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Fra cantanti

DI

Ferdinando Fontana

MILANO CARLO ALIPRANDI Editore Via Stella, 9-10 Ritratto di Ferdinando Fontana Fra cantanti

RACCONTI DI

Ferdinando Fontana

MILANO CARLO ALIPRANDI, Editore Via Stella, 9-10 L'editore CARLO ALIPRANDI si riserva tutti i diritti di proprietà letteraria secdondo le vigenti leggi.

Stab. Tip. dell'Editore CARLO ALIPRANDI Milano, Via Stella, 9-10 Premiato alle Esposizioni Riunite di Milano 189 Diploma di I grado - Medaglia d'Oro BEL CANTO ITALIANO.

Una giornata piovosa di maggio. Le finestre, ch' eransi aperte, fidandosi nel nome del mese, avevano dovuto ritapparsi ai freschi postumi. La vecchia guardia dell'inverno.... gelava ancora le sue ultime cartuccie. La Galleria Vittorio Emanuele era affollata. Potevano essere le due pomeridiane soltanto, eppure già in alcuni ammezzati brillavano dei lumi. Verso la cupola di vetro dell' ottagono, da cui pioveva una luce scialba, saliva un ronzio incessante e monotono. E pensare che quel ronzio era il risultato delle mille voci, le quali, secondo i giornali teatrali, avevano entusiasmato tutti i pubblici del mondo! Infatti, dal Caffè Biffi, io vedevo stilarmi dinnanzi tutta la processione degli artisti da teatro e... affini : tenori, baritoni, bassi, agenti, mezzi agenti, sedicenti agenti, professori d'orchestra, maestri concertatori, coreografi, corifei, tramagnini, cornici, coristi, ballerine e ballerini... e chi più ne ha più ne metta. Tornavano allora nella capitale teatrale d' Italia — del mondo si può dire — dopo la stagione del carnevale, la sola, l' unica sulla quale, in fondo, conta tutta la virtuosa caterva. In generale, perciò, non si vedevano volti spartiti ; molte labbra recavano, con una certa baldanza, un sigaro; molti sparati d'abito rimanevano aperti per lasciar ammirare la catenella dell' orologio! Oh ! gli orologi degli artisti da teatro ! Essi, in fondo, non restano coi loro proprietari che nei giorni di felicità... Ma i giorni di felicità volano così rapidi, che, allora, l'orologio è inuti!e!... La Provvidenza, quindi, con sapiente delicatezza, li… allontana dagli artisti quand' essi potrebbero servir soltanto a contare le ore di amarezza! La processione ingrossava: chi, chiaccherando, agitava le mani frequentemente per mettere in evidenza gli anelli della serata; chi, a difendere l' ugola preziosa, teneva un fazzoletto alla bocca ; i ballerini si distinguevano per i berretti di pelo e per i pantaloni stretti, in modo da far spiccare le ben tornite polpe. E nuovi artisti giungevano da ogni parte: dalla Piazza del Duomo, da quella della Scala, da san Raffaele da Santa Margherita. Entravano in Galleria battendo i piedi sulla segatura di legno posta agli ingressi e scuotendo l'ombrello lucido per la pioggia. I colori delle pietruzze del pavimento alla veneziana apparivano più vivaci per l' umidità, ma a poco a poco scomparvero affatto sotto i piedi della folla. Il ronzio diventava sempre più fragoroso; ma, in quel frastuono di voci, le parole, che più di frequente risonavano, erano : scrittura, opera nuova, messa in scena, fiasco, protestato, beccato, cane, fanatismo, buggerio, fischiato, sfiatato, pubblico, giornalisti, orchestra, finale, duetto, agenzia, serata, quartale, impresario, scappato... Poi erano nomi di città, di opere, di balli, di drammi... Ad un tratto, in mezzo dell' ottagono, fendendo la folla, e dirigendosi verso il caffè Biffi, comparvero due signore. Una era vecchia, alta, secca, dal naso leggermente aquilino; due grossi riccioli giallo-biancastri le dondolavano sugli zigomi. Vestiva semplicemente di nero. L' altra era una giovane... Un amore ! Tralascio di descriverla, perchè, per me, le donne belle sono come le belle opere d' arte : bisogna vederle. Vi ho detto che era un amore e mi pare che potrebbe bastare. Soggiungerò soltanto che appariva fiorente di vita e di salute : carnagione rosea, labbra tumide, portamento deciso, quasi fiero ; tutto quell'insieme, insomma, che è segno di ciò che i francesi chiamano une riche nature. Quanto al suo abbigliamento, ciò che di esso attirava maggiormente gli sguardi era una di quelle giacche da donna, tanto alla moda a quell'epoca, ed eran chiamate bornuses. Immaginatevi un taglio di panno nero ed opaco, che stringe la vita con una linea rapida, cade sui fianchi con due larghissimi volanti a mille pieghe, e imprigiona l'avambraccio, per finir poi in due vaste maniche; immaginate, su queste maniche e su quei volanti, mille rabeschi d' oro, dalle foglie massiccie, dai grappoli d' uva intensi, dai fiori leggiadri e bizzarri, ed avrete un'idea della bornuse della fanciulla. Strana associazione delle idee, chi potrà mai spiegarti? Quei rabeschi d'oro, su quel fondo nero ed opaco, mi facevano pensare alle scintille, che spiccano, brillando, sul fondo fosco e indefinito delle larghe cappe dei camini di campagna ; mi facevano pensare a quei giuochi d'ottica che, bambini, si provano appena a letto prima d'addormentarsi, stringendo le palpebre e comprimendo delicatamente gli occhi colle mani. Quella bornuse era una fantasmagoria orientale: orientale per la bizzaria del disegno ; orientale per la ricchezza, per la prodigalità del prezioso metallo che vi stava trapunto.

