presenza qui avrebbe aggiunto almeno almeno un chilogrammo di peso settimanale al nostro Cesare... Quella mia parlata fece un effetto prodigioso. Anzi, per essere sincero, debbo confessare che se mi fosse mancata un' ultima prova per convincermi che siamo in un gran ludro di mondo, tale prova me l'avrebbe fornita ad usura il contegno di buona parte del mio pubblico. Lo credereste ? Mentre infatti io aveva diritto di aspettarmi che quella brava gente là fosse contenta in udire che il mio amico Tronconi, aveva resistito tetragono di mente e di corpo alla bufera che lo aveva incalzato - quasi quasi invece quei bravi signori là se ne mostravano dispiacenti.... Mi parve anzi ad un certo punto che essi fossero tutti colpiti da un'amara disillusione, quando cioè seppero da me che l' amico Cesare non solo non era stato 'punto abbattuto dall' ululato di tutta la canatteria alta e bassa, ma per contrario egli era del suo miglior umore e si apparecchiava a demeritare vieppiù 'della stima di certa gente... Il perchè quei bravi signori rotolavano gli occhi, come fossero altrettante poste d' un Rosario, e finalmente, l' uno venne fuori a dirmi : - Oh scusi ! ma lei lo conosce poi bene questo signor Cesare Tronconi?... - Se io lo conosco bene, Cesare Tronconi ? Oh come diamine si fanno simili domande ! - Tanto varrebbe eh' ella mi chiedesse se io conosco di vista il Duomo. - E tanto meglio allora ! E ce lo butti in soldoni 1' amico... -Volontieri : ma una cosa alla volta. Prima di tutto mi lascino un po' finire la mia esegesi scom- bussolata, sul volume del Dottor Etico. Non dubito che faremo se non bene, presto. Subito dopo applicherò a Cesare la vivisezione.

V' è mai successo di recarvi sui primi del marzo in campagna e là sul rialzo erboso di qualche fosso chinarvi per raccogliere qualche viola? Si; ebbene vi sarà conseguentemente accaduto il resto. Cogliete la prima mammola cosi per curiosità: la seconda per fare il paio: poi ne vedete una terza, una quarta, cinquanta, cento, tutt' intiera una zolla. Dall' unico fiore il vostro desiderio è salito su su fino al mazzo : e ancora ciò vi par poco. Adesso, mettetevi in mente che lo stesso è capitato a me - quando mi è caduto in mano il libro del Dottor Etico. - Una rosa non fa maggio ! - dissi io che me ne intendo. E nè due, nè tre, nè quattro. Andiamo avanti. Ma si ! A misura che s' andava avanti le rose sbucciavano da tutte le parti. Mi posi dunque coscienziosamente a coglierle con quella serena imperturbabilità che è propria dell' ortolano o del giardiniere amatore e che va tutto in oga magoga quando si trova di fronte ad un rosaio di carattere. Ed un rosaio - un rosaio multifiore è questo volume di Cesare Tronconi. Dirò di più un rosaio di Thee; di quelle rose onde gli antichi incoronavano le Pitonesse di Delfo: comecchè fossero fiori a cui si attribuivano divinatorie virtù. Poiché in verità vi dico - che 1' amico Cesare senz' essere nè profeta nè figlio di profeta, sulle questioni ardenti dell' oggi ci vedeva chiaro, aperto e con una di quelle diritture che fanno la celebrità dei cosi detti gran - d'uomini, a un tanto il chilogrammo. Egli scriveva nel 1865 : « Una professione di fede mi sembra ridicola. « Questa bandiera che s' impugna a vent' anni cangia colore a 30, ne smarrisce qualunque a 40... È forse l' unica battaglia (quella delle lettere) in cui conservar la bandiera significa venire sconfitto. » A voi - che leggete -; oh non è forse vero che queste poche righe compendiano dal primo all' ultimo giorno i sedici anni letterarii trascorsi dal 1865 ad oggi - sedici anni in cui caddero, risorsero e giacquero, e risorsero daccapo e sempre sotto nuovo punto di luce i soldati di ferro e quelli di piombo della cosidetta letteratura militante? Un'altra professione di fede artistica - che vale da sè un trattato. « Voi vedete dunque a cosa credo: - A quel che vedo. »

E cosa, come questa, come tante e tante altre si volta pagine su pagine - e dalla prima all' ultima esse si danno il loro sorriso, il loro sarcasmo, il loro sogghigno e magari anche - la loro lagrimuccia - una di quelle lagrimuccie salate che si ha anche il coraggio di ribersele, poichè non sono insipide e le ha spremute non già la stupida solita glandula, ma una fibra del cervello od una molecola del cuore.

Importante poi la parte che concerne il teatro - Sapete bene - si tratta del teatro contemporaneo guardato in fretta in fretta sotto il prisma delle diverse nazioni - dal teatro spagnuolo al tedesco dal francese all'inglese. Naturalmente io sarei un bel matto se volessi qui dottoreggiare e riassumere le idee di Tronconi - specialmente per ciò che concernono il decadimento del teatro italiano. Me ne guarderò bene : me ne guarderò tanto più, visto e considerato che più sopra ne ho toccato. Però non voglio galoppare così. veloce e sorpassare a due nitide colonne di porfido sa cui il Tronconi fino dal 1865 poggiava il suo verbo: un verbo, che in quei di là passava per esagerato e stravagante, ma, che poi è stato sottolineato dai fatti e perfino con quella pedanteria pesantissima. che par quella d' un copista. • È un grido contro la critica generica: « Nel campo della critica quasi in ogni parte, tutto non è consorteria, chiesuola ? Un'altra tirata d' orecchi alla critica mestierante : Un altro fatto da rimproverarsi alla critica è l' engouement col quale essa accoglie le zioni francesi : che se talvolta sono capolavori, sono bene spesso aborti di menti guaste e di fantasie che montano su trampoli. » O badate, neh , ragazzi ! s'era nel 1805 e dei francesi se ne diceva qui un mondo di bene. Non voglio mica dire che fossero adorati, ma gli affari della Tunisia e le caccie umane di Marsiglia non erano ancora venute a gettare sulla bilancia il loro peso. Eppure l'amico Cesare, colla sua solita nasta, fiutava il baco e si spazzava innanzi la strada. - E quando ebbe spazzata la strada che cosa fece di bello ? - Lavorò e molto - e i suoi lavori principali, li avete nominati voi stessi poco fà. - Benissimo; ma tutto questo è già molto contemporaneo. Noi ci limitiamo a domandare qualche cosa d'inedito, qualche cosa di più vecchio. Noi domandiamo il vostro Tronconi di quindici anni fa: il vostro Tronconi ancora in bozzolo. Quello d'oggi lo conosciamo per bene con tutta la sua ce- lebrità volevam dire - con tutta la sua notorietà - Cioè a dire - che credono di conoscerlo, per-che lo veggono bianco e roseo, alto e magro, col suo eterno soprabito nero, col suo perpetuo cappello a cilindro e col suo perenne bastoncello per mano, fulminare coll'occhialetto le belle ragazze su e giù pel Corso. Forse perchè lo sentono di tanto in tanto tossire, rispondendo come il più perfetto igrometro alle variazioni del tempo. Forse perchè loro non isfugge la punta sarcastica che fanno le sue labbra, evidentemente oggi più attratte agli orli d'un calice ricolmo di leggendario barolo, di quello che sulla bocca di una più o meno eccelsa mercantessina di baci ... ? Ebbene, o signori, s'ingannano a partito. Bisogna aver filato per anni ed anni - come io filai - Cesare Tronconi, per arri- vare a sfogliare, pagina per pagina, il libro bizzarro del suo ingegno che lo è ancor più : bisogna aver tenuto dietro alle fasi travagliose d'una esistenza che, prima di arrivare, dovette lottare, lottare e lottare, per capire certe eccentricità dell'amico Cesare, che molti non gli perdonano, perchè non le sanno qualificare .. , - Ma - scusino - lor signori mi domandavano conto di Cesare Tronconi giovane. Ebbene, egli allora faceva il bozzolo. Viveva solitario. Non era ancora provato al fuoco micidiale dell'invidia e della partigianeria fuse insieme dalla malvagità beneducata e che sa leggere e scrivere. Anche allora - come adesso - immerso nel mare magno amministrativo-finanziario delle sue cifre viveva a sè - lavorava per conto suo - e scriveva nel Mondo artistico, di cui allora era direttore l'amico Filippi. Ma della vita giornalistica si stancò presto : essa non era fatta per lui. Rapido nello scrivere, egli è però un grande masticatore dei concetto. La sua elaborazione prima è sempre difficile e lunga. E per fare il giornalista, occorre invece l'estemporaneità del pensiero e la fulminea prontezza dell'attacco. Mica che Cesare non abbia la bozza della polemica. L'ha - e come! - e ve lo dicano i suoi Delitti. Ma la caratteristica dello scrittore è per natura riflessa. Una volta tirato in ballo, tien duro e non volge la fronte. Ma alla montatura egli preferisce. l'operoso silenzio dell'osservatore e del clinico sociale. Nè davvero gli dò torto. Cosi facendo - cosi potendo fare - egli ha per lo meno la possibilità di lavorare sul serio : mentre noi giornalisti - noi gli effimeri d'un'ora facciamo come i moscerini d'oro del Gange : nascere, procreare, morire: e quasi tutti i giorni, con una sconsolante uniformità, sui- cidi quotidiani, ad un soldo l'uno. E talvolta siamo pagati anche di troppo. E Cesare fece bene a e carsela; poichè come giornalista non sarebbe uscito dalla cerchia del mediocre: laddove, come scrittore, fu un altro pajo di maniche.

Ma, a questo punto, vi domando un licenzino di ventiquattr'ore - e domani sera, fra la frutta ed il formaggio, vi narrerò, coll' abilità di Giulio Verne - o giù di li - il risultato d'un' impresa che ho me - ditato, che eseguirò all' istante - e che completerà questo quadretto a carbone che ho cominciato per ischerzo - che mano mano mi si è venuto delineando sotto mano - e che finisce coll' interessare me prima degli altri - e al punto che, giacchè feci trentuno, voglio fare trentadue - comprarvi la cornice - metterlo sotto buona luce - e collocarlo alla Mostra di Belle Arti. - Lo so benissimo : i soliti amici urleranno in coro: - Ohe! guarda qui il pittore Buonascopa! Onore e gloria all'artista Spegazzino ! - Adagio, ragazzi! Buonascopa e Spegazzinosinchè volete; ma badate, neh ! qui alla vostra Esposizione artistica, mi trovo in eccellente compagnia. con tutti voi altri; e sotto sopra di Buonascope e di Spegazzini ce n'è un pajo ad ogni piano di tele ... Se dunque ci stanno gli altri - ci posso stare anch'io. Non è vero ? - Come! nessuno paria? - Allora, ragazzi, è segno che ho toccato sul vivo. E se cosi è, tanto meglio. Intanto mi affretto a godere della mia licenza e domani sarò di nuovo a voi, e colla mia brava sorpresa nella tasca di petto - la tasca del cuore - del mio venerabile e lucidissimo stiffelius.


E la sorpresa la c'è. Ed è in tutto e per tutto questo puro e semplice resoconto d'una visita simultaneamente ideata, stabilita ed eseguita a casa di Cesare, a lui in persona. Da qualche tempo l'aveva perduto un po' di vista - m'avevano anche detto ch'egli era un tanto fredduccio meco - perchè gli avevan narrato delle chiacchere - soliti regali d'amici - di que' bravi, di quei buoni amici - che quando possono metter male fra due e fra più - son tutti a nozze... - Perdio ! - vado a scovare l'orso nella sua tana. Vado a studiare il mio soggetto dell'epoca palustre in mezzo alle sue palafitte! Vado a dissezionarlo il mio pezzo anatomico nel suo stesso quartiere... Andrò stasera - conchiusi fra me. Ma gli uomini propongono e le gazzette dispongono, tanto è vero che subito dopo, cascatomi sott'occhio un articolo - o quasi - comparso sur un foglio di Torino, - sclamai : - Oh ! fortunato De Amicis ! che quando gliene salta il capriccio, può sempre fare una scappata a Parigi, con relativa visitina a qualche letterato e rispettiva quattrinata di lucro conseguente ! Ma ahi ! io invece, non posso muovermi - sebbene non istia troppo ben cosi! Però mi consolai subito ; la mia idea di poco fà tornava alla carica con esigenze immediatamente imperiose. - Se non posso andar a Parigi, andrò adesso a far la visita a Tronconi, il quale dopo tutto è un soggetto di curiosità, numero uno. Vero è che egli mezzo blasé, scrive che la sua è l'esistenza d'un homme de rien - ma siccome aggiunge dell'altro che stuzzica la mia curiosità, io non posso tralasciare di soddisfare questa curiosità. Io voglio penetrare in quell'esistenza e darmi ragione di tante cose che riguardano Tronconi e che non ho mai ben capito. Andiamo dal perpetratore dei Delitti.

Salgo centotrè gradini - e suono.

- Chi è ? - domanda una voce di donna alla spia dell'uscio, senz'aprire. - C'è Tronconi ? - C' è. - Vuol annunziargli Psiche ? - Picche ? - Psiche, signora - è un nome mezzo greca e mezzo da parrucchiere. Sa bene; Psiche si dice a quello specchio che... - Benissimo, ho capito.

l Benché Delitti sembri un titolo da Corte d'Assise, io raccontando quel libro alla Gioventù Italiana - maschi e femmine, non, si lasci imberlitice come dire in dedica. Ogni giovane dovrebbe farsene il suo anche a molti vecchi non farebbe male. Un minuto e si apre. Vengo introdotto in una gran camera e per un momento resto abbarbagliato da una luce infernale - effetto del sole che entra a ondate da due ampie finestre attraverso tende rosse e gialle. Siccome non c'è nessuno, mi guardo attorno. Bella mobiglia - tutto rosso e giallo. - Ho capito, sono i colori prediletti. V' è tutto l'occorrente per garcon. Ciò che mi colpisce di più è il letto rosso e giallo anch'esso, per una persona e mezza. Quella mezza, non so perché mi fà ridere e pensare. Ih! che formidabile concerto. E un'esplosione di canarini e capineri là in due gabbie che mi mette del miglior umore. - Oh! Psiche - fà una voce alte mie spalle. Mi volgo - è Cesare. - Che cosa vuol dire questo miracolo? - mi domanda. Ed io : - I giornalisti a Parigi vanno da Zola, da Daudet e dagli altri. - Io mi contento - a Milano - di venire da voi. - Per confessarmi? - fa Tronconi. - E perché no? Non sapete che io so il rituale a memoria ? - Confessarmi prima e poi ripetere per le stampe quello che io ho detto ? - Appunto. - Scherzate? ma io non sono una celebrità: io non so posare: lo saprete bene, io sono l'uomo della natura. Non avete bisogno di posare - conservatevi pure l' uomo della natura e ditemi le cose vostre come stanno realmente e senza frange. - Ma non si crederà - si dirà egualmente che io ho posato. - Lasciate che lo dicano - ne dicono tante delle corbellerie in questa valle di lacrime e di polvere di riso. - E poi a che pro' occupare il pubblico di me ? - Ciò non vi riguarda - riguarda me e anche il pubblico. Del resto, andate là, che capisco il motivo della vostra ripugnanza - ma io - badate bene, senza essere per nulla affatto un adulatore e ammettendo anzi pur tutti i difetti e i delitti che vi affibbiano, trovo che quando si sono scritti cinque romanzi - buttando cosi sul naso degli ignavi qualche chilometro di carta - e si è impressa un' orma nuova nella storia letteraria del nostro paese e si è - a mio avviso - mal conosciuto, o non conosciuto - si può lasciarsi conoscere e presentare per quello che realmente si è. - Dunque voi volete... - Dunque io che vi conosco da tempo - forse un pò da lontano, voglio conoscervi sotto pelle anzi bramo spararvi... Un'operazione facilissima: chirurgia elementare... - Mille grazie. - Frugarvi nella viscere... trovarvi il vostra voi e poi dire al pubblico: - Ecce homo. - Ah! Ah! buona l'idea, ma badate che di me l' ecce hómo l' hanno già detto... sicchè neppure questa è più una novità: proprio cosi: vollero faro di me un piccolo Cristino artistico-letterario... - Ma io sono certo che come nel caso di Cristo gli offensori saranno stati poveri disgraziati messi su da Scribi e da Farisei. - Eppure non vi para che bastino i miei Delitti per dissipare le prevenzioni e i pregiudizi a mio riguardo? - Per me basterebbero, se fossi mal prevenuto ma per molti, no, perchè vi si lesina il diritto di difendervi. - Lo so. - E poi io voglio dire tante altre cose ossia farvele dire - e infine se volete sapere proprio la vera verità, voglio servirmi di voi per far della réclame a tutti e due. - Psiche non ha bisogno di réclame. - Domando scusa: tutti ne hanno bisogno a questo mondo... - Allora... siccome io non so proprio cosa dirvi - interrogate e io cercherò di rispondervi. - Ebbene, l'interrogatorio incomincia : -Accusalo! quali sono le vostre generalità...? E allora l' amico Cesare si alzò in tutta l'altezza della sua persona, fece, come un imputato che sia persona pulita, un inchino alla Corte, al rappresentante del P. M., - ed ai giurati. Poi cominciò :

- Sono nato nella notte fatale del 28 Gennajo 1842.Nascita degna d'un grande uomo.... americano, perché mio padre era un povero operajo e mia madre per sposarlo si fece anch' essa operaja. La tutti e due lavoravano come negri per vivere. È cosa che farà ridere - vissero lavorando sempre e morirono più poveri del giorno in cui si congiunsero - lasciandomi per eredità dei crediti che non ho potuto esigere e dei debiti che ho, qualcuno direbbe, la dabbenaggine di pagare. Ma sono fatto cosi ! Fra i debitori di mio padre si trova anche il Governo Nazionale - ma esso non ha voluto saperne di pagare, perchè... un bravo governo per render felici i suoi sudditi non li rimborsa che per forza, a meno che non ci siano altre ragioni. Forse mio padre avrebbe potuto avere il fatto suo - se il fu deputato Bellazzi che s' era preso a cuore di faglielo rendere, un bel giorno non avesse pensato bene di ammazzarsi per motivi politico-amorosi. Sono venuto su come si viene su generalmente da noi, e fino ai quindici anni mi sono considerato umilmente un cretino. Dopo, visto che gli altri non si curavano d' aprirmi la testa, me la apersi da me. Unico particolare degno di nota in quei primi quindici anni.- A otto anni mi ammalai d' una malattia che riesci va incomprensibile ai medici, i quali naturalmente mi spedirono. - Un giorno ricordo aver veduto una stola nera sul mio letto e mi rammento che il sacerdote Besesti, coadjutore del Duomo venne per confessarmi. Non morii perché mio padre spedì al diavolo chi voleva spedir me all' altro mondo e mi curò a suo modo. Dopo una febbre di sei mesi in cui mi allungai ad un punto ridicolo, risanai e finalmente potei tornare a scuola. Avevo nove anni - e da allora non ho riposato un giorno - ripeto: nemmeno un giorno — Questo giova a diventare molto robusti ! — Quando sorse la questione del riposo festivo, sperai che trattandosi di cosa logica e umana, tutti avrebbero accolto can entusiasmo la bella novità per la quale si dava le mani attorno perfino un canonico del defunto capitolo di S. Babila - il rubicondo D. Antonio Tagliabue, l'autore del Suicidio - ma si sprecarono fiumi di eloquenza e torrenti d' inchiostro, per non farne nulla. Questa è un' altra prova che gli uomini sono bestie e che parte di queste bestie tiene schiava l' altra parte la quale, più bestia ancor della prima, si lascia tenere al guinzaglio. In Russia, un paese barbaro a quanto si dice, in certe cose, sono più innanzi che da noi - non è vero? Poche chiacchiere, là. Come direbbe il Marchese della Linda: « Quei non ischerzano : sfidano e addio! »

A scuola ero assiduo ma non studiavo che materie di letteratura e di storia. Il resto m' era indifferente. Leggevo però quanto mi capitava - in compenso non studiavo la lezione. Quante volte i miei non mi fecero ripetere per lezione il Rosa Rosae - o l' Oculus Oculi o il verbo amare! Mi dicevano: ma hai sempre le stesse le- zioni! - Io dicevo di sì e tanto per cavarmela mi cacciavo poi in mente, strada facendo, alla meglio ciò che occorreva ridire pappagallescamente come si usava e come probabilmente si userà ancora! Il primo attacco dl febbre letteraria l' ebbi precisamente a 14 anni e mezzo. - Ero andato a letto con niente in testa - mi alzai il mattino successivo, letterato e precisamente drammaturgo - nè più nè meno. Ecco come avvenne : M'avevano promesso un biglietto per il teatro dell'Accademia dei filodrammatici; l'avevo atteso con ansia tutto il venerdì... e non era venuto. Immaginare il mio dolore, la mia disperazione. Era allora direttore dell'accademia nientemeno che Alamanno Morelli (il Veneziani delle Commedie di Venere) e allora Morelli cos'era!!! E allora come si recitava al Filo!.... Un complesso simile nell' arte non i vedrà più, mai più Vado dunque a letto - e naturalmente non posso dormire - il mio cervello fantastica e tutt'a un tratto m' accorgo che crea. Alle corte, in quindici giorni scrissi e copiai un dramma in tre atti, storico per giunta e col titolo Corradino di Hoenstaufen (1).

(1) Al momento non volli interrompere l'amico ma potete Unaginare se io, al sentire che c'era un dramma storico, senza donne, scritto a quattordici anni, non mi sentissi pungere dalla curiosità - e' un giorno, infatti pregai Cesare di darmelo a leggere. - che! Scusate se è poco. Ah! notate bene, nessuna donna fra i personaggi. Volevo anche farlo rappresentare - e sotto gli Austriaci, con quel po' di materia incendiaria che vi avevo messo dentro ! Per fortuna il primo individuo a cui mi rivolsi perché pensasse a farlo recitare in un oratorio!!! - era un galantuomo. Egli mi disse di nasconder ben bene il mio manoscritto e di non parlarne ad anima viva - altrimenti la mia famiglia poteva incorrere in gravi dispiaceri. - Allora obbedii senza capire - capii più tardi quando seppi che cos' era l' Austria. Dopo scrissi una farsa, una commedia, cominciai un dramma sociale - un dramma spagnuolo - un

- mi rispose - è una cosa informe e ridicola ai miei stessi occhi, ora. - Tanto meglio, riderò. - Allora ridiamo insieme, disse egli, e mi lesse il dramma che ci fece un gran bene perché ci esilarò ambedue immensamente. L' ingenuità della condotta e del linguaggio drammatico è tale che non si può non scoppiar dalle risa quasi ad ogni frase... Si capisce questo quando si pensi che il neo-autore faceva la sua scuola alla Stadera e alla Commenda. Ma lasciando da parte i difetti dell' età, del gusto, dell'ambiente e del tempo, pare quasi impossibile che a quattordici anni si potesse far tanto. Volete che ve ne dica una: ho conosciuto del grandi uomini di quattordici anni i quali commettevano quattordici spropositi ogni quattordici parole e v' assicuro che ho visto ben più grosse birbonate scritte, stampate e persino recitate (non solo di giovinotti.) anche di uomini maturi. Vorrei darvi un'idea del genere del Corradino ma è impossibile, perché per gustare, bisognerebbe leggere tutto il lavoro di seguito. Sapete che farò, pregherò l'amico di aprire una sottoscrizione nazionale per la stampa di questo Corradino. Non mai sottoscrittori, da che v' è mondo, avranno cosi ben speso i loro denari !- se è vero che un' ora di buonumore sconficca un chiodo alla cassa. altro dramma d'avvelenamenti ecc. ecc. ma non ero mai contento - e avevo ben ragione ! - finalmente mi parve che il mio cervello prendesse un indirizzo, che il mio gusto si purificasse. Allora scrissi una commedia in 4 atti avente per soggetto le prime lotte della giovinezza. Era vero che il mio gusto s'era purificato, ma io intravedevo la vita, non la conoscevo ancora, e quindi troppe chiacchere e pochi fatti. Ci tenevo a quel lavoro - mi pareva nuovo e bello, ma avendo letto per caso La vie de Bohème - il mio lavoro mi parve subito vecchio e brutto. Però quelle prime lotte non mi furono inutili cominciai ad esercitare la mia pazienza - tanto à vero che le scrissi dieci volte.