Chi mi presentò alle due signore fu un amico... Un amico?... No; questa parola la si spreca pur troppo per gente che non la merita! Ce n'è un'altra nella lingua italiana, che si può efficacemente applicare a coloro che si salutano per via per averli conosciuti in un caffè, in compagnia di gente con cui si hanno delle relazioni superficiali : questa parola è conoscente. Se due giovani, scontratisi una sera, dopo aver parlato un po' di tempo non diventano amici, potete star certi che si incontreranno migliaia di volte, che avranno occasione di parlarsi migliaia di volte, ma non resteranno mai altro che conoscenti. Ora il signor Arrigo C*** devesi porre, a mio riguardo, in tale categoria. A Milano vi sono dei giovani, che vestono con eleganza, che ci tengono immensamente ad essere belli ; anzi il popolino dice che essi fanno il bel giovane di professione. Essi, lo si sa, non vivono di rendita ; eppure spendono assai, frequentano tutti i teatri, non mancano mai alle prime rappresentazioni. — Di che cosa vivono costoro? — Costoro coltivano con amore una piccola industria. Mi spiego : raccomandandosi a migliaia di persone, importunando impresari, giornalisti, cantanti e direttori di teatri, essi ne ottengono dei biglietti di favore. A poco a poco riescono a far stampare qualche banalissimo articolo su qualche giornaluccio teatrale: poi, dopo non pochi sforzi, penetrano sul palcoscenico; fanno la corte alle ballerine e alle prime donne, ne diventano i fanti di cuore, corrono d'agenzia in agenzia, rompono le scatole a tutto il mondo per farle scritturare. Coll' andar del tempo riescono a scritturarne qualcuna direttamente, senza bisogno dei veri agenti, per conto di qualche impresario; il loro nome viene ogni dì più conosciuto e, allora, possono calcolare su qualche benefizio, hanno una clientela assicurata, clientela piccola, è vero, ma meglio poco che niente ! Questi mezzi agenti, questi broglioni, questi importuni, capaci di aspettarvi un' ora al caffè per un ingresso di favore o per un palco, si aggirano però sempre su un perno; sono impiegati a ottanta, a novanta, a cento franchi il mese in qualche studio privato, o in qualche amministrazione pubblica. Di solito, oltre essere di una bellezza da vetrina da parrucchiere, essi sono anche di un' ignoranza crassa : parlano a frasi da giornali teatrali; vi lisciano, vi adulano con una bassezza stomachevole, o vi calunniano colla viltà più bugiarda. Questa specie di giovani da qualche anno si applica anche ad un altro genere di industria più piacevole e più lucrosa. Ognun sa l'immenso contingente di tenori, di bassi, di contralti e di soprani che da qualche tempo l'estero manda a educarsi in Italia. Uomini e donne d' ogni nazione piombano qui per imparare il bel canto, pieni di illusioni e di speranze. Orbene, che fanno i nostri mezzi-agenti? Li attendono al varco. C' è da supporre persino che abbiano dei corrispondenti in tutto il mondo, dai quali sono fatti avvertiti d'ogni merlo che spicca il volo verso l'Italia, tanto è istantanea la loro prontezza nel circuirli, appena uno di questi merli raccoglie le ali alla stazione. Ma il sesso che rende meno ai nostri giovinotti sono gli uomini. Essi si attaccano quindi con ogni arteficio alle donne. Suggeriscono alla nuova arrivata le camere mobigliate e prendono la provvigione dalla padrona di casa; indicano un maestro di canto a dieci lire per lezione e ne percepiscono la stecca; comperano la musica presso gli editori per tre e la fanno pagare quattro alle loro clienti. E, fra i benefici non indifferenti, hanno poi quello di essere spesso invitati a pranzo e di ricevere dei regali. Essi sono dotati di un occhio fine e perspicace. Vogliono delle straniere con quattrini e belle. Spesso, anzi quasi sempre, il fuoco del nostro sole finisce a far bollire il sangue alle clienti, e allora... Ma non entriamo in certi argomenti ; facciamo parlare i personaggi : la cicalata generale minaccia di diventare troppo lunga.

Voi capirete subito ora chi fosse Arrigo C*** quando io vi dirò che egli era appunto uno di questi mezzi-agenti. Egli mi presentò alle signore Howard ; ma io venni accolto da loro assai freddamente. A quell' epoca, debbo confessarlo per altro, ero molto trascurato nell' abbigliarmi. Mi ricordo d' un certo soprabito! Basta, lasciamola lì. Pare che a quelle signore garbassero meglio i giovani azzimati come Arrigo: ciò non pertanto mi invitarono ad andarle a trovare, e vi andai. Allora ero giovanissimo, e vi dirò schiettamente, che il bel volto di miss Anna (così si chiamava la giovinetta) mi aveva fatto impressione. Questa impressione svanì ben presto allorchè ebbi campo di avvicinarla. È inutile !... Sbaglierò... ma io ho sempre preferito una donna brutta e intelligente a una donna bella e sciocca. Purtroppo, le donne intelligenti sono tanto poche !... Ora miss Anna era una sciocca; sua madre lady Elisabetta (avrete già capito che parlo della vecchia) alla sua età doveva essere stata una sciocca anche lei; ma adesso, gli anni (gran maestri gli anni !) le avevano appreso qualcosa. Con lei si poteva per lo meno scambiare qualche parola. Fin dalla prima visita seppi la loro storia e la ragione della loro venuta a Milano ; una storia semplice e una ragione molto poco.... ragionevole. Erano d' una cittaduzza della Scozia ; recatesi ad Edimburgo, per assistere una vecchia parente moribonda, moribonda, e guarita la parente, una sera eransi recate al Teatro. E miss Anna. da quella sera, era stata presa da una mania: quella di diventare una celebre artista di canto. La madre cercò di dissuaderla; ma non ci furon santi ; la ragazza tanto fece e tanto disse, che la buona donna si recò da un artista italiano, che cantava a quel teatro, e gli palesò la volontà della figlia. L'artista fece mostra di provarle la voce, le presagì la più brillante carriera e consigliò le due signore a venirsi a stabilire in Italia, il solo paese diceva lui) dove si possa apprendere a perfezionare il bel canto! Lady Vittoria da quel momento cominciò anch' essa a cadere nella rete dei sogni di rosa. Vendè quel poco che possedeva, raggranellò alcune migliaia di lire e venne in Italia colla figliuola. L' artista-consigliere aveva dirette le due donne al signor Arrigo C***. — E’ uno dei più accreditati agenti teatrali d' Italia — aveva egli esclamato. — Vi troverà maestri, protezioni, scritture ! Fra un anno vostra figlia debutterà, poi... pioveranno i milioni. Da tre mesi le disgraziate si erano stabilite a Milano...