Ero arrivato a ventidue anni - e non avevo salute - ero gracile, debole, d'una sensitività morbosa - mangiavo pochissimo, per un nonnulla sveniva. Qualche brutto scherzo del polmone che soffriva della soverchia angustia del mio torace, mi fece sospettare d'essere etico e allora avendo cominciato a pubblicare qualche cosa, presi lo pseudonimo di Dottor Etico, tanto per ridere di me e del mio male. M'ingannavo - sono vivo ancora. Pel seguito vedremo - del resto adesso la media è passata e la morte è ne' suoi diritti. A proposito: mi dimenticavo dirvi che fra le stramberie de' miei primi anni ci fu anche il supremo ideale di diventare col tempo e colla paglia un professore di letteratura o di filosofia o di storia - poco monta la scienza. Avevo anche scritto per cominciare le mie lezioni una confutazione della Genesi a sedici anni. Ho poi finito, invece, coll' entrare nel commercio, per far contenta la mia famiglia. Ma che razza di lotte cominciarono allora con me stesso! Quando capii che era inutile resistete senza soffrire più di quello che avrei sofferto cedendo cedetti. Però ebbi un dubbio e un pudore che vedo rari in chi si mette oggidì a scrivere. Il dubbio fu che m' ingannassi sulla mia vocarione letteraria - il pudore di nascondermi per elso che m' ingannassi specialmente intorno alla meta verso la quale mi traeva tale vocazione, cioè, il teatro. Arrischiai, pertanto, sotto uno pseudonimo un volumetto contenente alcune idee sull'arte e due commediole, chiedendo insieme il giudizio di chi stedeva sulle cose della critica. E sissignori che il giudizio fu favorevole: Allora, secondo slancio, arrischiai una delle due commedie a scelta del capocomico sulle scene del teatro Re Vecchio. Il capocomico fu Amilcare Belotti e scelse Un Divieto d' Artista. Eseguito con due sole prove svogliate, perchè sarebbe stato contrario a tutti i buoni usi teatrali concedere ad un principiante qualche cosa di più, il lavoro andò come Dio volle, ossia fu tollerato . Poteva succeder peggio, viste le tre o quottro catastrofi imprevedute che colpirono l'allestimento scenico proprio alla fine della commedia. Se avessi avuto, come qualcun'altro, un teatro a mia disposizione, l'avrei fatta replicare dieci, venti volte, l'avrei imposta finchè non ne veniva un successone - invece fu un insuccesso... via ! siamo veritieri, fino alla crudeltà contro noi stessi : fui un fiaschetto. Eh! Eh! Adesso un po' di parentesi per dire qualche cosa di casa mia. Come si fa ? La mia vita artistica è cosi legata alla esistenza domestica che l'una non si spiega senza 1' ajuto dell'altra. Prima di tutto mio padre non voleva assolutamente saperne che io scrivessi , non solo, ma che studiassi anche durante quel po' di tempo che la notte mi concedeva. Mi aspettava per obbligarmi a coricarmi. Dovetti resistere, e per spuntarla dichiarare che se egli continuava ad aspettarmi, sarei tornato a casa all'alba, se così fosse stato ne- cessario per fare la mia volontà. Allora cedette, ma non lasciò mai di brontolare e di tormentarmi, finchè dovette pur tacere del tutto, visto che io era irremovibile. Quanto al resto di casa mia, io mi era accorto che da qualche tempo v'era alcunchè di misterioso in aria - mi si nascondeva qualche cosa. - Domandai delle spiegazioni. E le spiegazioni - me l'aspettava - furono tanti colpetti di fulmine - gli affari erano andati male e mio padre era caduto nelle unghie degli usurai. Egli allora li chiamava suoi amici! - mentre lo succhiavano, lo bevevano vivo.- Io protestai dissi che bisognava liberarsene ad ogni costo. Era troppo tardi. Parve che la Provvidenza, come si dice, volesse rimediare al male mandando un buon affare a mio padre, ma era destino che tutto dovesse riuscirgli a male. Egli, pover'uomo, poteva proprio dire come quel .tale: che se avesse fatto il cappellajo - la gente sarebbe nata senza capo! Giudicate. Verso la fine d'aprile del 1866, mio padre firma un contratto di fornitura coll'amministrazione militare sulle basi dell'antica tariffa. In condizioni normali v'era da cavarci un lucro modesto - molto modesto. Ebbene. Non appena mio padre ha firmato il contratto, le condizioni diventano subito anormali, ossia due giorni dopo il Governo decreta il corso forzoso. Ricorderete lo scompiglio economico dell' intiero paese. Quel decreto non fruttò che agli aggiotatori. V'era il corso forzoso di biglietti . . . risum teneatis - che non c'erano. Appena fu decretate, bisognò pagare il 10 p. % per cambiare i biglietti da 100 in biglietti da 10 - e per cambiare l'oro in biglietti da 100 subito il 15, il 20, il 24%. Mio padre che doveva pagare tutto a 3, 4, 5 lire per volta, come si vede, aveva fatto un bell'affare! Egli fece dei passi per ottenere una revisione della tariffa. - Eh si! L'Amministrazione ed il Governo avevano altro da pensare che a rendere giustizia ad un galantuomo disgraziato. Perdio! avrà fruttato molto all'Italia la rovina di quel povero vecchio! La situazione della mia famiglia si aggravò subito terribilmente. Quali giorni ! quali notti ! Mia madre non faceva che piangere - e mio padre perdeva la testa e si dava all'abstnthe - per distrarsi, per sostenersi il morale - diceva lui. Intanto tutto precipitava. Io allora dissi tra me: - Tentiamo di nuovo il teatro. Se la sorte mi arride - potrò sollevare un po' la mia casa - se no, sarà quel che sarà. Scrissi, e feci rappresentare La Vipera, che non dispiacque e fu anche applaudita in fine - ma io ero troppo timido o modesto e non mi presentai e bastò perché la commedia si dicesse caduta. Amilcare Belotti che m'aveva promesso il decimo per rappresentarla - dopo osò dirmi che non aveva promesso niente aggiungendo per calmarmi: - Vedremo - quando mi darete un altro lavoro .. . - Vi darò questo stesso, dissi, corretto, migliorato - può andare. - No ... no ... un altro ... un altro. Lo mandai al diavolo - e mi obbedi, ma solo qualche anno dopo. Oh! dimenticavo di accennare una corbelleria solenne da me commessa precisamente in quei giorni. Avevo creato un giornale letterario scapiglialo come il suo titolo - ma la collaborazione promessami mi mancò quasi affatto - ed io dovevo pubblicare otto pagine grandi tutte le settimane. Mi riducevo a scrivere suonata la mezzanotte, dopo avere lavorato tutto il giorno alla Banca ed aver passato la sera in teatro od a studiare. Come potevo resistere io che avevo cosi poca paglia in basto? - Dopo sei numeri, la vita materiale del giornale era assicurata - ma io non ne potevo più ed un buon sbocco di sangue mi metteva a letto a meditare sulla morte in prospettiva. Mi sentivo più che mai tisico. Allora dal letto dettai a mia sorella il mio saluto agli associati che finiva con un Siate felici molto melanconico. Il dottor Belloni colla sua cura prudente mi guarì e cosi bene che i polmoni non mi fecero altro insulto - finora! Volevo star tranquillo, volevo non scrivere più niente - ma come rimanere quieto, col cervello che mi bolliva in quel modo ? Rifusi la Vipera per le scene dell'Accademia dei Filodrammatici - e vi piacque - ma non me ne tengo - che cosa non piace là ? Io non avevo tempo d'occuparmi d'altre trattative con capocomici, e la commedia mori nel mio cassetto. - Risuscitai solo il terzo atto quattro anni or sono, quando trovai che poco su poco giù, l' A tempo di Montecorboli non era altro che quel mio terzo atto. Sarà - anzi è un puro caso - ma volli divertirmi a notare il caso. Scrissi per giornali e un altro mondo di roba per teatro, che mettevo nel cassetto aspettando occasioni favorevoli per la rappresentazione. Intanto la mia salute non si rinforzava, come io avrei voluto - e la situazione della mia famiglia continuava a peggiorare. Con tutto questo, l'amore dell'arte e le illusioni erano cosi forti che non mi perdetti d'animo. Fu allora che scrissi una serie di articoli sul Mondo artistico, sostenendo la necessità d'un teatro in dialetto. Fui deriso - e la prima vera commedia in dialetto milanese fu da me presentata nel 1868 credo, all'Accademia dei Filodrammatici - come un saggio da tentarsi. Aveva per titolo : La nobiltà d'una sartina. Non se ne fece nulla. Capii allora che gli Austriaci avevano lasciato qui una buona semenza. - Nessuno capiva come e perché si avesse a fare un teatro in dialetto. Venne il 1869 e la mina da tanto tempo accesa, scoppiò. Non potendo esigere i suoi crediti - dovendo pagare continuamente, mio padre dovette sospendere. Si poteva fare un accomodamento generale amichevole che avrebbe col tempo accontentati tutti - ma vi furono degli impazienti ed increduli a un tempo - e mio padre fu messo a Sant'Antonio per debiti. Lo sventurato vi restò sei mesi ! A queste parole, la fronte di Cesare si rabbujò,qualche cosa come una lagrima gli venne giù ardente... Rispettai quel nobile dolore di figlio e non dissi verbo. Egli seguitò: - Quando ne usci, era rovinato affatto di salute,e alcuni mesi dopo moriva. Ebbe però dello spirito quel meschino. All'uscire di prigione spedì a mezzo ferrovia, in regalo ed in prova di riconoscenza le scarpe usate in carcere a chi ve lo aveva messo dentro. Un passo indietro. - Il giorno in cui mio padre dovette abbandonare la casa per andar là, una mia commedia: La legge propone e il cuore dispone, veniva accettata al teatro Re Vecchio. Imaginarsi il mio entusiasmo in quel momento! Avevo presentato la commedia quando ignoravo ancora l'estrema disgrazia che ci minacciava .. . se no,l'avrei abbruciata. Andavo alle prove allegro come un morto e pur mi toccava sorridere e fare grandi complimenti alle nervose attrici, affinchè procurassero di impaperarsi il meno possibile ! La commedia piacque - ma la compagnia m'usò la gentilezza di ripeterla ... dopo una diecina di giorni, se ben ricordo - e siccome io non avevo nè tempo nè voglia pel momento di occuparmi di commedie, ritirai il manoscritto, e buona notte, non se ne parlò altro.

Altro passo indietro. Nel 1808 avevo scritto un romanzo. Un amico mio e di casa Sonzogno m'aveva detto : - Se tu scrivi un romanzo, m' impegno io di farlo accettare - ti sarà pagato e tu ti troverai così in rapporti colla Casa. Sentendo queste parole, mi pareva di sognare.- Se le condizioni letterarie in Italia sono sempre cattive, generalmente parlando, allora poi erano qualche cosa di ridicolo. Un giovine non poteva farsi strada che con sacrifizj ... a meno che non fosse stato nelle grazie d'una certa elique - e me avrebbero stampato - e me avrebbero pagato ! Oh gioja! Figurarsi con qual fervore mi mettessi al lavoro. L'Amore a fondo perso si può dire improvvisato e non è a credere quale profumo, quale dolcezza io sentissi nell'animo scrivendolo. Era il mio vero primo amore letterario - e mi fece provare tutte le più delicate delizie oltre il' piacere di scoprire che avevo la stoffa del romanziere, cosa che io non avrei mai sospettato, se a quell'amico non fosse venuto in mente di dirmi : Scrivi un romanzo.

Ma come mai l'Amore a. fondo perso, scritto nel 1868, usci solo nel 1872?

- È una storia curiosa questa del mio primo, romanzo - e se esso vide la luce, gli è quasi un miracolo del vostro buon Dio. Porto il manoscritto a Sonzogno: vien letto ed accettato. A quali condizioni? Gratis ... si sa - la giovane letteratura italiana bisogna pigliarla con beneficio di inventario - se no, non si fa nulla di buono. Che diamine! Gli editori la sanno lunga. - Ma (dico io), gratis è un po' leggero. - Allora faremo illustrare il romanzo da Gonin. - Benone! - rintosto io - ma ecco un' illustrazione che va a puro e semplice beneficio dei terzi ... Non sarebbe meglio, dare a me quanto. occorrerebbe per illustrare e risparmiare le illustrazioni? - Ma nemmen per sogno! Ci dite nulla voi essere illustrato da Gonin ? Io volevo provare ai miei col fatto, che non ero poi un pazzo come pareva, occupandomi di letteratura ; e nello stesso tempo ajutare casa mia - poichè ve n'era tanta necessità. Ma Sonzogno fu irremovibile ed io portai via il mio romanzo - a darlo per niente ero sempre in tempo.

Entrando nell'atmosfera letteraria, ero stato presentato a Leone Fortis. Gli offersi il mio romanzo - egli acconsentì a leggerlo. Quell'anno aveva già impegni sufficienti, ma per 1' anno successivo si sarebbe potuto conchiudere qualche cosa. Cosi almeno egli mi scrisse. Io in attesa dell'anno successivo lo pregai di rendermi il mio lavoro. Per qualche settimana dovetti trepidare - un terzo almeno del manoscritto s'era cacciato non so dove - ed io, se mi fosse mancato non avrei saputo come supplire, perchè la brutta l'avevo perduta anch'io, cambiando di casa. Finalmente si ritrovò e mi fu reso il tutto. Allora, grazie all' amico comune, si ripresero i negoziati con Sonzogno sulla base del gratis - s' intende. Che fare del resto ? Gonin è a Parigi, gli si manda il manoscritto scoppia la guerra in Francia - i Prussiani assediano la capitale, viene la Comune, in città si abbrucia - un bel giorno mi si fà temere che anche il manoscritto possa essere finito in un bagno pirico di petrolio. Perdio ! Ma è un timore passaggero. La città è liberata - l' ordine ristabilito, torna il manoscritto e nel 1872 si esce! Era tempo. Alberto Sonzogno m' incontra e mi fa dei complimenti che finiscono con queste lusinghiere parole: - Scrivine un altro. - Ai medesimi patti - dico io ridendo. - Faremo delle condizioni. - Benone. Venisse ora il successo materiale, sarebbe il benvenuto. - Se non potrò dar una consolazione a mio padre (che poveretto era morto nel 1870, ne darò una a mia madre. Scrivo adunque - e mi viene l'Evelina o il primo romanzo d'una moglie. Lo porto, piace. - Quali condizioni mi offrite? - Centocinquanta lire. Credo di sognare - mi provano coi contratti alla mano che gli autori italiani valgono qualche cosa di più di uno spazzino municipale e qualche cosa meno d'un copista. Maledico l'arte, gli artisti, i mecenati, e me stesso i pel primo.- Accetto, poiché è già scritto, ma giuro che non scriverò più in eterno! e infatti la mia eternità durò due anni nei quali pensai a tutto fuorchè a scrivere romanzi. - Allora, mi pare, pensavate al Teatro Milanese. - Ci avevo pensato - e non volevo più pensare nemmeno a quello, non volevo più far niente. - Cosa diavolo era successo? - Ecco cos' era successo. Cletto Arrighi ha scritto per la Strenna dell' Associazione della Stampa qualche pagina della storia del Teatro Milanese. Ha lasciato fuori però la prima.... forse perché per lui non era la più interessante. Infatti egli non aveva in principio grandi simpatie per l' idea d'un teatro in dialetto e qualche riga nella Cronaca grigia di quei tempi, se ben mi ricordo, perché potrei (dopo tanti anni), confondere le parole dette con quelle. scritte, proverebbe che l'idea gli andava e non gli andava. Gli andò invece quando, a cosa fatta, vide che se ne poteva trar partito e 1' avrebbe potuto trarre e grande se... se... Ma via questi non sono interessi che mi riguardano. O insomma, Cletto cominciò forse a credere alla possibilità d' un teatro milanese quando io gli lessi la mia Nobiltà d'una Sartina. Le speranze che un teatro milanese a vesse a nascere, anche dopo il molto chiaccherare e scrivere che se ne fece, erano però poche, quando un bel giorno di Marzo, credo, 1869, un individuo che allora si diceva mio amico viene a darmi la grande notizia che si costituisce una Società per l' attuazione della nostra famosa idea e a domandarmi se voglio prestare il mio concorso cominciando dal dare la Nobiltà d'una Sartina che gli piaceva, ecc. ecc. Dopo poi si farebbe altro. Figurarsi se aderii con gioia! Se avessi potuto, prevedere quello che segui... vi giuro che avrei messo alla porta l'amico - e riso io pel primo del Teatro Milanese e di chi vi pensava. Cominciano le prove, la mia commedia dovrebbe andare per la prima, ma non vi sono ancor elementi sufficienti - andrà invece per la seconda. Una sera dico all'...amico e a Cletto Arrighi : - Cominciare un Teatro del nostro dialetto contro il quale vi sono delle stupide prevenzioni, come ve n'è per ogni cosa nuova, senza dir nemmeno una parola sulle nostre intenzioni, sarebbe un errore. Ho quindi scritto un prologo in cui la Commedia Milanese spiega le sue ragioni alla Drammatica Italiana, per poter essere compatita. E l' ....amico e Cletto Arrighi trovano buona l' idea e ascoltano e approvano il mio Prologo. Domani l' ...amico viene fresco come una rosa e senz' altro dice : - Ho scritto anch'io un Prologo per l'apertura del Teatro Milanese - e li si mette a leggere il suo Prologo che non è che una rifrittura del mio - il quale mio egli voleva far scartare per sostituirvi il suo. Che rispetto dell'amicizia! - Che delicatezza e che modestia! Ed ecco Cletto Arrighi messo come Salomone fra le due madri. Cletto Arrighi allora che cosa fa egli ? prende il mio Prologo, prende il Prologo dell' ...amico vi aggiunge, ne toglie e fa un terzo Prologo. Se avessi avuto cinquanta amici di quella forza, avremmo avuti cinquanta prologhi per farne uno. Siamo alla recita della mia Nobiltà d'una Sarfina e il successo non mancò. Fu anche il primo successo della Giovanelli, se non erro. Sapete cosa mi vengono a dire ? Che l'...amico, - quello del secondo Prologo, durante la rappresentazione girava di palco in palco dicendo corna della mia commedia. - Non basta, l' indomani un giornalista il quale mi aveva promesso un cenno per un foglio mi dice che il suo cenno era arrivato appena a tempo, perchè il mio... amico, si era presentato con quattro righe che ripetevano roba da chiodi del mio lavoro. Che fratellanza artistica! Non avendo, potuto demolirmi sul foglio a l'...amico volle per lo meno piangere sulla mia misera sorte nel foglio b. - Ma chi era questo.... amico-tesoro ? - Era... ho tanto fatto che me ne sono scordato il nome. - Ritorniamo a noi. La società che aveva instituito il Teatro Milanese durò poco, nè poteva durare. Cletto Arrighi allora intervenne e la trasformò e si andò avanti alla meglio per un anno. Siamo al 1870. Telamoni l' attore, mette insieme una Compagnia Milanese e va al Fossati. Io avevo preparato una nuova commedia in 4 atti : Una matrigna. Voi ricorderete come essa piacque. Ma la compagnia Telamoni non avendo fatto buoni affari a Genova, si sciolse. Poi il 1870 era anno di guerra e quindi cattivo per la drammatica. Parte degli elementi entrarono al Milanese e io sperai che ora le cose essendo in mano di Arrighi e non essendovi concorrenza, tutto sarebbe andato a gonfie vele per tutti e quindi anche per me. Ahi ! Ahi! Ahi ! Quando il Direttore d'un Teatro è anche Autore, per quanto buone siano le sue intenzioni - non può spogliarsi, come dovrebbe e sempre, del suo io. Del resto io non mi lagno. Al suo posto, qualunque altro avrebbe fatto lo stesso - anzi è provato che si può fare anche peggio. Se poi non vi fossero state altre ragioni plausibili per levarmi dal Teatro Milanese, sarebbe bastata l'introduzione dei Vaudevilles. - L'arte se ne andava, venivano i pasticci, veniva il mestiere. Oh ! non voglio parlar altro del Teatro Milanese - sarebbe il discorso più disgustoso del mondo e poi sono cose che sapete al par di me.

Torniamo alla Drammatica Italiana. Nel Carnevale del 1869-70 Bellotti-Bon aveva rappresentato al Re Vecchio una mia commedia in un atto col titolo eroico: La Morte di Cesare che mi dicono sia piaciuta anche fuori. Domando a Bellotti Bon quanto me la paga - e mi risponde che le commedie in un atto non si pagano. Io dico grazie e me ne vado contento come una Pasqua ! Un altro passo indietro e scusate : la mia vita è un tal dentro e fuori che bisogna seguirla come si può. - Dunque fra i materiali che avevo ammucchiati nel mio cassetto nel 1868 - v'era una commedia in 4 atti col titolo : Chi vuole la figlia conosca la madre. Presentata al Concorso dell'Accademia dei Filodrammatici era stata trovata una bella Commedia -e me lo dicevano tutti - ma perchè trovata bella ? Perché non si sapeva che io ne era l' autore. -Infatti io l'aveva presentata sotto il pseudonimo di Emilio d' Ayala. Rappresentata il 3 dicembre 1869 piacque - e il giudizio favorevole lo potete trovare nei giornali di quel tempo. Io presi la mia, commedia e tutto fiducioso la offersi alla compagnia Ciotti-Marchi-Lavaggi che la accettò per rappresentarla nell' autunno del 1870 a Milano. La lettura fu un successo - mi si disse da comici intelligenti che finalmente si cominciava a uscire un po' dal convenzionale, e cento altre belle cose. Ma alla prima prova tutto si cambia. Marchi- ora morto - che non aveva assistito alla lettura - dice che questo è troppo forte, che quello e troppo ardito, che... che... insomma io, se voglio veder rappresentato il mio lavoro, devo lasciarmelo tagliare a pezzi. Perdute le proporzioni non era possibile che piacesse e si sostenne appena appena. - Ma perché non ritirarlo ? - Perché quando si è là sulla scena e si è giovani, piuttostochè perder annii nutilmente, si arrischia. Chi sa mai ! Si può anche vincere. In teatro il caso ha una gran parte. L' indomani, naturalmente, i critici registrarono l'insuccesso - ma qualcuno che poteva capire meglio degli altri e poteva anche essere informato di .quanto era avvenuto - parlo di Paolo Ferrari - mostrò di non capire niente e di sapere niente e crisse un articolo che io trovai ameno. Egli non pensò neppure che un articolo simile poteva servire di critica a varie sue commedie. Dormii tranquillamente sulla madre e poi anche sulla figlia e poi anche sulle critiche e non vi pensai più. D'altronde era miracolosamente arrivato da Parigi l'Amore a fondo perso che doveva uscire a giorni. - A che dunque guardarmi indietro ? Sempre avanti - anche senza essere Savoja. V' ho già detto che belle allegrie, e quali enormi consolazioni mi procurarono l'Amore e l'Evelina e come mandassi al diavolo tutto. Ma dopo aver riposato qualche tempo - se non dimenticai le sciocchezze e le cattiverie degli uomini, non potei tener il broncio all' arte. Vi succede come con una donna - quando la si ama, anche dopo una lite impiccata, si fa pace. E come altrimenti? Io aveva dentro di me tutta questa roba, bisognava bene che me ne liberassi. In tre anni, dal 1872 al 1874 cominciai molte cose, secondo l'umore - ma non ne finii che tre. Una donna originale, bluette in versi che fu più tardi pubblicata dalla Farfalla a Cagliari. - Il Primo amore, commedia in 3 atti per Moro-Lin , che piacque - tutto dire - anche al Manzoni.- E Don Giovanni prende moglie, altra commedia in tre atti che invece non andò bene. Cosa curiosa di questo Don Giovanni - che piaceva alla lettura e poi sul teatro riusciva debole. Ma lasciando da parte il merito qualunque del lavoro, è certo che siccome si trattava di cosa fine, delicata, occorreva un'esecuzione in ogni particolare fine e delicata, un vero cesello. Emmanuel a cui andava molto a genio il Don Giovanni prende moglie - lo fece gradire altrove meglio che non ottenesse la Compagnia che lo rappresentò al Manzoni. Ma tutto sembrò congiurare contro di me in quella circostanza. Si cominciano le prove e si riconosce l'insufficienza d'una artista - si cambia la distribuzione delle parti, e dalla padella caschiamo nella brage. - Pazienza! andrà come Dio vorrà. Speravo egualmente bene, perchè avevo fiducia nel lavoro e perchè la Marini e la Giagnoni erano due buone colonne. Siamo alla vigilia della rappresentazione - e muore mia madre. Guardate strano caso: Era il 13, si discorreva con mia madre del Tredici a tavola - andiamo a tavola e li subito capita il tredici con un colpo che uccide la povera donna al primo boccone. Si differisce la recita - e otto giorni dopo quando. ebbe luogo io non capivo più niente nè del lavoro nè dell'esecuzione. La Giagnoni ebbe applausi ma il lavoro fu zittito. L'indomani quei due amorini della Perseveranza e del Pungolo mi conciarono a dovere.