Arrigo C*** aveva procurato le stanze mobigliate ; Arrigo C*** aveva pensato a trovare un maestro a dieci lire per lezione: Arrigo C*** comperava gli spartiti per la giovane allieva; Arrigo C*** le dava ripetizione Arrigo C*** la accompagnava al teatro ; Arrigo C*** pareva il padrone assoluto di quella casa.... Ma, per miss Anna, Arrigo C*** era qualche cosa di più. Io me ne accorsi in breve. Altrettanto ella aveva in uggia me, altrettanto altrettanto dimostrava di essere tenera per Arrigo quando ne parlava ed egli era assente, diventava rossa ; quando egli si muoveva per la sala, ella non l' abbandonava mai collo sguardo. Io pure avevo la mia parte di consolazione. La vecchia mi prendeva in simpatia ogni dì più. Era noiosa alquanto, è vero! Non parlava che dei talenti di sua figlia; mi ripeteva gli elogi del maestro ; era entusiasta per i progressi incredibili che ella aveva fatto in così poco tempo;... ma in quella povera signora c' era tanta bonomia, tanta buona fede, tanto affetto di madre, che le si sarebbe perdonato ogni cosa. Quante volte io le vidi spuntare le lagrime agli occhi, allorchè miss Anna, ritta al pianoforte, miagolava:

Tutte le feste al tempio Mentr’ io precava Ittio, Pello e crazioso un ciofine S'offerse al cuarto mio! Ho detto miagolava; ebbene, sì, miagolava. E’ il verbo che ci vuole per descrivere la voce di miss Anna. Bastava sentirla due minuti per dire: Costei non sarà mai neppure una mediocre artista! Ma Arrigo, appena finito il pezzo, pareva invasato d'entusiasmo; i divinamente, gli stupendamente, i brava, gli piovevano dalle labbra, come frutti maturi da un albero scosso. Sulle prime credevo che Arrigo, innamorato di Anna, avesse, oltre la benda agli occhi, anche quella agli orecchi ; ma una notte ci scontrammo per via; egli era allegro, molto allegro : mi invitò a bere un punch, e accettai. Sedemmo a un tavolino della Birraria Nazionale. Egli aveva il viso stravolto, gli occhi lucenti come il talco degli attrezzi teatrali. — Cos' hai? — gli chiesi. — Nulla! — Sei forse innamorato? — Che! — Eppure m' era parso.... — Che t'era parso? — Che tu fossi innamorato di miss Anna. Egli scappò in una risata che aveva del satiro. Poscia soggiunse: — Quella stupida! Quella scozzese sfiatata! — Ma... — Con quella vecchia barbogia... — Come? — Non ne posso più che la finiscal... Indi brontolò fra i denti: — Ancora cinquemila lire e poi... Fu allora che compresi la sventura che pesava sopra quelle donne, la scelleraggine di cui esse, ingenue e confidenti, neppur per ombra sospettavano. — Tu sei un tristo soggetto — dissi ad Arrigo, alzandomi ed allontanandomi. Sulla porta della birraria lo udii sghignazzare e gridarmi: — Ognuno fa i propri affari ! Va là, imbecille, fa pur dei versi

Che dovevo decidere? Svelare gli infami disegni di Arrigo alle due donne, aprire loro gli occhi o tacere?... Ci pensai qualche giorno, e decisi di appigliarmi all'ultimo partito : non già per vigliaccheria, non già che io temessi l'inimicizia di Arrigo, lettori, ve lo giuro ; ma perchè mi convenne riflettere; che se io avessi fatto altrimenti, le cose non avrebbero perciò mutato d'aspetto; anzi, Arrigo ci avrebbe guadagnato. Coi suoi complici, persone assai rispettate in società, gli sarebbe stato facile provare che le mie erano calunnie e le donne, dopo la vittoria, avrebbero raddoppiata la fiducia riposta in lui. D'altronde v' è un atto di coraggio dinnanzi al quale verrebbe meno il fortissimo fra gli eroi : quello di dire a un artista — specialmente di canto, e specialmente se donna : « Voi non siete nato per l' arte ! È inutile che vi ostiniate! »

Verso la metà di luglio lady Elisabetta ammalò gravemente. — Le mie visite allora si fecero più frequenti. — Che volete ! Dopo la triste rivelazione di quella notte, io mi ero affezionato ancora di più alle due scozzesi. Le mie premure per la madre malata resero meno aspra con me anche miss Anna. Arrigo parve anch' egli raddoppiare di attenzioni verso la famiglia Howard. — Atteggiava il volto ad una melanconia così ben simulata che un giorno io provai uno strano desiderio di schiaffeggiarlo. Mi trattenni a stento. Egli fingeva di non accorgersi del mio contegno verso di lui dopo il colloquio della birraria. Per alcuni giorni il medico disse che la malattia di lady Elisabetta non era leggiera, ma che non era il caso di allarmarsi. Dopo due settimane, parve farsi più misterioso, più circospetto nelle frasi. In capo a un mese mi chiamò a parte e mi confidò che lady Elisabetta non aveva che una notte di vita.

I moribondi hanno strane intuizioni. — Allorchè quella sera Arrigo, col volto compunto entrò nella camera della malata, allo scricchiolare della porta, lady Elisabetta apri gli occhi, e lo vide. Alzarsi a mezza vita sul letto, tendere lo scarno braccio, che nell' ombra pareva il ramo secco d' un albero su un cielo fosco, fu un istante. La moribonda gridava ad Arrigo: — Va via! Va via! A quell' atto la fanciulla impallidì e si coperse la faccia con ambe le mani. Arrigo scomparve. Quando fummo soli, la malata ricadde sui guanciali, nascose la testa fra le coltri e cominciò a tremare in tutte le membra, mormorando parole nel suo linguaggio nativo. Miss Anna mi si avvicinò. — Fu quella la prima volta, che mi porse spontaneamente la mano. — Ditemi tutta la verità! — disse a fior di labbra. Io piangevo. — Ho capito ! — ella soggiunse. Quella notte non la scorderò più. Ho per fermo che le impressioni che n'ebbi, si ripeteranno nel mio cervello quand' io sarò per morire. Morire! — Pensare che agonizzerò anch' io come quella vecchia.

A mezzanotte venne il dottore; ordinò un cordiale, per adempiere, disse, agli ultimi uffici della scienza. Lady Elisabetta si riebbe. Aprì gli occhi, attirò il capo della figlia sul proprio petto e lo coprì con ambo le mani. lo ne vidi le unghie cinerognole. Ella mormorò in inglese al dottore: — Assistetemi. E a me: — Questa ragazza non ha più che quattro mila lire. Sono qui. E con un lieve movimento del capo indicò al lato destro dell' origliere. Pianse alcuni minuti, poi soggiunse : — Poveretta ! Indi, volgendosi nuovamente a me, sospirò. — Voi le vorrete bene! Io vi conosco.... Non parlò d'Arrigo; stette mutola gran pezzo, come assorta in un letargo sereno. Nessuno di noi aveva osato di muoversi temendo di destarla. La testa della fanciulla posava sempre sul petto della madre. All' orologio di San Carlo scoccarono le cinque del mattino. Quei rintocchi risvegliarono la malata. Essa riaprì gli occhi che parevano di cristallo appannato. — Torna in Iscozia ! — diss' ella fievolmente, movendo le dita e intrecciandole nella folta capigliatura della fanciulla. Furono le sue ultime parole; il rantolo dell' agonia incominciò. — Alle sette era cadavere.

Miss Anna non tornò in Iscozia; miss Anna amava Arrigo. Allora io cercai di disingannarla; le narrai il colloquio della birreria ; le ricordai la scena dell' ultima notte ; la supplicai, in nome di sua madre, ad abbandonare l' Italia. Il frutto delle mie parole fu che ella mi odiò e mi proibì l'accesso di casa sua. Arrigo l' aveva affascinata ; egli le avea fatto mille promesse: le avea detto che io ero un calunniatore e, per provarglielo, l' aveva baciata ; avea giurato, a lei, orfanella, di tenerle luogo di padre, di madre, di fratello; era riuscito, e senza grandi sforzi, a convincerla che sarebbe stata pazzia il perdere il frutto di tanti giorni di studio ; le avea dipinto i prossimi trionfi ; insomma, aveva vinto.

Erano corsi quattro mesi dacchè io non avevo più visto miss Anna, allorchè, in un giornale della sera, lessi le seguenti parole: « Quanto prima al Teatro Carcano nel Faust debutterà, dicesi, una gentile signorina scozzese: miss Anna Howard. » Attesi invano il debutto. Il carnovale passò, venne la quaresima e con essa la primavera. La Galleria si ripopolò d'artisti e io non mancai al mio posto d' osservazione. Ma una sera, stanco della folla, ruminando dei versi, uscii verso la contrada di San Raffaele, per dirigermi dirigermi al mio passeggio prediletto nelle ore della notte, i Bastioni di Porta Venezia. Sull' angolo della via Santa Radegonda fui obbligato a fermarmi. Passava un omnibus, un onnibus lento, eterno, e che, per mia disgrazia, aveva sospesa la corsa proprio dinnanzi a me, per lasciar discendere un viaggiatore. Attesi due minuti con impazienza ; finalmente quel bizzarro sipario di legno si tolse ai miei occhi e potei rivedere la via del Mangano. Ivi si trovava un buon numero di persone che, a quanto pare, erano state obbligate dal carrozzone antidiluviano alla mia stessa pena. Tra queste persone, le quali, sparpagliandosi, mossero verso di me, notai una fanciulla poveramente vestita, ma passai oltre. Fu ispirazione? Fu magnetismo? Chissà? Fatto sta che dopo dieci passi, mi venne una voglia irresistibile irresistibile di tornar a guardare quella fanciulla e voltai la testa. S' era fermata dinnanzi a un fornaio, sul crocicchio della via e guardava immobile, della vetrina. — Ma io la conosco questa giovinetta! — pensavo fra me, osservandola. — Ma sicuro! è lei! E me le feci daccanto. Era miss Anna Hovard... che aveva fame !

Triste storia! Voi la intravvedete, ne son certo. Arrigo l' avea resa madre, le avea fatto spendere altre due mila lire per la sua educazione artistica, poi le aveva dato a sperare in un prossimo debutto al Carcano. Ma l' impresario era un usuraio (aveva detto Arrigo ) ; le porte del teatro non le si sarebbero aperte, se non battendovi con un sacchetto di lire. L' usuraio pretendeva duemila franchi, gli ultimi che le rimanevano. — E tu che mi consigli? — avea chiesto la fanciulla inesperta al suo amante. Egli le avea risposto: — Dio tolga ch'io voglia esser causa di sventura. Ma... — Ma? — Ma giacchè si tratta di un teatro, che può aprirti una carriera splendidissima ; giacchè la tua educazione è compiuta, io direi.... — Diresti? — Direi di fare anche quest' ultimo sagrificio. Miss Anna diede ad Arrigo i duemila franchi da portare all' impresario. L' indomani Arrigo ed il denaro erano scomparsi. — Ed ora? — chiesi a miss Anna. — Ho scritto in Iscozia ad una vecchia parente; le confessai tutto. Ella m' ha risposto ch' io non speri giammai d'essere nuovamente accolta fra le sue braccia.... — Poveretta ! — Ma ho una speranza! — Quale? — La mia vecchia parente ha una figlia che ha aperto magazzeno di fiori a Francoforte e m' ha proposto di spedirmi il denaro per recarmi in quella città, qualora io accettassi di diventare operaia di sua figlia. — E tu? — Ho accettato; attendo il denaro. Quando miss Anna partì per Francoforte l' accompagnai alla stazione. Negli ultimi momenti, guardandola, m'accorsi d' una strana cosa. Ella portava ancora quella bornuse, che io avevo tanto ammirato la prima volta.... Ma i rabeschi d'oro erano scomparsi; di essi non rimanevano che pochi fili di refe, con cui, un tempo, erano stati cuciti sul panno ; e quei fili rossastri, a volta interrotti, tracciavano i contorni dei fantastici disegni d'oro, dei fantastici sogni, stavo per dire, che vi stavano un giorno ! I grappoli, le foglie, i fiori c' erano ancora, ma accennati da quel poco refe trito e da quella impronta che serba il panno, stato coperto per qualche tempo e quindi maggiormente maggiormente conservato. Pareva che l' oro di quei fregi, di quei sogni, fosse stato strappato da una mano rapace, insaziabile, inesorabile nella sua insaziabilità ; da una mano, che avrebbe fors'anco graffiato a sangue le carni di quella poveretta, se avesse supposto che da esse potesse spicciare un po' d'oro.

Dov'è andata a morire miss Anna? Chi lo sa?... I cacciatori colpiscono spesso una allodola e la vedono cadere ; corrono per raccoglierla, e non la trovano più ; frugano per tutto il campo, e le indagini riescono infruttuose. La povera bestiola è morta certamente ; ma dove mai è dessa andata a morire? In quale interstizio di zolle ha dessa nascosto, spirando, la piccola testa? Orbene, vi sono degli esseri che muoiono come le allodole. In qual fossa sono essi sepolti? È un mistero.

MORALE.

Io non sono ambizioso, ma vorrei che questa novella, fatta sul vero, fosse tradotta in tutte le lingue. Quante lagrime, quante delusioni e, diciamolo pure, quante infamie potrebbe prevenire? Artisti stranieri, venuti a Milano per imparare il bel canto e debuttare, ditelo voi ! UN MARITO COLOR NOCCIUOLA.