Ebbene la loro benevolenza produsse in me una tale reazione che, in luogo di scoraggiarmi , presi nuovo animo. Non più teatro - mi dissi - il romanzo d' ora in avanti. Avevo capito che sul teatro non si può ardire, nemmeno con una frase - e io invece volevo essere libero di dire quello che mi sentiva nell'animo nel modo che meglio mi piaceva. I soggetti arrischiali come si dice e come andavano a sangue a me non erano adunque possibili. O star sempre nell' ambiente domestico con soggetti famigliari o darsi al falso. Dopo aver scritto la Matrigna e il Primo amore ne avevo abbastanza dei soggetti famigliari - e il falso non lo volevo toccare solo per piacere. D'altronde non lo sentivo - e io quello che non sento non lo faccio. Un'altra riflessione mi fece rinunziare al teatro - e fu che quand' anche io avessi fortuna - ne avevo fatto l'esperienza anche nei casi di deciso successo - non mi servirebbe gran che - per la ragione che in Italia da qualche anno per aver dei successi, per farsi un nome, il merito dei lavori non basta - anzi talvolta non è neppur necessario il merito. Basta viaggiare, assistere alle rappresentazioni. - È una rèclame indispensabile - poi vengono i telegrammi, gli articoli, le corrispondenze e il successo è fatto e può rendere. Quasi tutti i lavori nascono e muojono in men che non si dica; ma quando nascono è un successone. Contate ora i vivi - e fra i vivi levate quelli che si mantengono sul cartellone per ragioni affatto estranee all' arte ma che non sono vitali e poi mi direte se ho torto. Ah ! dunque per farmi passare il Don Giovanni, il Pungolo, e la Perseveranza cominciai la famigerata Passione Maledetta. Ma qui vi chiedo due minuti di riposo - e il permesso di offrirvi un vermouth. - Oh! vedo un quadro classico là. - Non so, non me ne intendo - e poi come capire? è tutto fuligginoso. - È un Cristo, mi pare. - Si, la mia padrona di casa dice che spasima per la flagellazione, ma a me pare che sia appena uscito dal bagno e stia asciugandosi una gamba.

- V' ho dunque parlai o della reazione che produssero in me certe sedicenti critiche - ma è chiara che se non ci fosse stato nulla di nuovo in me, qualunque fosse il mio desiderio di reagire non avrei potuto agire. Ma siccome il nuovo c' era, siccome da qualche tempo sentivo bollire in me spiriti di ribellione.... letteraria - che io mi sforzavo - non so perchè - di raffreddare - cosi quando mi venne in ajuto la ribellione del minuto, non potei più resistere e osai come era mio dovere, del resto. Per spiegarvi come mi sentissi trascinato alla rivolta letteraria bisognerebbe scrivere un volume sull' influenza ch' io qualifico deleteria della scuola manzoniana. A lasciarli fare ci conducevano bel bello all' imbecillimento completo. - Questo poi io non lo penso, mio caro Tronconi, io sono anzi d' un parere ben diverso... - Oh! io sono irremovibile. Dunque non mi facevo illusione sull' efficacia d' una protesta - mi dissi semplicemente che io dovevo protestare - e non a sole parole ma coll' opera. Ecco il perchè di Passione maledetta. Ma c'era un gran guajo ! - chi sarebbe stato il mio editore? Avevo sempre presenti le splendide centocinquanta lire che m' aveva fruttate l'Evelina! D' altronde io non volevo seppellirmi nella Biblioteca Romantica a Una lira il volume - che fa così....economicamente gli interessi dei letterati italiani. Che fare ? Allora si parlava alquanto di Brigola. Andiamo da lui. Ed un... amico - ci siamo cogli.., amici - pensò a presentarmi, pure sapendo che io volevo offrire un romanzo ultra-realista. Più tardi il suo odio per me lo rese celebre. Il sig. Ottino dirigente la libreria Brigola mi fece buona accoglienza e mi disse che l'affare si concluderebbe. Io credevo finire il mio romanzo pel Maggio, ma invece ci vollero altri due mesi. Quando ritornai da Brigola a romanzo finito, ebbi in risposta che stando per stringere colla Curia Arcivescovile il contratto della stampa degli Annali del Duomo di Milano non poteva assumersi nuovi impegni e doveva conseguentemente rinunziare al mio lavoro. Anche la Curia Arcivescovile ci voleva ! Allora dissi fra me : che ne faccio del mio romanzo !? E ci avevo lavorato con tanto fuoco e con tanto amore. Pensai di proporre a Sonzogno che ne facesse una edizione a parte - ma non potei riuscire a modo mio. O Biblioteca Romantica a una lira - o morte. Risolsi di non andare nella Biblioteca Romantica - e di vivere. In che modo ? Me lo suggerì Dumolard. Stampare per mio conto, ossia a mie spese tutto - e far pubblicare da Brigola come se fosse roba sua. La proposta in questo senso a Brigola fu subito accettata. Arrischiavo più di duemila lire ! - il che non tolse che poi gridassero che la mira del lucro era la sola che mi aveva ispirato, scrivendo la Passione Maledetta ! Bei lucri affeddidio ! I lucri cominciavano collo sborsare del mio oltre duemila lire colla probabilità di non vendere neppure una copia. Alla fine Novembre esce il volume. Dite voi se fu o no un' esplosione?! Fu lo scoppio d' una bomba... letteraria, ma fu sempre uno. scoppio - e nella bomba v' era di tutto: ammirazione, ira, odio, interessi morali e materiali furibondi, ecc. ecc. Il successo fu immediato e pieno. Io credevo ingenuamente che il mio editore dovesse essere il primo a congratularsene meco e seco, - e invece.... - ma di ciò più tardi. Eravamo alla metà di gennajo e il successo cresceva. Ciò cominciò a dar una gran noja ai miei soliti amici, nonché al signor Maineri e a impensierire seriamente la Società Pedagogica - che tenne uua seduta a bella posta per avvisare al da farsi. L'Italia era in pericolo. In quella memoranda seduta un altro mio amico, detto « l'amabile » fece l' evangelica proposta di far pratiche presso i librai del paese, affinché nessuno avesse più d'or' innanzi a mettere in vendita i miei libri. - E poi quel bravo figliolo ha paura di perdere la sua porzione di paradiso ! Ma via, non tema; egli non perderà nulla del tutto. - Dunque - interruppi io tutto d'un tratto dunque saremmo alla famosa causa - alla gran causa della virtù offesa e del vizio posto sull'altare... Saremmo al martirio susseguito dal trionfo di San Baccio Emanuele Maineri - il dramma giudiziario di Torino che cominciò come una persecuzione, ma fini colla peggio del grande scellerato Tronconi e coll'apoteosi, a vivo fuoco di bengala della vittima e relativa rivincita della moralità derisa e della giustizia calpestata... Suvvia, contate, contate un po' anche a me, come le faccende andarono in quella storia.... - Me ne guarderò bene... Col caldaccio che fa ancora, io andare a rimestare quel carnaio di finzioni, di ipocrisie, di miserie piccole e grosse ! Ma nemmeno per ombra ! Ne son venuto fuori, ci ho lasciato un brandellino di cuore - poichè dovetti subire la estemporanea asportazione di alcuni da me presunti e creduti amici ; - ma dopo tutto, quella stupida burrasca è passata, ed io proprio proprio non mi sento la minima volontà di ritornare al vomito, come fanno i pochissimo rispettabili signori cani... - Ma, almeno, un cenno - un ricordo - un rimpianto... - Un cenno ? ma che cosa debbo dirvi se parevano tutti diventati matti ? Quella mia Passione maledetta aveva loro posto addosso il ballo di San Vito - il fuoco sacro - che so io ! E parlano della intolleranza cattolica degli Arbues e dell' intolleranza riformata dei Calvini e dei Zuingli! Po- veri diavoli ! Ma questi sono agnelli in confronto dei miei amici di quel tempo là - di or fanno sei anni - infine... sapete perchè non mi hanno abbruciato ? Perchè i roghi non eran più di moda. Ma quanto a buona volontà, credo che ne abbiano ancora sullo stomaco qualche buon chilogramma. Ebbene - bravi ragazzi- gli è mestieri che aspettiate ancora un pochino : poichè, morto che sia, non dubitate che mi farò cremare, come deve fare ogni buon galantuomo. Ma prima ? Evvia, ciò sarebbe ancora troppo indiano. E l' India a Milano non abbrucia i corpi di nessuno : essa è più umana - e si limita a spolparli. Il mio povero padre ne ha saputo qualche cosa anche lui... Un ricordo? Questo per esempio, che, allorquando S. Baccio vergine e martire, scrisse quella tal lettera milanese alla Nuova Torino contro il mio libro e contro la casa editrice Brigola, io non consigliai certo il cav. Ottino rappresentante di questa a sporgere querela - perché era inutile e poteva essere dannoso come fu infatti. - Oh! il querelato non essendo stato condannato - allora si vide il bel caso del querelante che se la pigliava con me quasicchè io fossi responsabile del passo da lui fatto, nonché della coscienza benedetta di quelli uomini timorati del Signore che nel 1876 amministravano la giustizia - si dice giustizia cosi per modo di dire - a Torino. - A proposito di ricordi: eccovene un altro - alla corrispondenza bacc...iana alla Nuova Torino - teneva bordone qui in Milano un molto feroce articolo contro il mio libro. Uno di quelli articoli che i nostri confratelli al di là delle Alpi, chiamano di ereintemeni. Ebbene, volete saperne una bella ? Il profondo, ed imparziale articolista che sfolgorava il mio libro dichiarava ad un comune amico che per verità NON LO AVEVA LETTO. - Impossibile... - Volete nomi, dati, luoghi... ? - Non val la pena di fare delle personalità. Vi credo sulla parola. - Un rimpianto? Sì, un vivissimo rimpianto per me stesso che per dieci minuti non di più veh ? - me la presi calda, e stetti per prendere la cosa sul serio... Per fortuna i dieci minuti passarono ; ed io risi come un pazzo della mia buona fede e fu un riso sostanzioso - poiché le copie della Passione venivano bruciate via con un insieme ed un crescendo tale da rallegrare il più immusonato di tutti i trafficanti di idee scritte... - Del resto mi ricordo anch' io di tutto il can can - che si fece intorno a voi, per quell'affare lì. Anzi - scusate - ma è una reminiscenza personale - ch' io non voglio tacere - anch' io fui tra i pochi che - senza dividere sino alle sue estreme conseguenze il vostro sistema - pure vi difesero a spada tratta e con quel brioso coraggio che tutti o poco o tanto si ha, quando invece di combattere per sè stessi - si combatte - come gli antichi soldurii galli - pei proprii commilitoni. Aveva giust'in punto allora - Angelo Sommaruga fondata a Cagliari la Farfalla, ed io ne fui sino dal suo primo numero - come il sono tuttavia dopo tanti anni - assiduo redattore. Ebbene fu appunto la Farfalla che raccolse in quella vostra circostanza il guanto gettatoci dai prudes. E si rispose con una fucilata d' inferno. Il resto lo sapete voi pure, che quasi subito foste pregato di accettare la collaborazione in quel battagliero foglio verista... - Me ne sovvengo - ed anzi vi ringrazio del gentile sussidio che in quei dì mi recaste. Ma sapete voi, perché allora tanta e tanta gente mi balzò alle magre polpe, e fece di tutto per strapparmele a brani ? Perché tratti in inganno dai sepolcri più o meno imbiancati e dalle persone che vi abitano per elezione - credevano ch'io avessi per iscopo di galvanizzare erotiche foie - nuovo Aretino di strapazzo con tutti i suoi vizii e senza neppur una delle sue doti d'uomo di mondo. Perché non volevano o non potevano comprendere - che se io volli fare lo scrittore fotografo, ho avuti i miei buoni e bravi motivi per far ciò - avendo naturalmente ad ogni mio libro il suo fine rispettivo. - Benissimo - oh ditemene un pò qualcosa del vostro - anzi dei vostri fini! - Vero è che nei Delitti cantate chiaro - ma tant' è ; dal libro alla bocca viva ce ne corre... - Ebbene c'è qualche cosa di più doveroso quando si scrive, di avere uno scopo ?