Affè mia, che a venticinque anni io ero un bel ragazzo ! Quando mi capita sott’ occhi un ritratto di quell' epoca, coi capelli folti, collo sguardo penetrante e colle labbra tumide, coperte da due baffi neri, appuntiti e rivolti all' insù, mi vien da piangere, pensando che ora ho i capelli bianchi e radi, che i miei occhi non hanno più palpebre e baleni e che i miei baffi sono candidi come il cotone e ispidi come la stoppa. Ma per Satanasso, mi resta una consolazione! Quella di non aver perduto il mio tempo. E se ora ho la voce rauca e catarrosa, vi garantisco che da giovinotto potevo vantare una delle più belle voci di tenore che si desiderino dal più schifiltoso dei pubblici. Nel 1845 cantavo a Vienna al Teatro Imperiale, allorchè una sera, rincasando, trovai un dispaccio, speditomi da l'est, che diceva: « Venite subito — 15 mila fiorini per stagione — Vi aspetto.... » Il mio contratto per il teatro di Vienna era scaduto la sera stessa. Guardai l'orologio. Erano le 11. — Avevo tempo di far le mie valigie comodamente e di partire colla corsa delle 3 antimeridiane. Mi posi tosto all'opera e, in capo a due ore, i miei bauli erano allestiti. Feci venire una carrozza ed era il tocco dopo la mezzanotte allorchè entrai nel caffè della stazione, dopo aver consegnati i bagagli. La buona fortuna di aver trovato un brillante contratto, l' aver cantato la sera e l' attività spiegata nel far i bauli mi avevano messo appetito e ordinai da cena. Mangiai per quattro, bevvi per due e, avevo appena finito di pagar lo scotto, allorchè l' impiegato della ferrovia venne ad avvisarmi che il convoglio per Pest era pronto. — Mi sdraiai in un corpo di prima classe, accesi uno zigaro e, pieno di beatitudine e assorto nei rosei sogni della digestione, aspettai la partenza del convoglio. Erano cinque minuti ch' io stavo in tale posizione, quando entrò nel mio scompartimento una signora. Ella salì con aria turbata e con visibile premura e, passandomi dinanzi, senza degnarmi di un' occhiata, andò a sedere al posto più lontano da me. Appena ella fu seduta, un signore piuttosto vecchiotto e pieniccio della persona, si affacciò alla portiera in atto di chi cerca qualcuno. Parve soddisfatto della propria occhiata, perchè entrò frettolosamente e andò a sedere dinanzi alla signora, guardandola attentamente. La signora avea il volto coperto da uno spesso velo nero. Vestiva tutto di nero e, all' apparire del personaggio.... vecchiotto, fece un atto di visibile impazienza. Il convoglio si mosse; io m' accorsi d' aver lo zigaro fra le labbra e volgendomi all' incognita, le domandai in tedesco, con quella grazia che solevo aver colle dame : — La signora vuole che io spenga lo zigaro? — Certamente! — ella rispose nell' istesso idioma, volgendo verso di me la faccia velata. Il velo che portava era talmente stretto sul suo viso che ne disegnava il profilo, lasciando intravedere un mento bianco come l'alabastro e di fattura squisita. Attraverso le trine io scorsi due baleni, che mi fecero scorrere un brivido per tutto il corpo. A quell' età io possedevo un sistema nervoso sensibilissimo! Gettai a malincuore lo zigaro dalla portiera; ma, come ben potete immaginare, cominciai a fantasticare in mille guise. — Chi era quella signora che dava delle risposte così laconiche?... Chi era quel signore?... Era essa bella?... Era egli suo marito?... Cercai di addormentarmi e sperai di riuscirvi. Il treno correva rapidamente; i dolci vapori della digestione, sfumando a poco a poco dal mio cervello, lo lasciarono in perfetta calma ; il monotono rumore degli stantuffi del vagone mi conciliavano il sonno ed io stavo già per abbandonarmi in braccio a Morfeo, allorchè un brusco movimento della signora mi scosse. Ella aveva lasciato il suo posto e si era portata d' un passo più vicina a me, mormorando alcune parole con piglio rabbioso. Dal canto suo il vecchiotto s’ era mosso anch' egli dal suo posto, per andare nuovamente a sedere dirimpetto alla signora. — Ahimè !... — pensai — questi due, certamente, sono marito e moglie corrucciati fra loro. Dio non voglia ch' io debba assistere alle tenerezze d' una riconciliazione ! In ogni modo, alla prima stazione di fermata, piglierò la mia valigia e me ne andrò in un altro compartimento ! A quell' età, come è naturale, non mi sentivo disposto ad assumere quegli impegni, che, in simili congiunture, spettano alle terze persone. Ad un tratto la signora, rivolgendomi la parola, esclamò in tedesco : — Signore, mi perdoni, se, non avendo l' onore di conoscerla, oso far appello alla di lei gentilezza e cavalleria. — Signora — io balbettai, non senza meraviglia, nell' istessa lingua — parli pure, eccomi ai suoi comandi. — La prego di dire al nostro compagno di viaggio, a quello scimunito che mi sta dinanzi, di non importunarmi più oltre colle sue galanterie. Il sentirmi schiacciare continuamente i piedi e toccare le ginocchia, l' essere perseguitata con impudenti occhiate e con più impudenti parole, non sono cose che mi garbano e glil' ho già detto più volte. Ma giacchè il signore non la vuoi smettere e abusa della mia debolezza di donna, assuma lei, uomo e cavaliere, le mie difese e gliela canti chiara. — Signore — esclamai io allora, componendo il volto a gravità, contentissimo di poter entrare nelle grazie dell' incognita, sfoggiando una delle doti più care alle donne, la cavalleria — signore, ella ha inteso quanto la signora ha avuto l' onore di dirmi. La prego a ricordarsi che l'abusare della pazienza d'una dama, che viaggia sola, non è azione da gentiluomo. — Misuri le parole — mi rispose in tedesco l' accusato, col viso rosso per la vergogna e per la collera — misuri le parole, le ripeto. Io so meglio di lei come debba comportarsi un gentiluomo. — Tanto meglio — io risposi — e in tal caso non smentisca più oltre coi fatti le sue parole. — Io non smentisco mai.... — Sembra che la signora non sia del suo parere. — Quando un uomo vede una signora sola, ha il diritto di farle la corte ! — esclamò il vecchiotto. — Si !... Ma ha anche l' obbligo di cessare immediatamente dal farla allorchè la dama gli dice: Non mi importuni. — Per altro, non tutte le donne che rifiutano la corte d' un uomo, lo