Io mi sono sempre proposto un fine sociale nei miei romanzi perchè credo che ai nostri tempi cosi positivi non basti una favola qualunque per fare utile e vitale un libro. - Ond' è che nell' Amore a fondo perso si trova il confronto fra la nobiltà paolotta - ignorante - ignava e boriosa e la nobiltà spregiudicata, istrutta, che pensa e lavora per sè e pel proprio paese.

Nell'Evelina ho voluto infamare lo stupido, cieco, odioso costume di maritare le figlie ad uomini infradiciati dai vizi, senza darsi alcun pensiero, nè della certa infelicità morale e fisica delle figlie, nè della prole infetta e miserabile che nascerà da simili unioni.

Le Madri per ridere è un titolo che da solo dice già tutto. È una gran piaga nella nostra società questa delle madri non serie, non degne di tal nome. Voi che volete la famiglia, cominciate a far delle madri; e invece di dire che le madri ...per ridere sono immorali, discutetele, studiatele; vi troverete il fatto vostro ed anche l'utile vostro. Commedie di Venere. « Le avventuriere invadono le nostre città. Ecco » il perchè di questo libro. » Non è un libro nuovo per forma e sostanza ? La indipendenza da ogni convenzione letteraria è forse stata spinta finora da altri sino a questo punto? E non sono un prodotto naturale dei tempi? Non siamo forse invasi dalle avventuriere? Non sono forse schifose le nostre vie ? E le nostre case da chi sono abitate? Non è un fine nobile, elevato quello di combattere i falsi sentimenti? Ma essi non vedono che la frase pepata e la situazione, come dicono, arrischiata e gridano : immorale! Sarebbe bello fare le Commedie delle avventuriere senza le situazioni in cui le avventuriere esercitano la loro abilità e raccolgono il frutto delle loro astuzie e delle loro menzogne ! E a proposito delle Conzinedie di Venere, ricordate quando Tisbe cade dal suo soglio, che cosa è detto? « Studiando la rovina delle più fine volpi, si troverà che quasi sempre sé perdono per una sciocchezza che tutta la loro astuzia non ha saputo prevenire. » Non lo ha provato luminosamente un recente processo? E1 era pur una volpe fina. !

- Sapete che cosa debbo dirvi, amico Tronconi - Che questa vostra vivisezione mi piace, e che io - mano mano voi concretavate lo spirito di questo o di quello fra i vostri volumi - io mi sentivo una grandissima volontà di battervi le mani io, che non le batto quasi mai. Nulla infatti di più vero, di più giu;to, di più palpitante, di più lo- gico che tutto quanto mi venite esponendo con una brevità satura di filosofia pratica. Ma giacche ho toccato dei Delitti, vale davvero la pena d'insistere su questa nota. Ma ho paura di stancarvi ... - Che! ecco una parola, stanchezza, eh' io non conosco mai, quando mi trae seco una conversazione intellettuale . .. Continuate dunque.

- E continuo. Nei Delitti avete detto tutto in vostra difesa? - non mi pare. - Nè era possibile - sarei stato frainteso. Hanno già detto che ho peccato d'orgoglio, avendo detto oosi poco, unicamente per spiegarmi: figuratevi come avrebbero gridato se avessi espresso intiero il mio pensiero! Immodesto io ? Ma sono matti ? La modestie est une grande lumiere; elle laisse resprit toujaurs ouvert et le coeur toujour 's docile a véritè. Guardate, se io voglio rinunciare alla modestie: sarebbe come rifiutare la véritè. Ma io ho questa fortuna di venir sempre malinteso. Sarà probabilmente perchè mi spiegherò male. Guardate per esem- pio: I Delitti sono una corbellatura continua .. . Nossignori nessuno vuol veder questo ... vogliono che ciò sia scritto sul serio. È sul serio, si, che io corbello - ma la forma è la forma che ci 'vuole per corbellare quella parte di prossimo che merita di essere corbellata. - Ah! la famosa forma ! - Dite benissimo : la famosa forma! Cosa non -se n'è detto, eh! E chi ha veramente capito qualche cosa della famosa forma ? In Italia siamo cosi poco inspirati, che nessuno capisce chi ha un modo suo d'inspirarsi. Tutti dal più al meno scrivono ,col loro modello o con più modelli, perchè non capiscono l' inspirazione, la quale per sè stessa è indipendente di forma e di sostanza. - Sicuro, lo So anch'io che col Lessico della corrotta Italianità alla mano si può discutere molto; ma io debbo rendermi indipendente anche dal Lessico, se non mi persuade e - la mia opinione vale quanto quella del Lessico - e se non vale per gli altri vale per me - e per il pubblico che mi capisce meglio, se mi esprimo a modo mio. Del resto, in materia di lingua, in Italia hanno ragione tutti. - L'importante è farsi capire ed accettare dalla massa. - Se il resto non vuole, padroni ! Se per forma, intendete grammatica, veniamo al tavolino e passiamo frase per frase - vedremo chi ha ragione. - Se intendete altro, allora andatea passeggiare. Per esprimer bene ed esattamente imiei pensieri, devo scegliere io quello che occorre - voi non mi date niente - e quello ch'io scelgo, prescelgo, è ciò che io sento, ciò che mi s' impone. La forma per me è pensiero ed è sentimento insieme. Tanto peggio per chi non capisce. Ho tentato di farmi capire umoristicamente nei Delitti, perchè abborro dallo scrivere cattedratico - ma non so quanto mi sia riuscito. Circa il rimanente, dicano quel che vogliono - continuino anche a dire quell' immensa sciocchezza, cioè che ho uno stile pedestre - terra terra. Essi non sanno che col dire ciò mi dànno la più gran lode che si possa desiderare. Pedestre - terra terra - cosa vuol dire? - Essere naturale, essere semplici, veri come la vita che noi viviamo. Ed io, appunto perchè sono, come uomo, naturale, semplice, vero - voglio essere naturale, semplice, vero, come scrittore , e perciò mando al diavolo la rettorica e scrivo anche, ciò e come mi detta la verità, in tutto. La sobrietà, l'esattezza, la forza - ecco per me. i fattori dell'efficacia. Io sto colla natura che è sobria, esatta e forte. Non una parola inutile - non una descrizione o digressione superflua che snervi, che distragga il lettore dall'azione - o che gli faccia smarrire lo scopo che l'autore s'è proposto. Tutto deve concorrere a tenere sempre vivo, evidente nel lettore lo scopo dell'autore. - Hanno gridato tanto per l'arte mia, o per la mia mancanza di arte! come volete. Ma io lascio voi giudice, voi che siete in buona fede. - Essi non sanno, o per lo meno, per condannar me, fingono ignorare che l'arte non ha forme né limiti. L'arte del trecento è forse quella del 400, del 500, del 600 e via via? - L'arte greca è l'arte latina? - - L'arte francese secondo i secoli, secondo gli autori, è forse sempre la medesima ? - E in pittura, in iscoltura e in architettura non è così? e negli altri tempi e paesi tutti, non è così ? Arte non v'è - vi sono degli artisti - de' quali ognuno sente l'arte a modo suo. Ed io la sento a modo mio ! - Accettate, rifiutate, fate il piacer vostro - io non posso cambiarmi. È vero - ed è quello che io deploro di più fra coloro che mi combattono sotto il punto di vista dell'arte, vi sono anche degli uomini d'ingegno ! E che perciò ? Sono uomini d' ingegno che prendono delle cantonate, che credendo di capire, non capiscono ; - perché, come vi sono dei pregiudizi in materia religiosa, in materia legislativa, in materia economica, ecc., ecc.; vi sono de' pregiudizj in materia artistica. - Io però non ne ho di questi pregiudizii - e quindi non mi curo di chi ne ha, perché coi loro pregiudizi non possono insegnarmi niente. Dichiaro solo che il dire: voi non siete artista - è molto facile - il provarlo - difficile, impossibile tanto è vero che nessun lo prova. Ah! io vorrei che si venisse ad una prova pubblica per provarlo. Vedreste in che sacco metterei i miei avversari ! Io so che io mi sento artista - e questo per me è il vero giudizio. Non posso ingannarmi!

- Ma dicono : voi siete realista. - Anche Zola è realista - e voi non siete lo Zola. Queste parole provano, quanto chi mi combatte sia sciocco - e come per la smania di combattermi abbia perduto il bene dell'intelletto al punto , da non saper più quel che si dice. - Ho detto qualche cosa su questo punto nei Delitti; ma per ragioni di convenienza che non accetto, ma che mi impongo da me quando mi pare e piace, non ho voluto dirne di più, nè pel pubblico nè per la critica. - Ma qui siamo a quattr'occhi e potete spiegarvi meglio e per intiero. - Sarebbe però quasi meglio che troncassimo abbiamo già discorso abbastanza - dovete essere stufo e strastufo e poi e poi ... nell'attuale confusione delle lingue ... in tempi in cui parla e scrive di letteratura una folla di gente che ... basta! la mia opinione ... uhm ! - Oh! diavolo! perchè? - se siete di parer contrario a quello di molti ... voi sapete benissimo che Zola non ammette il principio d'autorità. - Ah! sì. Le Roman Expérimental! - l'ho letto. - E . ..? - E ne parleremo ... poichè si vede che voi volete proprio farmi parlar di tutto. Subisco questa vostra violenza ... ma badate, è una violenza . contro ... - Contro la quale protestate. - Contro la quale non protesto. Ah! ah! ah ! - Ah! ah ! ah! - Un altro bicchiere di vermuth vi piace. Ma, a proposito di Zola - che ne dite dei miei avversari ? - Che talento! Oh! Se per combat- termi, se per ridurmi al niente, avessero preso per mazza, non saprei, il confronto con Bassano Finoli, con Bachermicherschriftenshaft che sono quei gran romanzieri che sapete, pazienza! ma - nossignori essi vogliono che io sia inferiore semplicemente a Zola! Vedete quale imbecillità - e quale mancanza assoluta di politica! Essi sentono tanto il bisogno di battermi che si valgono dell'arme più forte che essi trovano a loro disposizione. Se avessero preso al più debole, qualche ciabattino delle varie letterature - ci sono tanti ciabattini ! - ancora si capirebbe - ma prendere Zola! Mentre essi vogliono schiacciarmi con tale confronto, non si accorgono che invece mi fanno sorgere a grande altezza - essere inferiore a Zola, si può contentarsi ! Sarebbe come se un imbecille dicesse - perchè solo gli imbecilli possono dire siffatte amenità: - Voi siete Verdi, ma siete inferiore a Rossini.- Voi siete Petrella, ma siete inferiore a Ricci. Voi siete Weber, ma siete inferiore a Mozart, e così via. Io mi contenterei d'essere, in letteratura, Weber, Petrella, Verdi, ecc., ecc. - perchè ci sono mi contenterei di essere anche Lulli! - Sono modesto abbastanza ? Che bel fatto nella storia della stolidità umana - tutte le volte che si vuol abbattere qualcuno, si prende un altro. A Zola si dice: voi non siete Balzac! Quando viveva Balzac, non v'erano vituperi che non s' inventassero per disonorarlo, per renderlo impossibile e come pensiero e come forma - ridete - e come forma precisamente, come hanno fatto - ad infinita distanza da lui, infinitesimali nemici - con Zola - e ad altrettanta infinita distanza - con me. Soyons modestes et sinceres! Eh! eh! Ad un commediografo diranno : Non siete Goldoni. - A Goldoni se vivesse: Non siete Molière. - A Molière: Non siete Terenzio, non siete Pianto. - A Terenzio, a Pianto: Non siete Menandro non siete Aristofane. - Se vivesse ... oh! al diavolo tutti gli sciocchi e tutta la sciocchezza umana che li sostiene! Ed ogni uomo che lavora e pensa come può, si tenga pago di dire : Io sono io - ed è quello che dirò anch'io. - E giuro che non mento ; infatti non posso essere un altro. Ma prendiamoli pure in parola questi imbecilli - per loro già non v'è migliore, più degno epiteto, che la parola imbecille - essi che si valgono del nome di Zola per combatter me - quale opinione hanno poi di Zola? Questo è il bello ! Questo è il colmo ! Essi quando Zola non aveva ancora avuto la fortuna di riuscire ad imporsi - ne ignoravano persino il nome o non volevano neanche sentirne parlare. Il chiasso intorno all' Assommoir li scosse ; ma non sapevano ancor credere alle proprie orecchie. Ci voleva lo scandalo di Nanà perchè essi avessero a persuadersi che uno Zola esisteva. Allora che cosa avvenne? - Oh! il sublime spettacolo del più ridicolo degli spettacoli ! Questi avrebbe voluto stampare, ma siccome non credeva ancora che Zola potesse imporsi - fece la faccia del porco morto, e disse che Nancì era immorale e non si poteva dare al suo pubblico. - Ma quando vi fu chi pubblicò Nanà, e quando il successo diede forza a Nanà - allora, visto che il nome di Zola era una buona speculazione, visto che esso andava anche senza il loro permesso, visto che altri con tal nome avrebbe guadagnato denari non potendosi più stampare Nanà - si stamparono altre cose di Zola, a cui si fece la réclame. - Zola diveniva morale, Zola diveniva un genio ... il di- sprezzato Zola, perchè faceva guadagnar denari.... Ahl ah! ah! - I critici, ossia molti critici! non sapevano neanche che ci fosse al mondo il nome di Zola, qualche anno fa. - Dopo che lo scandalo gli fece del rumore attorno - si dissero: ma bisogna occuparsi di quest' uomo! Ora essi hanno abjurato tutte le loro idee artistiche ... quelle che avevano prima - vedono soltanto Zola, quello Zola che essi forse non capiscono, che hanno vergogna di confessare che non capiscono e accettano ad occhi chiusi - e prendono per arme per abbattere gli altri, veristi, realista; naturalisti, ecc., ecc. - Ma! Zola viene di Francia! Se fosse nato in Italia - allora l'avremmo conciato noi per le feste! Siccome viene di Francia, e a lui importa meno che zero che noi lo accettiamo o no - ne viene di conseguenza che noi dobbiamo accettarlo, acclamarlo, salvo dirne ira di Dio cogli amici - e nel nostro cuore. - In pubblico come si fa? - bisogna dir di si - bisogna accettarlo per vergogna. E così si fa la critica in Italia. - Ed è generosa verso Zola - perchè Zola in Francia è trattato da scrittore immorale, scorretto, illetterato anzi precisamente come ai suoi tempi Balzac - ah! ah! ah! e quindi bisogna riabilitarlo agli occhi del inondo, bisogna sostenerlo contro gli imbecilli della Francia. E quelli che fanno cosi, sono gl'imibecilli dell' Italia - i quali ad uno di noi - a me per esempio - grideranno la croce addosso - e fulmineranno perchè scorretto ed immorale ! Ah! ah! ah! e per sotterrarmi, strilleranno: Voi non siete lo Zola! Oh! scempiataggine delle scempiataggini!