fanno per principio d'onestà, e allora è il caso di insistere. — Come sarebbe a dire? — domandò la signora. — Io dico — riprese il vecchiotto che l'esperienza mi ha insegnato esservi molte donne che simulano la virtù per rendere più prezioso il peccato. — Questa, o signore — esclamai — è un'offesa sanguinosa e vigliacca, ch'ella non ha il diritto di lanciare contro una signora che non conosce. — Vigliacca? ! — tuonò il mio avversario alzandosi. — Vigliacca?! — gridò avanzandosi verso di me coi pugni stretti — la prego a ritirare la parola. — Sissignore, vigliacca ! — ripetei alzandomi alla mia volta e prendendo, per ogni eventualità, il bastone, che avevo deposto nella reticella del compartimento. Allorchè il mio interlocutore vide che il suo fare da rodomonte non m’ incuteva spavento e che poteva anzi fruttargli una buona lezione, si allontanò con piglio rabbioso e andò a sedere, come prima, in fondo al compartimento, bestemmiando fra i denti. — Grazie, mille volte grazie ! — mormorò la signora, volgendosi verso di me e venendo a sedermisi dirimpetto quasi per regalarmi, in premio della mia difesa, la cara vista della sua persona, e per mettersi maggiormente sotto la mia immediata protezione. — Oh ! nulla ! signora, nulla! Ho fatto il mio dovere — risposi con disinvoltura. Ma il suono della sua voce mi aveva scosso ogni fibra e aveva reso tremante la mia. — Ella aveva pronunciato la parola « Grazie! » con una voce così carezzevole e, direi quasi, così flautata, che io avrei sfidato sfidato mille eserciti per sentirmela ripetere. Il treno si fermò ad una stazione; il nostro compagno di viaggio, vedendo d'aver fatto un buco nell'acqua e non volendo sopportarne più oltre la vergogna, si alzò , lanciò un' occhiata fulminante a me ed alla signora e abbandonò il vagone. Il treno riprese la sua corsa. — Ahimè!... — dissi in cuor mio — eccoci soli !... Giudizio per carità! Ouesta non è donna da conquistare! Non hai veduto quanto sfoggio d' onestà !... E poi sarà dessa bella? Per Bacco, mi rincrescerebbe d' essermi atteggiato a paladino di qualche brutta pinzocchera! E, per sviare totalmente i pensieri, levai un libricciuolo di tasca e finsi di leggere. Dico finsi, perchè, come ben si può immaginare, la mia mente era tutt' altro che disposta a seguire il filo delle idee, che le linee del libro mi sciorinavano dinanzi. Io dicevo fra me: — Ecco un problema delicato da sciogliere : Dato un viaggiatore giovane e non affatto brutto nè imbecille, metterlo in un vagone di prima classe dopo una buona cena — data una signora onesta che viaggia sola e che non pare vecchia, metterla nel compartimento di prima classe dove trovasi il sullodato viaggiatore : fattili quindi sedere uno dirimpetto all'altra, dato che sia di notte, accendere sul loro capo un lume pallido, che mandi una luce tranquilla attraverso un vetro smerigliato: chiudere il signore e la signora onesta, soli, nel detto compartimento, e far in modo che essi sieno sicuri che nessuno li vede : — dato tutto questo, saper dire con sicurezza, se, trascorsa una mezz' ora, essi si trovano ancora al loro posto, e, caso mai non vi si trovassero più, per quali ragioni possono averlo abbandonato. Mentre io mi stillavo il cervello per sciogliere il problema, la signora mi domandò : — Il signore non fuma?... — Ma, signora — io risposi — or non è molto, parmi, ella ebbe la gentilezza di farmi sapere che l'odore dello zigaro le fa male. — Non è vero; le ho detto soltanto che non voleva che ella fumasse. — Gli è zuppa e pan molle !... — io esclamai. — A me pare di no! — riprese la signora — ed è tanto vero che lo zigaro non mi fa male, che fumo anch' io.... Guardi.... Mi favorisca un fiammifero. Così dicendo, la signora aveva tolto da un elegante astuccio una sigaretta. Io le presentai un fiammifero acceso; ella lo prese con due dita bianche ed affusolate appartenenti ad una manina che, sfiorando la mia, mi fece correre il solito brivido ineffabile per tutto il corpo. V' ho già detto, o lettori, che a quell’ età il mio sistema nervoso era sensibilissimo. La signora strinse mollemente fra due labbra di cinabro la sigaretta e due zaffate di fumo azzurrognolo ed olezzante, circondarono la sua testa d' una nube leggiera e trasparente. — Vede ! — mi diss’ ella — vede come fumo bene?... E così dicendo portò le mani dietro lo chignon e ne tolse uno spillo, che vi assicurava le due estremità del velo. Ella se lo levò dal viso e abbandonossi poscia mollemente sui cuscini, che le servivano di spalliera. Ah! Signoriddio, che bel volto di donna si offrì ai miei sguardi!... Sant'Antonio eremita, tu che hai resistito con tanto trionfo alle tentazioni della carne, deh, vieni in mio soccorso ! Capegli biondi, abbondanti e increspati; fronte purissima; sopracciglia sopracciglia graziosamente disegnate; occhioni grandi, tagliati a mandorla di color cilestrescuro, ombreggiati da lunghe e voluttuose palpebre ; nasino profilato; bocca dal sorriso soave; pelle d'alabastro; ovale perfetto del mento ; oh ! perchè mi tornate voi alla memoria, ora ch' io sono vecchio... Andate, andate lontani dal mio pensiero ! Imperocchè, se io osassi aprir la bocca per l' ammirazione dinanzi a voi, non potrei nascondere i miei denti che l' età ha decimato ! Ma, a quell' epoca, io non potevo guardare tali tesori senza provare il più intenso desiderio di possederli. — Che triste condizione è quella di noi altre povere donne ! — diceva la mia compagna di viaggio, fumando la sua sigaretta. — Il primo malcreato in cui ci imbattiamo, si crede in diritto di perseguitarci e d' insultarci. Anch' io, se fossi un uomo, dico la verità, tenterei tutte le donne. Ma c' è modo di farlo !... E poi, quando si è rifiutati, convien ritirarsi! — Certamente — osservai. — La mancanza d' educazione — continuò la bella donnina — non sta nel far la corte ad una signora, sibbene nel continuare ad importunarla, allorchè questa, a chiare note, ha fatto capire che non vuoi saperne. — Dice benissimo la signora. — Per esempio — ella continuò — poniamo il caso, che lei, signore, lei, che ha acquistato tanto diritto alla mia riconoscenza, si mettesse in testa di farmi la corte.... —Oh ! signora !... — diss' io spaventato della specie d' audacia con cui la mia interlocutrice abbordava certe questioni. — Come? signore, e perchè no? D' altronde non sarebbe la prima volta ch' ella farebbe la corte ad una donna... e le desidero di tutto cuore, che ogni volta che l' ha fatta, non abbia avuto mai l'accoglienza del nostro compagno di viaggio. — Ah! signora — diss' io modestamente — ella è troppo buona con me. Non tacerò per altro che mi sentivo indispettito d' esser messo al confronto d' un vecchio adiposo e male educato. La signora continuò: — Io seguo sempre la via più retta; quella del buon senso; adoro la semplicità dei concetti. Perciò, quando sono entrata in questo compartimento e l' ho veduto, per la prima volta, o signore, perseguitata com'ero da quel malcreato, ho detto in cuor mio: « Dio voglia che questi sia un gentiluomo ed assuma le mie difese. Proviamo. » Fu allora ch' ella mi domandò : « La signora vuole che io spenga lo zigaro? » Io risposi secco secco e guardandola bene in faccia : « Certamente ! » — Dall' atteggiarsi del di lei volto io dovevo arguire se, in caso di bisogno, potevo fare assegnamento sopra di lei ; perocchè la vera cavalleria colle dame consiste nel far loro volonterosamente il sagrificio di un piccolo piacere.... nella speranza di vedersene compensati ad usura con altri d' altro genere e più desiderati. — E il mio volto che le ha detto ? — Debbo confessare, in omaggio alla di lei cavalleria, che l'esame del di lei volto mi soddisfò pienamente. Il tono secco della mia risposta le ha provocato una specie di disgusto in sulle prime, che io ho subito letto in un lieve movimento delle sue labbra ; ma ella seppe subito vincere sè stesso, e la vittoria della di lei cavalleria io la scòrsi nella devota rassegnazione, che, in quel momento, si dipinse sulla sua fronte e nell'atto premuroso di gettare lo zigaro dalla portiera. — Sia lodato Iddio! — esclamai sorridendo. — Ed ora — continuò la mia semplice compagna — per tornare al discorso di prima le dirò: « Poniamo il caso ch'ella mi facesse la corte ! » — Ah! per carità, signora, non parliamo di ciò! — Forse che io l'offendo, o signore, parlando così?... — Oh ! Tutt'altro.... anzi.... ma.... — Mio Dio, lasciamo da parte tutti quei convenzionalismi e tutte quelle reticenze, che formano l' infelicità di noi poveri mortali e che ci tolgono il bene supremo d' intenderci! Perchè tacere una cosa che si farebbe volontieri?... Animo, via, bisogna essere sinceri, non foss' altro, per togliersi dal volgare della gente. — Signora, signora, non parli così; chè nel voler convincere me ad essere sincero, ella si dà la zappa sui piedi!... Se io le facessi una domanda in base a questi principii, ho per fermo ch' ella si troverebbe imbarazzata a rispondermi. — Domandi !... Domandi !... — esclamò sorridendo la signora, distaccando le spalle dal morbido cuscino e allungando la sua bella testolina bionda verso di me, in atto di curiosa aspettativa. — Ebbene, giacche vuole così, ecco la mia domanda: « Se io, o signora, le offrissi la mia corte, l'accetterebbe ella? » La leggiadra donnina diede in una graziosissima risata, e ricadendo di nuovo sui cuscini gridò: — Benissimo ! Benissimo ! Molto fine ! — Risponda!... risponda! io ripetevo, curioso di sentire come se la sarebbe cavata. — Ahimè! — esclamò l' incantatrice, guardandomi maliziosamente — ella mi ha fatto una domanda a cui le donne non rispondono mai, a meno che la risposta debba essere negativa. — Chi tace conferma! dice un proverbio del mio paese — osservai io gongolando di gioia, mentre il mio cuore si popolava di rosee speranze. — E qual'è la sua patria, di grazia? — ella domandò. — L' Italia — io risposi. — L' Italia !... l' Italia !... — disse la signora, come scossa da una corrente elettrica. — Ella è italiano !... Oh! il bel paese che è l' Italia! Non sono due settimane ch' io l' ho lasciata, ma non voglio morire senza rivederla!... Oh! quale incanto ha il cielo d' Italia !... Che bei monti !... Che bei laghi!... Che bel mare!... Quanta poesia vi si respira nell' aria !... Quanta ebbrezza nel suo sole !... Quanta morbida voluttà nelle sue notti! Ella pronunciò queste parole con entusiasmo indescrivibile ; i suoi occhi lanciavano frequenti baleni, e il suo seno, gentile tesoro di grazie, pareva gonfiarsi come quello di chi sente di respirare un' atmosfera pura e salubre. — Ah, la signora è dunque stata in Italia?... — Si; vi passai due mesi di delizie in compagnia d'una mia sorella, la quale ha sposato un distinto pittore di Vienna, dove io li lasciai. Ora il bel sogno è sfumato !... Io torno a Pest, dove m' aspetta.... — Il marito?... — domandai. — Sì!... — e parve che la sua fronte a tale pensiero si rannuvolasse. Poi, come se volesse bandirlo dalla niente, esclamò con volubilità e come chi ripete il ritornello di un motivo favorito : — Ah! mi parli dell' Italia, mi parli italiano... via, mi faccia questo immenso favore.... Parli italiano!... Parli italiano !... — Ma che le debbo dire? — Quello che vuole; voglio vedere s' io posso comprendere il significato delle sue parole. — Ebbene.... se lo desidera.... — Ma dica qualche cosa di dolce, di tenero, di carezzevole !... Andiamo ; parli, parli !... Così dicendo erasi avvicinata a me; le nostre ginocchia si toccavano ed io m'ero fatto ardito a prendere le sue mani nelle mie. Eravamo proprio in quella posizione in cui si mettono due che vogliano fare una seduta di magnetismo. Nel mio caso non si trattava di dare una seduta ; ma vi assicuro che in tutti i miei nervi sentivo scorrere un fluido potente. Io cercavo nel mio cervello una di quelle frasi che le donne chiamano irresistibili, ma non ne trovavo una tanto efficace da esprimere lo stato dell' animo mio. Sentivo l' alito della signora battermi in viso. Era un alito tiepido e dolce che mi sfiorava la guancia, come se vi fosse passata sopra leggermente la morbida ala di una colomba. I suoi occhioni azzurri, fissi nei miei, le sue mani tremanti nelle mie, l'agitazione voluttuosa del suo seno, finirono per farmi girar la testa, ed io coraggiosamente profittando della mia voce di tenore, intonai la nota romanza, che mi ha procurato tanti applausi in tutti i teatri del mondo :