E qui, come viene di suo piede il parlare delle due misure che si usano da noi, per valutare il merito degli scrittori nazionali e degli scrittori esteri! Qui tutti addosso ad un realista o naturalista o verista - per esempio a me - per negargli ingegno, studi, grammatica, libertà di pensiero, ecc., ecc. - ma a uno che viene di Francia: ah! ihn! ehn ! Non uno ha pensato che cosa sarebbe riescito - che cosa avrebbe potuto riescire Zola so fosse nato, se avesse prodotto in Italia. Ma sarebbe tutt'al più un galoppino di casa Treves - e chi sa se lo avrebbero tenuto anche ; chi sa se lo avrebbero tollerato ! - Io scommetto che lo avrebbero messo alla porta! Aver il coraggio di ,scrivere in Francia quando si ha dell' ingegno - anche essendo nella miseria - mi par proprio una cosa poco meritoria. Quando c'è 1' ingegno, là v'è anche la certezza di riescire alla fama e alla ricchezza - sarà questione d'un po'di pazienza, nulla più. La lingua francese essendo la lingua ufficiale del mondo, voi avete appunto il mondo intiero per pubblico, per sfogo dei prodotti del vostro ingegno! Supposto che in Francia tardino ad accettarvi, a riconoscervi, vi accetteranno, vi cercheranno, vi faranno il successo altrove. Zola stesso ne è la prova vivente. Quando nessun giornale a Parigi Voleva saperne de' suoi articoli... quando i suoi libri non si vendevano in Francia, chi gli aperse le traccia, chi gli stampò i suoi articoli, chi leggeva i suoi romanzi ? la Russia. Dite un po' ad un uomo d'ingegno il quale scrive in italiano e non è ancor riescito a farsi un nome qui - che viva con quello .che gli dà la Russia! E anche quando riesce - se egli non scrive delle corbellerie, se non fa del mestiere, se non si dà al falso, qui non vive in nessun modo, finora - perchè dicendo la verità si attira la guerra.... o si guadagna il silenzio dell' imbecillità che qui regna sovrana.... - Ah! Zola, dopo aver scritto alcuni volumi, non aveva bisogno per far la strada che di 500 franchi al mese - e li trovò. Doveva aver bisogno in Italia, dei 500, anche solo di 100 franchi al mese! Gli avrebbero riso sul muso quando pur avesse potuto presentare il disegno di capolavori. Facendo il mestierante o il copista, avrebbe guadagnato molto di più - ma coll'arte, coll'arte sua voglio dire, no, neanche un soldo. - L'avrei voluto vedere io Zola nato e scrittore in Italia, che faccia avrebbe fatto quando presentando il suo primo romanzo ad un editore avesse sentito l'offerta del gratis coll'aggiunta allegra: ma in compenso ve lo illustreremo! L'avrei voluto vedere io Zola quando portandoli secondo romanzo avesse sentito l'offerta di lire centocinquanta ! Vorrei sapere che risoluzione avrebbe presa! L'avrei voluto vedere io Zola, quando per non accettare un'elemosina e per farsi una via, avendo stampato per suo conto, avesse trovato che il suo editore era il primo a fargli la guerra e non gli vendeva le copie, anzi gliele restituiva! - Quando Zola non sarebbe oggi un povero impiegato, tanto per poter vivere in qualche modo e non avrebbe rinunciato per sempre all'Arte, maledicendo l'arte e il suo paese - io mi lasierei... Ne siete persuaso ! Avrebbe veduto allora a cosa gli servivano i suoi famosi reins solides. E poi che cosa avrebbe prodotto in Italia ? Intanto, neppur uno dei suoi volumi. Neppur uno. Cresciuto in questo ambiente soffocante, in una delle nostre piccole città, sotto l'influenza della scuola Manzoniana come avrebbe potuto svilupparsi il suo cervello ? - Anche avendo le migliori intenzioni, non avrebbe potuto far nulla, perchè non trovando modo di farsi conoscere, ed essendo ogni giorno alle prese coi bisogni materiali della vita, nessun sviluppo di cervello, nessun coraggio, niente dell'Arte sua. E questo è tanto certo che anche vivendo in Francia, il suo cervello non potè trovare le vere sue espressioni che quando riescì , a trovare quei tali 500 franchi al mese. Qui non avrebbe trovato che derisione, miseria e morte. - Miseria, morte che avrei trovato anch' io, oltre la derisione, colle mie idee e col mio carattere, se non fossi un operajo ossia se non facessi la corrispondenza nella banca Spagliardi a un tanto l'anno. - Oh! ma quà un altro bicchierino alla vostra salute. - Alla vostra - e adesso parliamo di Zola autore, conte è, come ha potuto manifestarsi, avendo avuto la buona fortuna di prodursi in Francia: Che ne dite delle sue idee sul romanzo e sul teatro ? - Aspettate... ho detto che nei Delitti non ho voluto esprimere tutta la mia opinione su Zola - e allora badate bene, allora, avrei potuto scrivere un articolo critico abbastanza curioso per quei giorni - ma dopo che Zola ha pubblicato quel vo- lume che ha per titolo le Roman expérimental - io non perderei più il tempo a scrivere un'articolo critico su di lui per la semplice ragione ch'egli ha confessato candidamente i suoi peccati. - « Si, lo ammetto, dice Zola, sono caduto nel falso, ho esagerato, non sono stato sage, non sono stato equilibré, ho sognato toutes sortes de choses folles. Ora, dal momento che egli confessa è segno che si pente e quindi bisogna perdonargli. E se si è pentito realmente, i suoi libri avvenire saranno certo qualche cosa di meglio e meno assommants. - Zola può dire tutto quel che vuole in difesa del suo sistema - ma egli scrive di maniera e questo torna molto uggioso. Qualche pagina quà e là non bastano ad assicurarsi ciò ch'egli vuole « la gloria nella posterità. » Egli ha solo un successo di scandalo e di curiosità - ma se egli continua come ha fatto, finora, sopravviverà alla sua fama. E chi ucciderà Zola , letterariamente parlando sarà la sua mania della descrizione. - Egli si difende, va benissimo, ma pel lettore ha tutti i torti, perchè ammazza colle sue descrizioni. Egli, definisce. la description: un état du milieu qui détermine et complète l'homme. Determiniamo e completiamo l'uomo fin che sii vuole ma non abusiamo, in nome di Dio, della pazienza della gente. E si che il modello non manca a Zola, modello, senza del quale io sono per dire,Zola non avrebbe trovato nemmeno la sua strada e questo modello è Gustavo Flaubert - (il Flaubert della Bovary, intendiamoci !) È strano anzi che Zola il quale sa rilevare esattamente i meriti descrittivi di Flaubert, nei lavori propri perda fatto la bussola .... e avete capito. Ecco qui come egli loda Flaubert: « Il est le romancier qui jusqu'ici a employ, la description aree plus de mesure. Chez lui le milieu intervient dans un sag e equilibre : il ne noie pas le personnage et presque toujours se contente de le déterminer. Il est sobre, qualilé rare, il donne le tralt saillant, la grande ligne, la particularilé qui pelai et cela sull'il pour que la lableau soli inoubliable. Verissimo, ebbene, ripeto, cosa strana, dite precisamente il contrario di Zola e avrete detto la verità. Andiamo avanti - io non vi parlerò di quanto c'è di falso (nel senso realista o naturalista che si voglia) nei romanzi di Zola; vi dirò soltanto che, a mio modo di vedere e sentire e per quello che mi risulta dai miei studi - fra sei mesi avrò quarant'anni e credodi non aver perduto il mio tempo - vi dirò che La laute de l'abbi Mouret e la Page d' Ainour sono due impossibilità naturaliste. - Se io dovessi de- finirle le chiamerei : Segni d'un'anima ammalata. Eh! se avessi tempo come mi piacerebbe far uno studio su Zola per dimostrare che egli volendo ottenere certi risultati col seguire la sua formule scientifique ha ottenuto precisamente il contrario e molte volte non ha ottenuto niente! - Per esempio Zola crede e vuol far credere che la nuda esposizione dei fatti basti a far pensare e a condurre il lettore ad una conclusione. Che illusione! Il lettore, bisogna farlo pensare. Zola vuole l' impersonnalitè morale de deuvre L' intervention passionnée ou attendrie de l'ecrivain - secondo lui - rapetisse un roman en brisant la nettété des ligncs, en introduisant un elemeni etranger aux faits qui detruit leur valeui scientiflque. - Quale errore ! - Oh! che cos'è un romanzo ? Siamo realisti e naturalisti anche nelle definizioni. - Un romanzo è un racconto. Or bene - qual' è il modo di raccontare? Ma imaginiamo un uomo che narri a viva voce. - È forse possibile che egli racconti senza far commenti, senza digressioni, senza riflessioni filosofiche ? - Impossibile, e se anche ne farà poche, secondo il suo temperamento, supplirà il sorriso, supplirà l'accento vario, l'aggrottare delle ciglia, insomma suppliranno tutti gli accidenti della sua fisionomia e della sua voce - ma nel libro questo non si può fare, e bisogna spiegarsi, se si vuole che il lettore capisca realmente e precisamente quello che avete voluto dire se no... - il vostro libro che aveva una pretensione,noriesce a nulla. Sapete cosa non farà invece l'uomo che racconta col labbro ? Non fard descrizioni! ah ! questo poi no, perchè le descrizioni non occorrono, ossia non 'occorre che quel tocco, le trail saillant, la particularité qui peint, per cui si vogliono proprio poche parole, altrimenti ogni efficacia è perduta - e azione e personaggi, e attenzione e cervello del lettore, tutto s'affoga miseramente. Ma basta, basta - andiamo a pranzo. - Niente; voglio tenervi qui inchiodato fino a che non mi abbiate detto tutto. Il tema è troppo interessante. Le idee di Zola sul teatro vi sembrano buone ? - In Zola bisogna vedere tre individui distinti: l'autore drammatico - il professore - e il critico dei lavori altrui. Come autore drammatico egli non ha avuto fortuna, nè poteva averla. La Raquin è una nota sola di tetraggine e non può essere tollerata. In arte, qualunque sia il campo,è indispensabile la varietà. - Le due commedie il Pouton de rosa e gli Héritiers Rabourdin sono sforzi d'impotenza comica. Finora Zola non ha dato alcuna prova di avere in sè la nota gaja senza di cui è inutile mettersi in mente di scriver commedie. Non dico che col tempo la gajezza spirituale non possa venirgli ma, è per lo meno lecito dubitarne. Nei suoi romanzi non mancano le situazioni ch' egli presenta per comiche, ma non fanno neanche sorridere. Vi si sente sempre qualche cosa di non naturale, di stentata, sarei per dire di lugubre. Si sente sempre la patte enorme. Ora ridete con quella patte sullo stomaco! Il Zola critico dei lavori altrui è molto severo- ma io non so - come non lo sa nemmeno lui, del resto - che razza di teatro potrebbe venir fuori applicando la formule scientifique. Egli non vuole intrigo - egli non vuole spirito - egli non vuole caratteri simpatici mentre - il bello è questo - il mondo che egli vorrebbe veder ritratto è un intrigo solo - è pieno di spirito e conta molti caratteri simpatici; egli vuole soltanto: enseigner l'amere science de la vie - donner la hautaine on du rèel - egli vuole che une ceuvre dramalique aut la haute nzoralité du arai, soit la lepon terrible d'une enquète sincère - e va benissimo, - ma questo non costituisce il teatro, costituisce soltanto un teatro - e la conclusione a cui viene dicendo: notre théatre sera naturaliste ou il ne sera pas - se il naturalisme deve essere cosi li- mitato, è una conclusione che fa a pugni colla logica. Questa conclusione proverebbe che Zola si crede ma non è un vero naturalista. Un naturalista che ragiona comincia dal prendere in natura gli uomini come sono - e non li fabbrica prendendo per modello sè stesso. Ora gli uomini, come sono, hanno in materia di teatro, bisogni che variano molto secondo i tempi, secondo l' età, e secondo la costituzione di ciascuno. Ma qualunque siano i tempi, l'età e la costituzione, si può giurare che il primo bisogno di tutti è quello di ridere, perchè il ridere fa buon sangue. Colle idee di Zola, buon sangue non, se ne fa a nessuno. Oh! che qualche giorno si senta il bisogno di forti emozioni, chi lo nega? - Ma si può giurare ancora che nessuno ha voglia di andar a ricevere ogni giorno delle lecons terribles. E si capisce perchè. La vità è già per sè stessa una lepon. terrible continua - se il teatro non deve essere anche esso che una continua lecon terrible - meglio prendere il tramway, certo, che andare a guastarsi il sangue. Un vero naturalista deve volere la maggior libertà in arte e la maggior varietà - perchè nell' uomo si trova il bisogno di tutte le sensazioni possibili. E siccome le attitudini degli autori sono varie, giustizia naturale vuole che a ognuno sia concesso il suo campo d'azione - ripeto : il Suo. Altrimenti vi sarebbe privilegio ossia ingiustizia. Dunque diamo tutto, dalla tragedia alla pochade - e sarà meglio per tutti. Non bisogna dimenticare poi che il teatro è un'industria - e non v'è industria che possa vivere senza articoli di moda e senza la maggior varietà immaginabile. Certo io voglio di preferenza il vero sulla scena - ma non disdegno anche il falso, purchè non vi sia abuso nel genere e, del resto, il vero non è solo quello che turba la digestione. Una commedia può essere brillantissima ed essere nel medesimo tempo verissima - ossia istruttivissinia -nel senso Zoliano. Non v'è il terrible ma se ne fa a meno volontieri. Zola è un po. troppo nemico dello spirito e dell' immaginazione... degli altri - e questo lo rende ingiusto senza giovare a lui. E per me è ingiustissimo quando nega le sens du reel a Eugenio Sue - il quale possedeva le sens du reei al più alto grado. Tanto peggio per chi non lo vede. E quando dice che Paul de Koch è morto, dice una cosa non vera. - È il caso invece di dire che morto è più vivo di prima. E se anche fosse morto ossia non più letto, se fosse disprezzato, il signor Zola avrebbe il dovere di rimetterlo in voga perchè Paul de Kock era un naturalista di prima forza — e a mio avviso c' è più da imparare, articolo scienza della vita a leggere Paul de Kock morto che non tanti altri che passano per vivi.- Insomma io sono molto contento che Zola abbia pubblicato il volume del Roman Experimental - e lo applaudo come applaudirò sempre tutto ciò che viene a combattere la bétise et la mauvaise foi ma, in molti punti, mi pare proprio ch' egli abbia fatto gran rumore per niente - ossia solo per far guardar la gente. E se cosi è... ha fatto benissimo, perchè ha fatto il suo interesse! Altrimenti non v'era proprio bisogno di annojar tanto la gente col suo Claude Bernard. La verità e la ragione esistevano anche prima di Claude Bernard e basta essere veri, basta ragionare per scrivere dei romanzi sperimentali. Io non sapeva che cosa avesse scritto Claude Bernard, e tuttavia credo aver scritto dei romanzi scientifici. L'ho detto per ischerzo nei Delitti ma anche una verità. Vi pare? E ora ne avrete abbastanza, spero. - Non ne ho abbastanza ma vedo che siete stanco e non voglio abusare. Una parola ancora, una sola e poi vado. - Qual sistema seguite nel comporre i vostri romanzi? - Per carità, non mi parlate di sistema - mi fate venir in mente un articolo di Paul Aléxis, in cui egli credeva rendere un servigio a Zola, dicendo come quegli metta insieme i suoi romanzi. Mi fa lo stesso effetto che, se trovandomi a tavola, la padrona di casa mi dicesse come si è regolata nel cucinare questo o quel piatto. Mi basta che il piatto sia buono - non voglio sapere che cosa ha fatto il cuoco, altrimenti mi scappa l'appetito. In arte m' interessa la statua, ossia il lavoro completo finito, che si presenta a' miei occhi o alle mie orecchie. - Il solo parlarmi del come fu messo insieme mi toglie ogni illusione. E in arte, tolta l'illusione, non resta nulla. Vi dirò solo che quando mi viene l' ispirazione d'un romanzo - quell' ispirazione è un lampo che mi mostra tutto il soggetto, in un colpo solo. Un romanzo nasce in me ad un tratto completo, colla prima parola ed anche coll'ultima. - Or vado - ma vi prevengo da onest'uomo che riferirò al pubblico tutto quello che m'avete detto. - Fate pure - io non dico che quello che sento e nulla di cui io debba vergognarmi. Or, poichè riferirete, dite anche questo se non vi spiace: che circa le Commedie di cenere nessuno ha ancora veduto quello che sono -cioè il romanzo dell'hunour - Forse premessa tale avvertenza, le Capiranno ora un po' meglio. E se incontrate quel tale che le ha trovate scucite e sproporzionate nelle loro parti diverse, ditegli tante belle cose, e,fra le altre, che con delle buone lenti troverà la cucitura - e che le commedie di questo mondo ,..ono molte e varie. Se una dura un' ora, un'altra può durare un anno. Anzi, ve ne sono di quelle che A tirano la vita intiera d'un uomo, come d'una donna. Addio. - Addio, ma non prima che mi abbiate detto cosa state scrivendo ora di bello. - Ah ! bravo, fatemi un do' di réclame anticipata. Annunziate ai due mondi che mi dò anch' io alla letteratura ermafrodita, che è la letteratura in voga. Sicuro, mi metto la gonnella e prendo il pseudonimo di Beatrice, sotto il quale pubblicherò quanto prima : Caro Poco e Caro fico! - Roba per le signore ... - Oneste. - Non vi par tempo che io scriva anche per le signore oneste ?