E’ il sol dell'anima La vita è amore, Delizia e palpito Del nostro cuore!

E’ fama e gloria, Potenza e trono, Umane e fragili Cose qui sono.

Una sol havvene Pura e divina: Amor, che agli aneli L'uomo avvicina!

Ah! dunque amiamoci Donna celeste! D' invidia agli uomini Sarò per te!

— Sublime !... Stupendo !... Oh ! Grazie, grazie; la ripeta ancora ! Ed ella avanzò di tanto il volto verso di me che io non ebbi che porgere le labbra per incontrare le sue.... Nè ella si ritrasse ; sicchè io, allacciandola dolcemente colle mie braccia, abbandonai il mio posto per mettermi a sedere vicino a lei.

Eureka! Eureka!... Io trovai ben presto la soluzione del problema.

Alla prima stazione di fermata, dopo aver preso il coupé per noi soli — acciocchè il Signore, nella sua misericordia, non mi mandasse un terzo incomodo — feci portare nel nostro vagone una copiosa colazione fredda.

Il treno si avvicinava a l'est allorchè l' alba imbiancava diggià il cielo. La lucerna del nostro coupé faceva piovere sulle nostre teste, assai vicine, una luce debole e incerta. Sul tappeto del vagone, giacevano, nel massimo disordine, gli avanzi della colazione.... nè erano le sole cose che fossero in disordine nel compartimento. Ai nostri piedi, vittime dissanguate, rotolavano alcune bottiglie di Bordeaux, il tonico degli amanti. Ella aveva gli occhi umidi e languenti, circondati da una striscia azzurrognola, che li faceva parer più grandi. Io la sostenevo fra le mie braccia e le tenevo un dolcissimo discorso, interrotto spesso da lunghi baci, che certamente spiegavano, meglio d' ogni parola, i miei pensieri. — Come sei bella ! — io le diceva — e quante volte mi comparirai in sogno, o Ottilia!... Io darei la mia vita perchè i pochi chilometri, che ci restano a percorrere, diventassero interminabili come la strada dell' eternità !... — Come sei bella!... Come sei bella! E Ottilia a mezza voce: — Insegnami la romanza, intanto che siamo ancora in tempo. Accompagnami — io rispondevo. E ricantavamo insieme:

E’ il sol dell' anima La vita è amore, Delizia e palpito Del nostro cuore....

— Pest !... Signori, Pest! — gridarono i guardafreni destandoci dalla nostra estasi. — Pest !... Pest !... — esclamò Ottilia ricomponendo le vesti e rimettendo il velo, mentre io nascondevo gli avanzi della colazione e le bottiglie di Bordeaux, cacciandole a pedate sotto i sedili del coupè. Ahimè !... La vita è così ! Ciò che ha finito di darci piacere lo si tratta a pedate!... Io stesso, se domani incontrassi una nuova Ottilia, non sarei trattato altrimenti! — Pest !... Pest ! — urlarono di nuovo i guarda-freni. — Ancora un bacio prima che il treno si fermi! — Cento !... Mille ! Se avessi il tempo — esclamò Ottilia, gettandomi le braccia al collo. E il treno si fermò ; la portiera venne aperta. Alle cancellate dell'uscita si affollava gran numero di persone che aspettavano i viaggiatori. — Vedi tu quel signore là, a destra della cancellata? — mi domandò Ottilia. — Sì, lo vedo. — Ebbene, quello.... là.... è mio marito. Era un uomo lungo, magro, sulla sessantina! Era una bottiglia vuota di Bordeaux !... Solamente ne differiva per la forma smilza, che lo faceva assomigliare piuttosto ad una bottiglia di vino del Reno. Vestiva un pastrano color nocciuola, abbottonato fino al mento; la sua gola era stretta da una cravatta color nocciuola; i suoi pantaloni erano color nocciuola; portava le uose color nocciuola; le scarpe erano di panno color nocciuola ; aveva un cappello color nocciuola, i guanti color nocciuola, e un parapioggia sotto le ascelle color nocciuola. — Quello là è tuo marito!? — esclamai. — Lui in persona. — Allora, addio!... Per carità, che non ci veda insieme! — Che !... Tutt' altro ! Vieni ; voglio presentarti a mio marito! — Presentarmi a tuo marito?! — Vieni, vieni! Ottilia scese dal vagone ed io la seguii. Appena il personaggio color nocciuola l' ebbe veduta, si lanciò fuori dalla cancellata e ci venne incontro. — Ah!... sei qui !... — esclamò egli abbracciando con effusione la moglie. — Sei qui, Ottilia? !... Hai fatto buon viaggio?... Metti lo scialle !... scialle !... Ma non senti che freddo stamane ?... — Amico mio — prese a dire Ottilia, che aveva corrisposto con egual effusione alla gioia del marito — amico mio, ti presento il signor Arturo Serpini, tenore di cartello che viene a cantare al nostro teatro, e mio compagno di viaggio. — Signore.... — disse il marito inchinandosi. — Tu puoi ringraziare mille volte il cielo — continuò Ottilia — perché il signor Arturo mi salvò da un gran pericolo. — Ah ! signore.... quale riconoscenza! — esclamò il fortunato marito, guardandomi can tenerezza. — Immaginati, amico mio — riprese la mia compagna di viaggio — che un malcreato mi perseguitava con tale sfrontatezza da parecchi giorni, che io decisi di partire immediatamente da Vienna per tornare al tuo fianco. Ma lo svergognato ebbe l'impudenza di seguirmi fino alla stazione e di salire nel vagone dove io mi trovavo. — Quale orrore ! — disse il personaggio color nocciuola, rabbrividendo. — Il cielo m' ha mandato un buon angelo nel signor Arturo !... Ah ! se egli non avesse assunto le mie difese.... — Oh !... Grazie !... Grazie !... Mille volte grazie ! — esclamò il marito abbracciandomi e stringendomi le mani, mentre dai suoi occhi scendevano lagrime di gratitudine. Egli levò il fazzoletto per asciugarsele. Orrore !... Anche il fazzoletto era color nocciuola!


MORALE.

E’ chiaro che la morale di questo racconto è... di non averne affatto.