Me ne andai pensando che se una certa critica, invece di dire delle corbellerie sul conto di Tronconi, senza conoscerlo bene, e sui suoi libri, non di rado senza leggerli, avesse aperta discussione, non vi sarebbe il pregiudizio stolto che vi è intorno a questo nome. E l'Amore a fondo perso - e l'Evelina - e la Passione Maledetta - e le Madri per ridere - e le Commedie di Venere sono libri che hanno un motivo di essere , perché hanno uno scopo - non sono le frivolezze solite e dovrebbero formare la vera lettura dei pratici, molto più utile certo che non tanti libri detti morali. Se Nanù va dappertutto ormai, con pari ragione devono andar da per tutto i romanzi di Tronconi - e l'essere roba italiana dovrebbe essere anzi un buon motivo per leggerli e discuterli. E qui per chiudere non posso servirmi di parole migliori di quelle dell'amico critico della Perseveranza : .« Il Tronconi è entrato arditamente nella via "aperta dall'arte nuova ; ed appunto in ragione

"della sterminata arditezza doveva aspettarsi tutti "

" gli ostacoli che l'abitudine, la pedanteria, la malevolenza, la caparbietà, l'ignoranza pongono a tutti i novatori. « Il Tronconi ha voluto rompere colle formole, colle convenzioni, colle trivialità, ed ha tenuto parola con coraggio degno di miglior sorte: al! quale i veri artisti, quelli che amano le belle aritezze dell'ingegno, devono applaudire. »

E questo - signore e signori - è il mio amico Tronconi. Voi vedete, io l'ho vivisezionato col sistema più gentile che sia di moda in questi giorni : col metodo cioè dell'intervista e del dialogo a quattr'occhi, che passando nelle orecchie del giornalista di mestiere - gli sdrucciola sulla penna - e dalla penna sulla carta; ond'è che diecimila persone diventano spettatori del duo intellettuale — e la rap- presentazione dalle scene modeste d'una camera en garcon, discende nell' immenso proscenio della pubblicità italiana. - Il sistema - diranno alcuni - il sistema dei giornalisti di spirito che lo applicano a qualche illustre personaggio ... - Ecco qui, per esempio: in punto d' illustre, io non so se Tronconi lo sia; amo anzi credere che no, poichè io le illustrazioni di qualunque genere - le odio con uno slancio ineffabile del cuore. Ma so invece che in tutti i colloqui artistico-letterarii che io m'ebbi in questi ultimi tempi con parecchie celebrità convenzionali della penna - una, non ne ho udita - non una - che parlando, dilettasse e dilettando persuadesse come me dilettò e persuase la sfogata di Cesare Tronconi. Eppoi un'altra cosa mi preme qui aggiungere a mo' di chiusa; ed è che al mio antico amico - o tosto o tardi - un pegno del mio affetto lungo e tenace voleva darlo ad ogni costo. Stavolta la opportunità si affacciò, ed io l'acciuffai per i capegli. Ed ora che ho messo le carte in tavola - tanto meglio. In mezzo alle vecchie ed alle nuove tregende dell'arte - era bello, era decoroso eh' io mi ricordassi di questo solitario gentile - che fa l'arte - e non il mestiere - che fa lo scrittore e non il pubblicista - che flagella sorridendo - e accoppa la società con un bacio profumato d'adultera o con una stretta appassionata di cortigiana. Freddo e compassato al di fuori - vivamente affettuoso al di dentro - Cesare Tronconi - meritava bene che gli dedicassi un terzo di giornata o che in questo terzo buttassi giù a rotta di collo un volumetto senza pretese - ma saturo però di quella che si chiama la convinzione ...

Ed ora, o libretto, va - va nell'urbe - nell'urbe morale d'Italia - e parla ai seguaci del bello e del vero una cordiale parola - e di' loro - qualunque sia la scuola che li ha discepoli - che se i ciarlatani della letteratura ed i cavadenti dell'arte sono oggimai innumerevoli -c'è ancora però qualche buona testa organizzata, e qualche ferrea volontà che ajuta la prima - testa e volontà che non si commuovono agli applausi e non si curano dei fischi ... Ah si, se ne curano pel bel gusto di provarli al corista della Scala e constatare che sono calanti. Onde la conclusione di queste teste e di queste volontà, che siamo in perfetta degenerazione di tutto, anche dei fischi ... Di' loro - che lungi dal carrozzone dei Dulcamara e dalla gran cassa del suo Sosia - queste teste e queste volontà guardano pallide ed inconcusse verso l'avvenire - e non disperano di nulla - perché loro rimane ancora una fede - la fortissima di tutte - la fede nell'umanità. E di' loro infine che Cesare Tronconi - è una di queste teste, una di queste volontà.